La cultura militaresca e machista dell’alta cucina, in un contesto di lavoro faticoso e alienante, può creare un universo morale dove la violenza è la norma. Lo attesta uno studio condotto su 47 chef stellati provenienti da tutto il mondo: ecco cos’hanno scoperto i ricercatori.
Lo studio
Che lo chef abbia un pedigree militare è cosa nota. Ora però c’è una ricerca ufficiale a confermare il mood sui generis della ristorazione fine dining. Come riferisce The Guardian, 47 chef stellati di diversi continenti sono stati intervistati da studiosi della Cardiff University. E il risultato è inequivocabile: l’isolamento fisico sul lavoro può favorire comportamenti violenti e il sentimento che le regole non valgano, con la cascata di condotte che ne discendono.
“Lavorare per lunghe ore lontano dal pubblico pagante, in cucine spesso prive di finestre e anguste, può creare un universo morale parallelo, dove l’abuso e la violenza sono la norma”, scrive in proposito il giornalista Robert Booth. Di fatto i casi sulla cronaca non mancano, l’ultimo è quello di Tom Kitchin, che in seguito a denunce anonime ha sospeso due membri dello staff avviando un’indagine interna e un programma di training collettivo, volto a rafforzare l’ethos e implementare procedure che assicurino comportamenti migliori. Ma non è un esempio isolato: si inizia piuttosto a parlare di movimento #metoo nella ristorazione, con una pioggia di denunce anonime sugli abusi in cucina.

La cultura militaresca e machista dell’alta cucina, in un contesto di lavoro spesso brutale, faticoso e accelerato, era già stata indagata dal professore di sociologia David Courpasson nel circuito gastronomico lionese. Le sue conclusioni invitavano ad aprire fisicamente le cucine, le cui mura tendono a ispirare un sentimento di disinibizione, mentre la vista instaura uno spettacolo che mette al bando violenze fisiche e verbali. “Non essere visti consente all’abuso di avvenire, senza alcuna conseguenza reale”, ha riferito un cuoco.

Nelle conclusioni del dottor Robin Burrow dell’Università di Cardiff, l’isolamento sarebbe vissuto come una forma di libertà dal giudizio per fare cose che altrimenti non sarebbero accettate. I layout di cucina, spesso privi di sbocchi e luci naturali, abitati ininterrottamente fino a 20 ore al giorno, finirebbero addirittura per configurare una vera e propria “geografia della devianza”. L’isolamento creerebbe uno sfondo, dietro il quale tutto sarebbe concesso, anche pestare un collaboratore perché è in ritardo. “È come l’esercito. Dietro quelle porte succede quello che succede”, riferisce un cuoco. Ovvero di tutto.

Storie ghiotte per il pubblico, al punto da ispirare anche un film: Boiling Point, che racconta lo stress e la violenza dietro le quinte più glam. “La gente pensa che ciò che vede in televisione sia esagerato, ma quello che succede spesso è ancora più grave e ha conseguenze peggiori per la salute mentale e il benessere di questi ragazzi talentuosi”, ha commentato una delle autrici, Rebecca Scott.

Fonte: theguardian.com
Foto di copertina: scena tratta dal film Aftertaste con Erik Thomson