Il territorio è al centro della creatività di Rodolfo Guzmán. “Focalizzarsi sul Cile è come per un astronomo scoprire un pianeta”, dice riecheggiando Brillat-Savarin. E racconta le difficoltà iniziali per dar vita a un ristorante che oggi è fra i più avanzati del mondo.
La notizia
Non è stata avara di rovesci e di sorprese la vita di Rodolfo Guzmán, già studente di ingegneria commerciale, poi campione cileno di sci acquatico. Fino a un incidente che l’ha costretto di nuovo a ripensarsi, tentando la via della cucina. Dopo la formazione a Santiago del Cile, è stato in Andoni Luis Aduriz che ha trovato il suo mentore. Poi si è sentito pronto per aprire il suo, di ristorante, puntando in patria sulla cucina nazionale. Correva l’anno 2006 e in giro si trovavano solo specialità francesi o italiane, al massimo giapponesi. Invece ecco Boragò, indirizzo oggi iconico per la gastronomia latino-americana.Non una sfida da poco, tanto che la strada è stata costellata di scivolosi strapiombi verso il fallimento. Almeno fino al 2015, quando il ristorante è entrato nei 50 Best. “I primi anni sono stato sul punto di venderlo diverse volte. Ma l’ingresso in lista ci ha salvati: siamo esplosi ed eravamo pronti, perché avevamo studiato il prodotto e sapevamo quel che volevamo fare. Oggi Boragò non è un concetto, ma un saggio permanente sul momento del Cile”. Qualcuno ha definito Guzmán il cuoco più avanzato e creativo del continente e di fatto i foodies di tutto il mondo, chiamati a raccolta dalla celebre classifica, si contendono i tavoli con il pubblico locale, che sfiora l’80% anche grazie al menu da 115 dollari. Oggi occupa il quarantatreesimo posto, come l’età dello chef: un grande successo in un paese che si colloca letteralmente alla fine del mondo, lontano da tutti e da tutto, ma che grazie alle montagne altissime e all’oceano freddissimo, ha potenzialità diverse dai vicini e si pone come una delle “dispense endemiche” più importanti della terra.
“A mancare tuttora è la volontà dei nostri governanti. Siamo un paese nuovo, emergente, con un’economia prepotente. La cosa principale è che lo stato veda il grande potenziale della gastronomia per l’economia e la società. Un paese privo di cultura non può svilupparsi correttamente, ma la gastronomia genera cultura e turismo, che a loro volta spingono l’economia. Nel caso del Cile fino a vent’anni fa i ristoranti non rappresentavano niente di rilevante. Per cui facciamo parte di un processo. Il Cile deve attraversare il suo. Verrà anche il nostro momento”.
“Siamo nati con l’idea che la nostra cucina non dovesse basarsi sulla tecnica, ma sulle potenzialità del territorio. Quindi abbiamo iniziato a esplorare in tutto il paese gli ingredienti e i produttori, a prendere nota di tutto quello che potevamo fare con prodotti che in Cile venivano consumati da oltre 10mila anni. Perché ci è sempre stato chiaro che volevamo fare autentica cucina cilena e questo significava utilizzare i suoi ingredienti. All’inizio un alimento significava una possibilità. Ora, grazie al lavoro che abbiamo compiuto, ne ha oltre trecento. Ha significato pensare alla cucina in un modo diverso. Per questo la parola ‘endemico’, che dà nome al menu, è presente fin dall’apertura. Scoprire le potenzialità del Cile a livello gastronomico è stato come scoprire un nuovo pianeta per un astronomo. Per un cuoco è fondamentale sapere chi è, da dove viene e cosa ha intorno. Quando abbiamo iniziato lo ignoravamo, ma immergendoci è diventata una droga. Ne volevamo sempre di più, non potevamo più fermarci”.
“Abbiamo recuperato circa duecento prodotti, ma ci sono cose che si apprezzano col tempo. Magari non è il momento. Magari verrà il giorno in cui saranno valorizzate. Non so, non lavoro per questo, anche se sarebbe importante per un ristorante. Al momento posso solo felicitarmi per la fiducia e la visibilità di cui godiamo. Nel centro di ricerca abbiamo quattro linee di lavoro: le alghe (nel paese ce ne sono oltre settecento e fino a poco tempo fa se ne usavano solo quattro), le piante di scoglio (la costa cilena è rocciosa e vi crescono molte piante, un alimento super sostenibile perché cresce con acqua di mare), i pesci di rapida riproduzione e il mondo dei ‘funghi’, anche microscopici”.
A proposito di progetti per il futuro, Guzman, che in pandemia ha aperto un negozio di gelati e hamburger, oggi chiuso, tiene le porte aperte. “Ho solo un ristorante e ho sempre pensato che chi troppo vuole, nulla stringe. Ammiro molto i colleghi che hanno più locali, ma per noi questo momento non è ancora arrivato. Se succederà, valuterò, ma sicuramente propenderei per un altro locale di cucina cilena. Boragò tuttavia resterà uno solo. Non posso averne due. E può trovarsi solo a Santiago”.
Foto di copertina: crediti El Mercurio, GDA
Fonte: Siete Canibales
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