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Paolo Barrale: il sud per contrasto - 1^ parte

di:
Alessandra Meldolesi
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Territorio, prodotto, gusto: a Sorbo Serpico il meglio della Campania nella messa a fuoco tecnica di un cuoco purista.

La Storia

La storia di Paolo Barrale


è una cattedrale hi-tech nell’entroterra irpino, la cantina dei Feudi di San Gregorio. Ferro e vetro in mezzo alla rapsodia verde delle vigne, dei boschi e dei frutteti. All’ultimo piano del parallelepipedo, in volo sopra le botti e le cisterne, la scatola trasparente della cucina a vista incornicia le coreografie della brigata guidata da Paolo Barrale, che vi si affaccenda dal 2004; tutt’intorno l’interior design contemporaneo firmato Massimo e Lella Vignali, che si prolunga nella suggestiva sala di cristallo per le degustazioni.



Marennà”, recita l’insegna. Ovvero il pasto consumato dai contadini nelle pause di lavoro, dal latino mereor, meritare. Paolo Barrale se l’è guadagnato con la passione e con lo studio, mettendo a punto uno stile elegantemente puristico, che nel panorama del sud spicca per la pulizia gustativa, anche quando affronta i corposi classici campani. “A dire il vero però sono nato a Palermo e cresciuto a Cefalù. Mio padre Giuseppe, dopo essere stato parrucchiere da donna, anche sulle navi da crociera, lavorava come guardiano del faro. E nei fari sono cresciuto dai 7 ai 18 anni, a Cefalù, ma anche a Iesolo e Porto Garibaldi, negli appartamenti per le famiglie dei faristi. Mia mamma Maria Luisa invece aveva un’attività di pasta fresca, dove ho mosso i primi passi e iniziato a interessarmi del mestiere, andando a consegnare la pasta nei ristoranti o infilando le mani nelle tagliatelle e nei pansotti. Era di Genova, figlia di genitori piemontesi; in particolare sua madre aveva lavorato come cuoca presso casate nobiliari liguri. Quindi in casa si mangiava una cucina composita, le trofie e la bagna cauda, ma anche la pasta con le sarde, perché a papà piaceva preparare i piatti della sua tradizione. Ho ancora vecchissimi libri di cucina ligure e piemontese”.


Nell’arco di 11 anni trascorsi a Borgo Serpico molte cose sono cambiate: “Quando sono arrivato la struttura era in divenire. In una zona non facile, dipendeva largamente dai passaggi in cantina, mentre adesso fra le due realtà sussiste una condizione di parità, favorita dalla stella Michelin che deteniamo dal 2009. I Feudi erano in cerca di un’interpretazione gastronomica del territorio, una cucina concreta, di gusto e di prossimità. Attorno al ristorante c’è un giardino con 70 erbe aromatiche, ma è tutta la zona a vantare prodotti eccezionali, che mi consentono di servire un comfort food divertente, riconoscibile per quanto fuori dagli schemi. Per esempio il broccolo aprilatico di Paternopoli, perché i campani sono mangiafoglie prima ancora che mangiamaccheroni. Un prodotto di nicchia dell’Alta Irpinia, dalla stagionalità breve, quindi speciale e sempre freschissimo, a metà fra il friariello napoletano e la cima di rapa barese, carnoso ma non troppo amaro, aromatico e minerale, che mi piace spingere con un'altra brassicacea, il wasabi. Oppure, fra le carni, l’agnello di Laticauda e la mucca podolica, buona da latte e da carne, che dà un grande caciocavallo”.



I Piatti

In alternativa alla carta del territorio e a quella libera, che cambiano con cadenza bimestrale, ci sono due menu degustazione di 5 e 7 portate, rispettivamente a 52 e 62 euro. In abbinamento una carta dei vini che affianca alle 40 referenze della casa altrettante etichette del territorio o di cantine consociate. Da non perdere il carrello dei formaggi, con una dozzina di proposte a diversi stadi di affinamento, territoriali nella produzione ma non necessariamente nell’interpretazione. Vedi il blu di capra, l’erborinato di pecora, le chicche di Paolo Amato del Caseificio Aurora. Gli antipasti sono forse le portate più moderne, in cui il purismo mette a nudo l’eleganza di Barrale, soave nell’alleggerimento e nella padronanza delle note acide, con un talento tutto meridionale per le testure del pesce.

 

Seppia con i piselli



“La tecnica di arricciamento è quella che si usa tradizionalmente in Puglia per i cefalopodi: scuotiamo le seppie, in questo caso allievi, per una ventina di minuti in una bacinella con il ghiaccio, finché non diventano bianche e non si inteneriscono. Poi le segniamo in padella, per una maggiore piacevolezza gustativa. Sul piatto con cipollotto crudo, purea di piselli e piselli saltati con la scorza di limone, presente anche in forma di marmellata; più la ‘nota stonata’ del latte di cocco”.

 

Coniglio, cicoria, puntarelle e alici



“Del coniglio usiamo solo il coscio, che cuociamo direttamente in padella. Sul piatto con purea di cicoria e puntarelle appena saltate, che sono in pratica la stessa pianta; più una polvere di cicoria gelata al Pacojet. Le alici marinate con poco limone e molta acqua fungono un po’ da trait-d’union fra i due elementi, oltre a portare acidità. Mentre la liquirizia spinge l’amaro e avvolge il palato”.

 

Carne e carciofi alla brace



“Territorio. Cuociamo il carciofo sottovuoto, cercando la massima carnosità. La carne invece è un carpaccio condito con olio affumicato in casa e polvere di affumicatura, preparata con carbone vegetale e maltodestrina. Più qualche tocco di pane all’aceto, succo di prezzemolo e lamelle di carciofo fritto per il croccante”.

 

Pappardelle trenta rossi con triglia, finocchietto e broccoli



“Trenta rossi, come nella cucina piemontese; eppure è una pasta coerente col concetto meridionale, perché molto callosa sotto i denti, anche grazie all’aggiunta di semola. L’incontro con i gusti del sud è naturale: finocchietto, uvetta, pinoli e il broccolo aprilatico di Paternopoli. Dolce e amaro”.

 

Riso al prezzemolo e ‘mpepata di cozze



“Il riso viene cotto con l’acqua delle cozze e mantecato con purea di prezzemolo sbollentato e olio di oliva. Sopra ci sono le cozze scottate in acqua bollente per 10 secondi, in modo che conservino un gusto crudo quasi di ostrica, più nobile; il limone è in succo sui frutti di mare e confit sotto sale, più una macinata di pepe nero e poca purea di aglio dolce”.

 

Spigola con alghe, limone e funghi pioppini



“Cuocio la spigola al vapore e la servo con una nage alla francese, ma in infusione di alghe, una guarnizione di funghi pioppini saltati e alghe fresche, soprattutto lattuga di mare. Quindi iodio e due diverse fonti di umami”.

 

Agnello cacio e uova



“Un piatto di territorio: l’idea era partire dall’agnello pasquale tradizionale, cotto in tegame oppure al forno, poi nappato con una miscela di uova, pecorino, succo e scorza di limone. Dove il sugo spesso viene riutilizzato per condire la pasta. Quindi una crema inglese con pecorino e succo di limone, i piselli per la stagione, la spalla cotta sottovuoto e la costoletta al momento di fare uscire il piatto”.

 

Piccione, lamponi e rose



“Le cotture del piccione sono due: il petto prima sotto la lampada, poi segnato sulla pelle in padella, fino alla temperatura a cuore di 48-50 °C; le coscette a bassa temperatura e finite in padella. Perché il sottovuoto mi piace, ma solo quando serve. In abbinamento succo di lampone, un lampone farcito di foie gras, il sugo in infusione di rosa canina, petali di rosa e polvere di karkadè, per l’acidità e il tannino”.

 

Fior di fragola



“Sembra una meringa, ma non lo è: si tratta di latte montato con latte in polvere aggiunto a due riprese, essiccato in forno sotto forma di bastoncini. Ci siamo resi conto che le proteine montavano come gli albumi, anche se per serendipità eravamo partiti dal concetto delle Galatine. L’abbinamento con il ragù di fragole, il succo di fragola e il Fragolino può ricordare il Fior di fragola Algida, oppure un frappé”.

 

Il nostro cheesecake



“Per i dessert ho una passione, che mi è stata trasmessa da Heinz Beck, col quale ho lavorato per due anni in pasticceria. Sono curioso e mi piace esplorare le testure: in questo caso una meringa, un gel, una spuma o meglio una mousse, tutti a base di frutti di bosco, presenti anche al naturale. Mentre la cheesecake è un cremoso di cioccolato bianco e yogurt, perché a fine pasto mi piace lavorare sulle acidità”.

 

Le fotografie dei piatti sono di Diego Marinelli

Le altre fotografie sono di Lemon Studio

Indirizzo

Ristorante Marennà

Contrada Cerza Grossa - 83050 Sorbo Serpico (AV)

Tel.+39 0825 986666

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+39 0825 986666


Il sito web del ristorante Marennà


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