Chef

Akhond Ishaq, lo “chef degli alpinisti” che cucina sull’Himalaya a 5000 metri

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina chef himalaya

Akhond Ishaq, cuoco nei campi sull’Himalaya, racconta cosa e come si cucina nel “ristorante” più eroico del mondo: un’organizzazione della sopravvivenza che fornisce agli scalatori il piacere del caldo.

La storia

Esistono al mondo cucine estreme ed eroiche. Ma nessuna, forse, è estrema ed eroica come quella che Akhond Ishaq ha servito per anni agli alpinisti sull’Himalaya. A raccontare la storia avventurosa di questo trentaseienne pakistano è Julian Mendez su Siete Canibales: narra che da bambino vendeva le mele ai militari, poi a 13 anni lavorava a Lahore come lavapiatti, per il compenso di 6 euro al mese. Esperienza cruciale per accedere in veste di accompagnatore e cuoco a quegli accampamenti a 5000 metri sul livello del mare.



“Ho iniziato a cucinare per gli alpinisti nel 2000. Avevo un po’ di esperienza perché avevo lavorato in un ristorante cinese. Sono partito come aiutante in una spedizione coreana, preparando una zuppa di mais, pollo alle mandorle, riso basmati, piselli e una crema per dessert. Hanno apprezzato. Poi sono arrivati i polacchi... Era durissima, perché eravamo i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarcene. E lassù non gusti niente, le patate sono pietre, il pomodoro non resiste. Un pasto caldo è l’unico piacere che puoi dare a uno scalatore, qualcosa che gli scaldi lo stomaco e lo faccia dormire. Sono stato il primo a preparare una tortilla di patate e una pizza sull’Himalaya”.


Niente di particolarmente glamour, tuttavia, piuttosto un esercizio di sopravvivenza. Ogni volta si trattava di portare su l’indispensabile per sostentare 25 persone nell’arco di 3 mesi: 200 chili di farina, altrettanti di riso, 2 yak, 4 capre, 85 chili di pollo e 2000 litri di cherosene (il gas diventa liquido). Ma qualsiasi cosa, a quell’altitudine, si congela immediatamente, tanto che ogni uovo, prima di essere cotto, andava lasciato intiepidire accanto alla fiamma. E non si poteva certo rischiare un’intossicazione, nonostante le difficoltà igieniche.


Proprio in un accampamento, per la precisione quello di Gasherbrum I, tutto è cambiato nel 2011. L’alpinista basco Alex Txikon, primo di sempre a scalare il Nanga Parbat in inverno, era salito con altri 5 compagni, ma 3 si erano dispersi e lui sperava di ritrovarli, nonostante fosse mezzo congelato. Impresa nella quale per 10, lunghissimi giorni poté contare sul sostegno e sul calore, anche fisico, di Akhond, che dormiva con lui nel sacco a pelo, mentre fuori il termometro segnava meno trenta gradi.

© Phunjo Lama-Afp-Getty Images



In quel momento, a tu per tu con la morte, avvinti da valori supremi, si sono legati per sempre. “Abbiamo parlato moltissimo, delle nostre vite, di cosa volevamo fare”, ricorda Akhond. Finché un giorno il cielo non si è aperto ed è comparso un elicottero. Il basco però si è rifiutato di partire da solo, finché non fosse arrivato un mezzo per lui. “Quando sono salito piangevo di felicità, di vita. Alex mi ha preso la mano e mi ha detto: ‘Ti porto a casa mia’. Quando siamo arrivati a Skardu mi ha fatto fare la doccia, mi ha portato dal barbiere, mi ha dato un paio di scarpe e abbiamo mangiato insieme in albergo. Mi ha detto che avrebbe preparato i documenti per me. Non potevo crederci, io che sono nato in culo a una vacca…”


Da allora Akhond, quattordicesimo figlio di mamma Txikon, ha messo radici in Biscaglia. Dopo una formazione nella partita delle carni presso il ristorante Jauregibarria di Beñat Ormaetxea e un diploma in lingua basca, porta avanti il bar ristorante del Batzoki di Igorre, dà lezioni di cucina asiatica e fa teatro. Ma aspetta ancora che moglie e figli lo raggiungano nella sua nuova, calda casa.

Fonte: Siete Canibales

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Foto: crediti Akhond Ishaq

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