Ci sono casi in cui la pizza è il cerchio attorno cui si concentra una storia di famiglia, un circuito di sapienza e affetti che si tramanda da una generazione all’altra. Esperienze che partono dal produttore fino alla degustazione finale per pochi eletti davanti a Franco Pepe in persona.
La Storia
Parlare di pizza è raccontare la storia non solo di un cerchio di pasta con pomodoro da mangiare in ogni buona occasione del giorno, con le mani o con la forchetta, seduti o per strada. Ci sono casi in cui la pizza è il cerchio attorno cui si concentra una storia di famiglia, un circuito di sapienza e affetti che si tramanda da una generazione all’altra.È questo il caso di Franco Pepe, uno dei pizzaioli più famosi in Italia e nel mondo, la cui storia ha del fascino romantico, perché è una storia di resistenza e di rinascita. Caiazzo è il fulcro di questo circuito, cittadina antica arroccata sulle colline di una Campania felix ancora virtuosa, in una provincia operosa lontana dal trambusto della città, in cui è forte un’identità che oggi trova davvero nuova linfa grazie a Pepe. Lui, con il suo lavoro, ha in questi anni acceso il motore di un turismo enogastronomico internazionale.
È proprio a Caiazzo che, nel 2011, Franco ha smesso i panni di insegnante di giorno e pizzaiolo di sera, per ristrutturare un antico palazzo in un vicolo stretto e ripido, accogliendo ragazzi del paese ma anche ragazzi immigrati, giovani e con braccia forti, che lo hanno seguito fin da subito nella costruzione di un sogno. Un sogno che è stato progettato nei minimi dettagli, nelle lunghe nottate in bianco, con l’eco degli insegnamenti del nonno Francesco e del papà Stefano, e con il desiderio di valorizzare al meglio gesti e sapori, portandoli nel futuro. Il cerchio della pizza ha così aperto altri cerchi: quello dei ragazzi di cui Franco si è circondato, e che oggi sono circa 40, ognuno con mansioni ben precise, alla stregua di un team da ristorante con 3 stelle Michelin.
C’è la squadra degli impasti, sì, perché ogni giorno l’impasto viene creato rigorosamente a mano, senza ausilio di macchinari, con il riposo in madie di legno create ad hoc. C’è la squadra di cucina, dove si preparano i condimenti delle pizze, e si friggono gli impasti, poi c’è la squadra dei forni, altro cuore pulsante della pizzeria, con i ragazzi che si destreggiano alle bocche con lunghe pale che non si scontrano mai, in una disciplina quasi militaresca, sempre concentrati eppure sorridenti. C’è la squadra di sala, che insieme al team che gestisce prenotazioni e la comunicazione, si occupano di accogliere e coccolare la clientela e il pubblico.
È una rete feconda, è un cerchio tenuto insieme dall’abbraccio di Franco, che si prende cura di tutti come una famiglia, perché sì, lo sottolineiamo ancora, quello di Pepe in Grani è un intreccio di cerchi che lui abbraccia ogni giorno come si abbracciano i figli. Infine c’è Stefano, il figlio primogenito di Franco, colui che al fianco del padre ne sta già raccogliendo l’eredità e che con lo stesso rigore sta ampliando il progetto della pizzeria verso il futuro. Il futuro che è un pensiero fisso, specie dopo questo anno di dolorosa interruzione, e in cui non si è mai smesso di fare progetti, come quello di Proxima e una collaborazione con l’Università, perché il pensiero di Franco Pepe è sempre meditativo, mai avventato, e sempre supportato da un grande dialogo e una formazione continua, con tutto lo staff.
Tutte le energie convergono quindi nella ricerca del gusto, nella volontà di mantenere integra l’identità della pizza, del suo essere principalmente un cibo da mangiare con le mani, senza velleità gourmet, ma sempre con i migliori ingredienti. Ed è qui che arriva un altro dei tanti cerchi giotteschi creati da Pepe, ossia quello dei suoi produttori, un gruppo di persone su cui Franco ha investito sia sul piano umano che nella valorizzazione di questo spicchio di territorio casertano.
Dall’allevatore di maiali nero casertano, da cui arrivano salumi nobili, al coltivatore di pomodoro riccio, una varietà recentemente riscoperta la cui buccia sottile non consente grandi raccolti, ma speciale per il rapporto zuccheri-acidi e polpa, e i legumi, come le varietà di ceci e fagioli, il produttore di olive e olio extravergine, fino alla produttrice di cipolle di Alife, la giovane allevatrice di galline da cui arrivano diverse varietà di uova, la coltivatrice di lupini, il produttore di mozzarelle di bufala casertana, quello del rarissimo formaggio canestrato romano, ancora affinato in anfora come facevano gli antichi Romani tutti concorrono alla funzione di valorizzare e vivacizzare il proprio territorio attraverso l’investimento in risorse umane e in prodotti di assoluta eccellenza.
Un’eccellenza che è tutta concentrata nei tre piani del palazzo caiatino, che non ha ceduto al canto delle sirene della grande città, e che oggi attrae golosi da tutta Italia con lunghe code nel vicolo, ma anche dall’estero, specie gli Stati Uniti dove è particolarmente amato, anche grazie a voci autorevoli quali la giornalista Faith Willinger e la cuoca Nancy Silverton, che lo hanno scoperto fin dall’apertura e che oggi sono amiche fidate e narratrici del gusto di questa pizza straordinaria, oltre al compianto critico Jonathan Gold, Premio Pulitzer 2007 che definì la pizza di Pepe come la migliore del mondo.
Ecco perché la pizza non è solo un disco di pasta, ma è un centro di gravità attorno cui ruotano moltissime energie. E chi volesse oggi goderne, può scegliere come farlo, perché nel palazzo di Pepe in Grani ci sono vari modi di degustare la pizza. Al piano terra la pizzeria è tradizionale, una sala e una veranda, con prezzi pop che spaziano dai due euro della storica pizza a libretto – quella del nonno da cui tutto è partito, e che Franco da piccino consegnava a domicilio nella stufa di latta per tenerle in caldo – da mangiare con le mani fino a leccarsi le dita, fino ai grandi classici. Poi c’è una sala conviviale, riservata ai gruppi, con opere di artisti amici alle pareti e un affaccio mozzafiato sul paese e sulla vallata. Poi ancora più sopra una sala con tavoli tondi in vetro su cui si proiettano immagini di Franco Pepe e un tavolo posto sulla direttrice del forno nella cucina al piano di sotto, e da cui si possono vedere le infornate e le sfornate delle pizze, come uno spettacolo in diretta.
Per finire all’ultimo piano in cui si sale vorticosamente verso l’experience in purezza, con Authentica, una sala con otto posti che come una mezza luna ruotano attorno al forno cui si dedica Franco Pepe in persona, con un menu degustazione esclusivo e abbinamento vini ad hoc. Nel piccolo e indimenticabile “Giardino del Silenzio”, un giardino pensile con due tavoli immersi tra piante e alberi di agrumi, l’experience si fa eterea con la dedica a Ezio Bosso, tanto amato da Franco Pepe, in cui la concretezza della pizza si sublima definitivamente in emozione.
Credits copertina: Damiano Errico
Le pizze
Tra le pizze più emblematiche di Franco Pepe, valgono il viaggio l’iconica Margherita sbagliata, in cui il rovesciamento degli ingredienti (mozzarella sotto e pomodoro sopra, a fine cottura), mirano a valorizzare il sapore del vegetale, la Capricciosa, la tradizione che torna con l’inserimento di tecniche di cucina: “Negli anni ‘70 e ‘80 la Capricciosa era chiamata ‘pizza acquerello’, in cui il pizzaiolo si divertiva a mettere quello che aveva sul banco, forse prodotti di scarto, di bassa qualità.Oggi noi le ridiamo dignità, attraverso la lavorazione degli ingredienti che la vanno a comporre, il funghetto fritto, l’oliva caiazzana al forno disidratata e ridotta in polvere, il cappero croccante, una sfoglia croccante di sammarzano, e una riduzione di basilico e olio. Questi ingredienti arrivano in tavola a fianco della pizza, in modo che l’ospite vada a comporre da solo la propria capricciosa, dosando gli ingredienti secondo il proprio gusto e creatività”.
E a proposito di creatività parla di un prodotto da lui riesumato in altra veste: “La pitta era un prodotto da forno di secondo ordine, era un pezzo di impasto che veniva messo in forno per controllare se la temperatura era giusta per poter quindi cuocere il pane, una sorta di impasto pilota. Io ho rispolverato questo prodotto, perché è un prodotto unico che si può mangiare sia caldo che freddo. È una pizza che può anche essere portata a casa, visto che in questo anno il lavoro si è concentrato molto sull’asporto e il delivery. Ma abbiamo voluto capire in che modo portarla a casa rispettandone l’integrità e il sapore. Ecco che la pitta, uno dei primi nomi della pizza, è uno straccio di impasto che racchiude perfettamente il sapore del mio impasto e dei miei ingredienti, buonissima anche il giorno dopo”.
La pizza si fa anche dessert, grazie alle intuizioni del figlio Stefano, con la Pastiera fritta, impasto di pizza ripieno di crema pasticcera agli agrumi, nocciole tostate, cannella e canditi, e la Crisommola, con confettura di albicocche del Vesuvio e ricotta.
Indirizzo
Pizzeria Pepe in graniIndirizzo: Vicolo S. Giovanni Battista, 3 - 81013 Caiazzo (CE)
Tel. +39 0823 862718
Sito Web: pepeingrani.it