Dove mangiare in Italia Ristoranti di tendenza

Cucina stellata vista Colosseo in uno dei ristoranti più affascinanti di Roma: l’Aroma che sorprende nei piatti di Giuseppe Di Iorio

di:
Lucia Facchini
|
Copertina Aroma

La firma di Giuseppe Di Iorio è un tratto limpido, preciso e armonioso. Lo chef di Aroma continua a plasmare la novità su antiche fondamenta, celebrando l’essenza del prodotto con creazioni mature e personali.

Aroma- Palazzo Manfredi

Quale menu riuscirebbe mai a calamitare l'interesse di un cliente seduto a 250 metri di distanza in linea d'aria dall'Anfiteatro Flavio e inevitabilmente attratto da cotanta bellezza a portata di flash? È questa la domanda che sorge spontanea, varcando la soglia di Aroma, il gioiello gastronomico di Palazzo Manfredi strategicamente collocato in uno dei punti panoramici più suggestivi città eterna.



Per sciogliere il dubbio potremmo tirare in ballo il concetto di affinità sensoriale, secondo cui gli stimoli  forniti da più opere d’arte fra loro compatibili tendono a sommarsi senza scalfire l'impatto che ciascuna di esse esercita a sé stante sui recettori del piacere: non è una teoria scientifica, ma Epicuro avrebbe approvato. Purtroppo (o per fortuna), quando entra in gioco il cibo il discorso si complica: stupire un pubblico con la retina già satura di bellezze capitoline, per lo chef di un fine dining vista Colosseo, significa affrontare un'insidiosa partita a scacchi, rischiando di restare eternamente confinato nel quadrato del pedone. E allora qual è, la strategia vincente?



Scardinare la convinzione che il minimalismo sia ormai demodé, celebrando l’essenza del prodotto. Plasmare la novità su antiche fondamenta, un po' come facevano i neoclassici. E poi, va da sé, dotarsi di una solida corazza culinaria. Un'hard challenge cui Giuseppe Di Iorio ha dedicato 10 anni di carriera, rodando fuochi e brigata sotto lo sguardo imperscrutabile delle antichità romane.



Il ristorante


Non amo la cucina globalizzata: proporre agli ospiti piatti che potrebbero trovare in qualsiasi altro ristorante del mondo, da Parigi a Seoul, ha davvero poco senso”, spiega lo chef. “È giusto, invece, stupirli con una grande materia prima, e qui sta il senso del mio lavoro: valorizzare l'impegno di quella preziosa comunità di artigiani che fa dell'Italia una culla di eccellenze gastronomiche. Il fine dining vive grazie una catena umana di produttori appassionati”.


Una forma mentis che guarda alla sostanza, foggiando l’ingrediente senza orpelli o voli pindarici: la sua firma è un tratto limpido, preciso e ben intonato al mood del Manfredi. Il tributo alle origini calabresi emerge talora da una salsa, talaltra da un accenno a bordo campo, come gli snack di benvenuto o la stessa mise en place.


"Sembrano banalità, ma non lo sono. Per il centrotavola, ad esempio, ho scelto una decorazione con sassolini e rametti di finocchiella che ricordano la Calabria: sulla costa ionica le spiagge ospitano piccole pietre e piante dal profumo incredibile". Dettagli conditi da un tocco di romanità che si esprime al meglio nei momenti clou del pasto, come la presentazione della piccola pasticceria, su cui torneremo fra qualche riga.

Cacio e pepe con gamberi di Mazara del Vallo


E poi ci sono i cult della cucina verace attualizzati con rispetto e discrezione, "dall'Amatriciana a base di pomodorino confit, guanciale di Sauris e una ricotta affumicata da noi, alla Carbonara shakerata davanti agli ospiti, fino alla Cacio e pepe con gamberi di Mazara e la loro polvere". Stupire, divertire, confortare: la giostra gira senza intoppi, grazie al dream team composto dai due maître d'hotel Damiano Verdone e Alessandro Orfini, in sincrono con il sommelier Alessandro Crognale.



I piatti


Il menu conserva lo schema post-Covid: niente carta, tre percorsi strutturati (Dorico, 4 portate a 150 euro; Ionico, 5 a 170; Corinzio, 7 a 190), una proposta smart (2 corse a scelta e un dolce a 110 euro) e una piccola lista di piatti special, per adattare la formula fissa alle esigenze dei clienti.


Il debutto è un olio su tela di sfizi a tinte pastello, come la Chips di riso farcita con un'eterea emulsione di polpo e porro o il Nidino di pasta fillo, che ospita un tuorlo d'uovo di quaglia dal cuore fondente. Poi la palette si accende con un quartetto pop nel gusto e nei colori, dal Cremoso di baccalà su chips di cipolla e sedano all'invitante Focaccina con ricotta e caviale, che veste di lusso la regina dello street food romano, passando per il Taco con crema di vitello e la Chips di Riso Venere con crema di funghi e nocciole, due morsi audaci e diretti.

Tartare di ricciola con mela annurca, avocado e fava tonka



Fra gli antipasti, la Tartare di ricciola è un paradigma di freschezza dall'acidità lieve.  "Per la marinatura utilizziamo una classica soluzione di acqua, zucchero, scorza di agrumi, alloro e pepe in grani, cui viene aggiunto un ingrediente 'extra': la fava tonka", spiega lo chef. Così le carni, immerse nel liquido per 40 minuti, assorbono i sentori vanigliati tipici del seme, fissando sul palato una dolce speziatura che supporta l’aroma della mela annurca. Il retrogusto indugia sul fondale di avocado che ospita il pesce: rotondità e clorofilla per ammansire i sali marini.

Rana pescatrice, vongole, limone e friggitelli



Si volta pagina con la Rana pescatrice, vongole, limone e friggitelli, dove l’entente cordiale tra fibre e umori è frutto di una doppia cottura: prima a 90°C, per allentare le fibre del trancio, e poi in padella con un filo d’olio. La nappatura finale con burro chiarificato ammanta il cubo di una tenue croccantezza: per tagliarlo non c'è nemmeno bisogno del coltello, mentre in bocca si salda all'amaro del peperoncino verde. Un contrasto basic che ingolosisce e profuma di Meridione. La salsa di vongole fa il resto, portando l'orto sullo scoglio.

Riso, burro affumicato al whisky torbato e alici



Il dinamismo sensoriale si accentua nel Riso, burro affumicato al whisky torbato e alici. Qui il chicco -sodo e complice del morso- cavalca un'onda generosa, ma totalmente priva di burro: l'unico formaggio ammesso è un Parmigiano 35 mesi. “Per favorire l’evaporazione dell’alcol, facciamo scaldare il whisky a 65°C insieme a una salsa di alici fresche e sotto sale”, spiega lo chef. Un iter che lascia in eredità al liquore i suoi sentori più gentili. Sullo sfondo il burro affumicato, sorretto dalla polpa del Crotin Conti di Calosso 2014, che Alessandro consiglia per gli aromi caldi e mediterranei.

Tortelli di patate, bottarga, ricci e salsa di aglio nero



Poi un primo intraprendente: i Tortelli di patate, bottarga, ricci e salsa di aglio nero. Nel ripieno un pugno di ingredienti equilibrati al grammo, senza nemmeno l'ombra di carne trita. "Questo formato di pasta ci rappresenta nel mondo, perché si fa portavoce di una tradizione secolare, ma al tempo stesso è un contenitore di idee illimitate. Nel corso degli anni l'ho abbinato con tantissimi prodotti, dal pane raffermo alla pizza". Stavolta tocca alle patate, fatte asciugare in forno e setacciate dopo la bollitura per compattare la farcia. A esaltare il tubero, una triade salmastra composta da colatura di alici, parmigiano e bottarga, più erba cipollina, che in padella sposa l'opulenza lattea del burro francese. Dalla sfoglia finemente callosa al rimpallo sapido del pesce fermentato, il tortello è un sincretismo regionale che attraversa l'Italia nella sua interezza. La morbida fragranza della salsa d'aglio nero setifica il boccone, mettendo in riga i ricci di mare e la bottarga grattugiata al momento del servizio. Lo iodio c'è, ma non prevale: anche qui ogni addendo ha il giusto peso.

Trilogia di Agnello



Più ardito l'Agnello con sedano rapa, rosmarino e visciole, triade capitolina ritmata dal saliscendi gustativo. Allerta i sensi il taco di sedano rapa con tartare di carne, servito a parte per il dualismo cotto-crudo, ma il colpo di scena è una trasfigurazione della coratella in cui la confettura di visciole stempera l'amaro delle frattaglie imprigionate nel cosciotto al Marsala. Sul piatto un dripping di fondo d'ossa, sintesi estrema dei succhi rappresi in tegame per 48 ore.
Il set si chiude con una mini-cotoletta d'agnello. La indora un guscio di pane panko che suona eufonico sotto i denti, senza mollare il grip sul ripieno. In abbinamento un signor rosso dal finale fresco: Il Seggio 2019, Bolgheri DOC di Poggio al Tesoro.

Variazione di cioccolato


A congedare l'assolo proteico arriva il Sorbetto al mango, mirtilli e salsa di albicocca, peeling asprigno che sgrassa la bocca prima della Variazione di cioccolato. Nomen omen, il dessert finale è un'escalation torreggiante di cacao, dalla base al 55% ai sottili bastoncini adagiati sul gelato di stracciatella, dove il fondente sfiora quota 85%. Un happy end barocco che insiste sulle sfumature, come la trama granulosa e un po’ allappante del crumble di cacao a sostegno della mousse.



Sul finale, la piccola pasticceria traccia un ghiotto itinerario intorno al Colosseo, con la sua schiera di delizie espresse ad affollare il monumento in miniatura. Un set a cielo aperto che per un attimo blocca la coordinazione occhio-mano, sospesa fra il desiderio di immortalare la scena e l'istinto di afferrare la pasta di mandorle poggiata sugli spalti. Poi, concluso il servizio, la gola prende dolcemente il sopravvento. Mamma Roma è lì: placida, sorniona, regale. E il boccone eguaglia la vista della città.


Indirizzo


Ristorante Aroma c/o Palazzo Manfredi

Via Labicana, 125 – Roma

Tel. +39 06.97615109

Sito web

Ultime notizie

mostra tutto

Rispettiamo la tua Privacy.
Utilizziamo cookie per assicurarti un’esperienza accurata ed in linea con le tue preferenze.
Con il tuo consenso, utilizziamo cookie tecnici e di terze parti che ci permettono di poter elaborare alcuni dati, come quali pagine vengono visitate sul nostro sito.
Per scoprire in modo approfondito come utilizziamo questi dati, leggi l’informativa completa.
Cliccando sul pulsante ‘Accetta’ acconsenti all’utilizzo dei cookie, oppure configura le diverse tipologie.

Configura cookies Rifiuta
Accetta