Chef

Ricard Camarena: "I prezzi? Non li ho mai alzati: ecco perché i clienti tornano"

di:
Alessandra Meldolesi
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Ricard Camarena en Madrid con Canalla Bistro

“Flessibilità” è per Ricard Camarena la parola chiave del momento: “Rinuncio a sentirmi il re del mambo. Se non posso permettermi un prodotto, lo cambio. Il prezzo del menu deve coprire i costi, non l’ego dello chef”.

La notizia

Con i suoi cinque ristoranti, fra cui l’eponimo, candidato da anni alla terza stella, Ricard Camarena è il protagonista indiscusso della scena gastronomica valenciana. Classe 1974, guida un piccolo esercito di 150 dipendenti fattura circa 7 milioni di euro, come dichiarato alla testata Cinco Dias. “La brigata sono persone”, dice. “Le dirigi per quello che sono, non per quello che fanno. Da loro esigo onestà, lealtà e impegno. E offro lo stesso. La gestione è complicata, è difficile sentire che la stai facendo bene. Guido attraverso principi e valori, non sentimenti. La sfida è che tutte le parti del puzzle sentano questa utilità. Allora smetti di pensare a quello che gli altri ti possono dare e inizi a pensare a ciò che puoi dare tu”.

@EFE



Ci sono stati momenti in cui non mi sono sentito felice e questo generava tensione dentro di me. Vorrei piacere a tutti, ma non è così. Se non separi quello che fai da quello che sei, vivi ogni critica come un attacco. A volte ho perfino pensato che ciò che facevo non avesse senso. Restare costa, al contrario di andarsene, che è un’uscita molto comoda. Ma se te ne vai, porti con te i tuoi problemi. È una questione di accettazione e di autorinuncia. La pandemia mi ha insegnato molte cose preziose. Ha rappresentato un momento di disconnessione, raccoglimento, siamo stati con le nostre famiglie, meno esposti del solito. Io adoro quello che faccio e gli sacrifico molte cose. Ma altre persone hanno iniziato a porsi domande su cosa volessero fare, non lavorare le quindici ore al giorno che facevano, dedicandosi a un’unica cosa. Altre ancora hanno trovato una diversa vocazione. Inoltre, c’è una maggiore necessità di manodopera in alcune città, perché aprono più locali e la domanda è più alta”.


“Dobbiamo rendere il settore aspirazionale, generare le risorse perché appaia attraente e appassionante. Non possiamo rinunciare a tutto questo per una fetta di torta. Voglio lavorare meno ore possibili in modo più efficiente e fare cose che non valorizzino solo me. A volte ho idee che credo dovrebbero entrare in menu, ma sovvertirebbero tutti i piani. Allora penso a cosa comporterebbero i cambiamenti. Nuove elaborazioni, per esempio, potrebbero richiedere un lavoro supplementare. Quando ti credi il re del mambo, fai questo tipo di cose. Abbiamo pensato di dover offrire la miglior versione attraverso un menu aspirazionale, nonostante potesse generare tensioni. Io ora ci rinuncio, è importante che nella perfezione sia tutto equilibrato, in modo da offrire il meglio al cliente”.


Interpreto questo momento in modo flessibile. Se non mi posso permettere un prodotto, lo cambio. Come i miei ospiti. Ancora non ho alzato il prezzo del menu, ho fatto degli aggiustamenti per evitarlo. So chi sono i miei clienti e in che momento viviamo. Abbiamo imparato a migliorare la gestione, in modo che il prezzo funzioni per tutti, pubblico, impresa e dipendenti. Abbiamo un menu breve dei classici a 160 euro, che copre il sovraccosto di personale, energia e affitto. Non alzo il degustazione per una questione di ego o vanità, ma perché corrisponde alla nostra struttura dei costi. Devo coprire i costi, non l’ego dello chef. Gli incrementi non devono essere giustificati dalla percezione qualitativa del nostro lavoro, ma dalla percezione quantitativa di ciò che facciamo. Questa ricerca della flessibilità è una lotta quotidiana”.


Fonte: Cinco Dias

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