I protagonisti dell'enogastronomia Top Chef Chef

“Sono figlio di un tristellato, ma ho fatto successo da solo: non è facile avere un cognome importante”. Lo chef Hugo Roellinger si racconta

di:
Alessandra Meldolesi
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Copertina Hugo Roellinger

Un giovane pieno di talento, un cognome importante e la grinta di farcela da solo: Hugo Roellinger, figlio del celeberrimo Olivier, ha appena ricevuto il premio come chef dell’anno da Gault et Millau. Qui si racconta e spiega come è riuscito a conquistare 2 stelle Michelin (senza scorciatoie!).

La notizia

Sono rari, nella storia della cucina, i rampolli in grado di raccogliere l’eredità dei mostri sacri o addirittura superarli. Potrebbe tuttavia essere il caso di Hugo Roellinger, figlio del celeberrimo Olivier, che ha rivoluzionato la visione gastronomica del pesce negli anni ’90. Premiato da Michelin nel 2019 con 2 stelle (il padre ne aveva “restituite” 3 nel 2008) ed eletto chef dell’anno nel 2022 da Gault et Millau, il giovane bretone ha mostrato nell’intervista concessa a Ouest France una visione tutta personale di questo mestiere e del suo mondo, dopo essersi fatto notare per l’atteggiamento schivo e defilato.

Crediti AFP



I riconoscimenti sono fra i più ambiti del settore, ammette, eppure non rappresentano in alcun modo il suo “motore”.Si tratta di una soddisfazione personale, per la mia famiglia e per la squadra. Ci vedo anche un motivo di orgoglio per Cancale e la Bretagna”. Non è facile per nessuno essere “figlio di”; per Hugo, data la statura del padre, ultimo tristellato nella regione, l’impresa sembra ancora più difficile.

Crediti Christel Jeanne



Diventa arduo farsi un cognome, e ancor più un nome. Essere ‘figli di’ presenta vantaggi e svantaggi. Personalmente ho avuto la fortuna di non cucinare mai con mio padre. Questo mi ha permesso di prendermi le mie libertà. Lui mi ha lasciato lavorare, a costo di vedermi sbagliare. Sono fiero di avere provato ai miei genitori che sono capace di proseguire l’avventura familiare. Ma un cuoco da solo non è nulla, ho la fortuna di essere circondato da collaboratori fidati. Mia sorella, avvocato, è tornata per aiutarmi a riprendere il piroscafo. Con la sua enorme capacità di lavorare, gestisce le spezie. Mia moglie è ormai direttrice delle Maisons de Bricourt “.

Crediti AFP / Damien Meyer



Un passato in divisa da ufficiale della marina mercantile, Roellinger junior mette al centro della sua cucina di poesia il territorio, ossia la Bretagna, la cui carica identitaria in cucina rappresenta a suo giudizio “un atto militante”. “La cucina deve rappresentare l’espressione di un territorio naturale, delle persone che lo abitano e anche della storia. Nel nostro caso si tratta di Cancale e Saint-Malo. Questo territorio è stato forgiato dalle vicende dell’avventura marinara. Con mio padre condivido questo quadro espressivo, ma lo esprimiamo diversamente in epoche distinte. La sua ispirazione veniva dai racconti di viaggio. Voleva far conoscere le spezie di tutto il mondo che erano passate da qui, raccontare il meticciato, la voglia di altrove, l’apertura verso l’altro e la bellezza del territorio. Trent’anni dopo conosciamo questi sapori. Ci ho fatto il bagno dentro. Le spezie sono nel mio DNA. Mio padre dice che non ne parlo abbastanza, tuttavia sono ben presenti nella mia cucina attraverso questo calore, questa lunghezza, questi tocchi piccanti”.

Crediti Jean Claude Moschetti per Le Point



Eppure la regione è conosciuta soprattutto per l’agricoltura intensiva e la pesca industriale. “Abbiamo sacrificato la Bretagna”, accusa Hugo. “La regione era povera. In questa terra di marinai, si producevano cavolfiori e porri. Tuttavia, c’erano un suolo fertile e un clima ideale per l’agricoltura. Nel dopoguerra bisognava nutrire la Francia. Le autorità dell’epoca hanno detto: ‘Voi bretoni produrrete molto per diventare la dispensa del paese’. Allora abbiamo iniziato a produrre moltissimo, a costo di inquinare i fiumi, le terre, i paesaggi… Non si può nemmeno dare l’intera colpa alle autorità dell’epoca. Ciò che conta è la dinamica attuale. Sono molto fiducioso. I giovani hanno deciso di invertire le tendenze e fare qualità anziché quantità. Possiamo raggiungere una responsabilità ecologica. Uno chef deve avere delle convinzioni. Il nostro mestiere consiste nel nutrire il prossimo, siamo responsabili della bontà al gusto, per la salute e per l’anima, mentre preserviamo il pianeta. Un cuoco, se si definisce tale, non può accontentarsi di infilare vaschette al microonde”.

Crediti AFP



La riposta dei produttori è che la quantità abbassa i prezzi per tutti, contrariamente alla ristorazione stellata. “Mangiare a casa e vivere un’esperienza al ristorante sono situazioni diverse. I miei prezzi non sono abbordabili per tutti. Alcuni potranno passare una volta nella vita, altri ogni mese. Ma l’esperienza che propongo permette di tenere in vita un’economia virtuosa. La nostra maison difende il valore della sostenibilità umana. Per esempio, in squadra abbiamo un ridotto turnover, perché rispettiamo gli orari di lavoro e paghiamo salari che consentono ai dipendenti di vivere qui. Attorno al ristorante esiste un microcosmo di produttori fedeli, ortolani, muratori, architetti, elettricisti. L’agroalimentare invece pratica prezzi che ci hanno fatto smarrire il valore reale delle cose. Un mazzo di erba cipollina ha un valore. Occorre tempo per coltivarla e raccoglierla. Ma i margini della grande distribuzione sono enormi. Semplicemente il denaro non finisce alle persone giuste. Sarebbe possibile alimentarsi allo stesso prezzo in modo sano. Invece quando entro in un supermercato, mi chiedo come si possa accumulare così tanta roba e il bilancio di carbonio della totalità dei prodotti…”.

Le Coquillage- ristorante di Hugo Roellinger (2 stelle Michelin)



Hugo non disdegna un atteggiamento tranchant, al limite della provocazione. “Mia nonna mi ripeteva sempre: ‘Fare bene e lasciar dire’. In famiglia siamo discreti, perfino prudenti, nei media e sui social. Ci concentriamo sul nostro lavoro. Si può esercitare questo mestiere nel modo migliore senza entrare nel serraglio. Non sposo i codici di questo ambiente e non mi sento attratto dalla divisa da cuoco o dal concetto di brigata che opera secondo una gerarchia quasi militare. Tutto questo non mi corrisponde. Ho ottimi amici fra i cuochi, ma anche amici marinai. Approccio questo mestiere in totale libertà. Questo può innervosire qualcuno, ma funziona. Riconosco che una parte della gastronomia attuale mi disturba. L’agroalimentare riesce a corrompere tanti chef attraverso l’esca del denaro”.

Fonte: foodandsens.com

Foto di Copertina: Crediti AFP

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