Zero cottura, gusto amplificato: lo chef Ivan Maniago propone ai suoi ospiti un intero percorso degustazione di piatti realizzati senza l’ausilio del fuoco. Per scoprire come li ha ideati, seguiteci alla scoperta della cucina di Impronta d’acqua.
Impronta d'acqua
La Storia
È privilegio di chi scrive, scegliere di frequentare ristoranti non solo per la tipologia di offerta, che di fatto costituisce sempre il principale pretesto e resta imprescindibile il parametro della bontà del cibo, nella sua valutazione complessiva non scevra da servizio e accoglienza commisurati.
Al di là di aspetti valutativi che ci indirizzano verso una scelta, e su cui insistono più volentieri le guide, spesso chi qui scrive ha l’opportunità di sostare a tavola e addentrarsi nel dietro le quinte, approfondendo aspetti che solitamente un commensale non ha modo di conoscere, giustamente concentrato sulla propria esperienza a tavola. E quando si incontrano belle storie a corollario di buon cibo, l’emozione amplifica il gusto e il desiderio di esperire.
Ecco allora che poter raccontare di un ristorante il cui chef e patron ha scommesso la propria vita, e che in 4 anni ha compiuto un’evoluzione ottenendo importanti riconoscimenti, senza deviare di un millimetro dal progetto iniziale, è certamente degno di essere inscritto tra le narrazioni gastronomiche più felici. Procediamo con ordine. Siamo a Cavi di Lavagna, una piccola frazione sulla costa ligure, a pochi chilometri da Sestri Levante, in cui la ferrovia divide l’Aurelia dalla spiaggia; una posizione strategica, ma storicamente poco felice, perché in quel punto il mare lo si immagina di là dalle due strade, e il centro storico con le case colorate dei pescatori è più una suggestione che una realtà. Eppure qui, nel 2017, il friulano Ivan Maniago ha deciso di rilevare una vecchia trattoria per aprire il proprio ristorante. Un momento di grande spartiacque, di summa del passato e apertura di un nuovo ciclo della propria, non solo professionale.
Nato nel 1986, Ivan capisce da adolescente di voler fare il cuoco da grande, e tra i suoi primi maestri di scuola alberghiera annovera un giovanissimo Terry Giacomello. Tra stage da Marchesi, da Miramonti l’Altro di Philippe Leveillé e poi da Bottura, torna da Leveillé che dopo tre mesi di stage lo assume, lavorando per tre anni agli antipasti e ai primi. Ed è proprio per intercessione di Leveillé che Ivan riesce successivamente ad accedere al regno degli Alajmo, con un iniziale e imprescindibile passaggio al Calandrino durato 6 mesi, e poi 2 anni al Le Calandre come capo-partita ai primi.
Per amore si sposta in Liguria dove a 25 anni si trova al timone della cucina del Lord Nelson di Chiavari, dove conquista un cappello per la Guida de L’Espresso, ma l’ambizione lo porta a lasciare dopo due anni per tornare in cucine importanti. E la scelta cade sull’Antica Corona Reale, ristorante bistellato di Cervere (CN), dove lavora per due anni come sous chef di Gian Piero Vivalda.
Il 6 luglio 2017 apre Impronta d’acqua, il suo ristorante. “In 4 anni molto è cambiato. Sono stati anni difficili, l’ansia spesso mi assaliva: gestire un’azienda, seppure piccola, ma completamente sotto la mia responsabilità, è un impegno soverchiante. All’epoca la Liguria era ancora più difficile di adesso, un certo tipo di ristorazione era dura da far capire e accettare, senza calcolare che ero uno sconosciuto che veniva da Piemonte, Lombardia e Veneto. Ma ho sempre portato avanti le mie idee e la mia cucina, che continuo a sviluppare sugli stessi vettori, anzi approfondendo il mio legame con il territorio attraverso piccoli produttori che qui in Liguria sono nascosti tra le montagne, ma sono alleati veramente prodigiosi.” E la scommessa è stata vinta.
Nel difficile 2020 è arrivata la stella Michelin (per la guida 2021), e da pochi giorni anche il posizionamento tra i migliori grandi Ristoranti d’Italia per la classifica di 50 Top Italy.“Vero, ne siamo molto felici, ma la costruzione del ristorante prosegue, i grandi ristoranti si costruiscono in 20 anni”, sorride chef Maniago.
Il ristorante
C’è un’aura placida nel ristorante, nella cucina a vista, presente sin dal primo giorno, e progettata così per mostrare tutto ciò che avviene e quali prodotti vengono usati, senza segreti, in nome della massima trasparenza, e in cui Ivan si muove disinvolto e silenzioso, e grazie alla bella presenza di Madeleine in sala, maître e sommelier che da circa tre anni si fa veicolo del messaggio di Ivan con gli ospiti, in piena comunione di intenti tra i due ambiti del ristorante.
“Dopo tutti questi anni, adesso finalmente sono riuscito a mettere insieme un percorso, il cui scopo è quello di essere buono e gustoso, e quindi anche bello esteticamente. Ho creato tre menu degustazione che hanno una coerenza precisa, cerco la semplicità, non una cucina cervellotica, i miei piatti devono avere sapori percettibili: cerco la semplicità, ma non la banalità. Diversamente dal passato, oggi sto raggiungendo una maggiore essenzializzazione di ingredienti, ho compiuto un lavoro di scandaglio del territorio e della cucina ligure, e ora sento il desiderio di puntare a una cucina gestibile e soprattutto di immediata comprensione per il cliente. I miei piatti devono essere tutti buoni, non ci sono cavalli di battaglia, signature dish.
Adesso la mia cucina è sì creativa e di ricerca, ma semplice, e continua a essere coraggiosa per il luogo in cui si offre. Cromaticamente ricerco i colori primari, che riflettono la stagionalità che resta il mio focus, specie per ciò che concerne la parte vegetale, uno dei cardini su cui mi soffermo più volentieri, vista la passione che ho di girare tra i boschi in cerca di erbe e produttori liguri che non arrivano neanche a valle nei mercati locali, ma devo essere scoperti e conosciuti personalmente”, spiega Ivan.
I Piatti
Quindi sono tre i percorsi degustazione che si incontrano oggi a Impronta d’Acqua, oltre al menu à la carte: Pensieri, 8 portate a 110 euro, espressione della creatività di Ivan, Vege-table , 5 portate vegetariane (con possibilità di diventare vegano sostituendo un piatto) a 70 euro, e il menu Tutto crudo, 7 portate a 120 euro, completamente realizzato senza l’utilizzo del fuoco, una sfida stimolante poiché non tutte le stagioni offrono ingredienti adatti a essere consumati crudi, richiedendo quindi maggior ingegno e ricerca.
Ed è proprio di questo menu, che ci ha particolarmente colpito per piacevolezza e originalità, che raccontiamo i piatti, e che al di là della sapienza tecnica dello chef, fa inevitabilmente leva sulla qualità della materia prima. Si inizia con Zucca, zafferano, salsiccia e acqua di zucca, di qualità mantovana proveniente dall’azienda agricola Bombarda, e che viene fatta maturare al buio con il picciolo cerato in modo da asciugare e non risultare acquosa. Chef Maniago la utilizza grattugiata abbinandola alla salsiccia cruda di Chiavari e una maionese allo zafferano, e la condisce con un’acqua concentrata di zucca, dolce, a ricordare quasi un succo del cugino melone. Il cesello della cucurbitacea restituisce una pienezza di sapore che da crudo non sembrerebbe avere, e incontra il perfetto bilanciamento della dolcezza con la sapidità dell’insaccato, risultando nel complesso un piatto delicato eppure gustoso.
Il Baccalà e semi riconquista la dimensione marina, dissalato prima in acqua di mare che lo rende bianchissimo e inodore, straordinariamente morbido e compatto, quindi servito al naturale con spaccasassi, ovvero il finocchio di mare crudo e sottolio, e polvere di liquirizia che ne accentua le note balsamiche.
Si prosegue con Cavolo cappuccio marinato alla polvere di caffè, uova di trota selvatica, mela Golden, che ricorda il cavolo che la nonna dello chef condiva a crudo con aceto al nipotino, e quindi viene marinato in polvere di caffè e accompagnato da una centrifuga di mele e uova di trota selvatica che in bocca sono croccanti e rilasciano il gradiente di sapidità, spostando la nostra memoria tra i piatti di una cucina di montagna, alpina, si potrebbe dire, come le origini nordiche dello chef.
Ci si sposta vorticosamente a sud con il piatto successivo, Gambero rosso, mango, granita all’arancia, radicchio e rosa: una purea di mango salato, la grattachecca di arancia, il radicchio rosso, il profumo di arancia e rosa, per culminare con il gambero rosso crudo. In pratica un viaggio in Italia, dalla grattachecca, ovvero la non granita laziale, il profumo di rosa molto usato nella gastronomia ligure, il radicchio trevigiano, il gambero e l’arancia siciliani, senza contare l’orchestrazione dei sapori, dal profumo fiorito che aiuta a sintonizzare il palato, all’amaro, all’agrumato, la sapidità e la dolcezza.
Sono tutti piatti che giocano altresì sulle consistenze, e poiché si tratta di ingredienti crudi, volentieri gradiscono una componente più liquida, per dare più umidità e piacevolezza, data la forza dei sapori netti, e non meno degni di nota sono i tagli degli ingredienti, ben intarsiati e sempre commisurati alle consistenze variabili volte a valorizzare l’ingrediente e il gusto. Ci si sposta nel bosco autunnale con il Carpaccio di daino, salsa di rapa rossa e yogurt greco, ribes, polvere di tè nero e profumo di abete rosso, una straordinaria interpretazione della stagione con una carne di non facile interpretazione, qui resa burrosa e gradevole alla stregua di un manzo, certamente con note selvatiche più accentuate anche grazie agli ingredienti comprimari.
Carpaccio di daino, salsa di rapa rossa e yogurt greco, ribes, polvere di tè nero e profumo di abete rosso
Si conclude il percorso salato con uno dei piatti che Maniago propone sin dall’apertura, e che segna il suo omaggio alla cucina ligure più intima, con la sua odierna prospettiva raw che è una lente nuova con cui leggere la tradizione, il Minestrone. Avocado, a dare parte grassa, kiwi e sedano, a dare freschezza, spinaci centrifugati a dare densità e nota erbacea, per una composizione che anche dal punto di vista cromatico restituisce la bontà di questa interpretazione, affatto eretica, ma rispettosa e soprattutto contemporanea. Un piatto che funge anche da interruzione aromatica ideale – e che potrebbe posizionarsi dopo ognuno dei piatti del menu – per il dessert, Gorgonzola, sorbetto alla pera e noci.
Il dessert di cui raccontiamo però viene dalla carta, ed è Colazione in Liguria, un altro segno di omaggio alla regione che Ivan ha eletto a sua dimora, in cui al mattino si è soliti inzuppare la focaccia nel cappuccino. Ecco allora che la colazione si fa dessert con la focaccia abbinata a una panna cotta alla vaniglia con gelato al caffè bianco e una spuma di cappuccino.
Qui ancora contrasti di consistenze, sapori e soprattutto caldo freddo, eco della classicità francese che mostra la sapienza di uno chef la cui personalità si fa sempre più matura e riconoscibile, di pari passo alla sala, in cui al cibo si accompagna anche una carta vini notevolmente cresciuta e che oggi conta circa 300 referenze di buon spessore.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Impronta d’acqua
Via Aurelia, 2121- Cavi di Lavagna (Genova)
Tel: +39.375.5291077
E-mail: i.maniago@improntadacqua.com
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