Spedito dal padre a Shanghai a 18 anni per allargare il suo orizzonte professionale e senza conoscere una parola d’inglese. Inizia così la carriera in cucina di Matteo Grandi, ora nuovo re di Vicenza con il suo ristorante in pieno centro.
La Storia
È di una bellezza spettacolare questa centralissima piazza dei Signori. Sontuosa, nobile, elegante, dominata dall’arte con la Basilica Palladiana, magnifico gioiello che appartiene a una delle più belle città del Veneto. E profeta in questa patria di Vicenza è Matteo Grandi, cuoco nato il 25 aprile del 1990 e già da un po’ sotto i riflettori dell’alta cucina. Due anni di liceo e un provvidenziale cambio di rotta verso la scuola alberghiera, viene letteralmente spedito dal padre a Shangai appena maggiorenne per allargare il suo orizzonte professionale, lavora prima in un ristorante italiano e poi al Park Hyatt dove conosce Jean-Claude Fugier, chef lionese che aveva lavorato sia con Paul Bocuse sia con i fratelli Troisgros, il quale sarà il suo mentore per tutto il periodo passato all’estero per alcuni ristoranti della catena alberghiera. “Non parlavo una parola d’inglese, ma in Italia allora non c’era la concentrazione di ristoranti importanti che c’è adesso, così avrei avuto l’opportunità di imparare qualcosa in più”.Passa dalla Cina al Kuwait che “non era il posto per me, perché diversamente dalla cultura gastronomica cinese, lì non c’era molto da apprendere” e poi va in India. “Esperienze importanti, perché Hyatt - che è una catena che sul food punta in alto, un po’ come Mandarin - mi ha aperto un mondo”. Ecco che dopo sei anni di gavetta internazionale Matteo ritorna in Italia dove apre il suo Degusto ad Arcole, in provincia di Verona. È a quel punto che un amico lo spinge a iscriversi alla prima edizione di Hell’s Kitchen: “Va là parché te vinsi (vaccì perché vinci) mi ha detto in dialetto. Io in India non vedevo la televisione e non sapevo neppure di cosa si trattasse”. Alla fine, ci va e come previsto vince: “Non è che si imparino grandi cose, ma ne è valsa la pena perché grazie alla vittoria ho passato una stagione al Forte Village e sono entrato in contatto con tanti grandi, tra i quali Crippa, Barbieri e ancora Cracco. È stata una gran bella esperienza.” Da lì in poi la strada è quella di un cuoco di successo, tanto che al Degusto, trasferito nel frattempo a San Bonifacio, arriva anche la stella della guida rossa nell’edizione 2019: “è stato emozionante, era tra gli obiettivi… ma bisogna stare attenti a non lavorare solo per quello, perché è la volta che la stella Michelin non la prendi.” Infine, almeno per ora, l’ultima svolta, quella che porterà lui e la moglie Elena, regista di sala e artefice della parte dolce del menu, in centro a Vicenza a prendere il posto di Lorenzo Cogo e del suo El Coq: “Si è trattato di un mix di circostanze. Durante il lockdown ho iniziato una collaborazione per una consulenza con una startup che fa cibi pronti di qualità, di proprietà di un imprenditore vicentino. Con lui sono entrato in società; nel frattempo si era aperta l’opportunità del Caffè Garibaldi.”
Matteo la coglie col nuovo socio e decide di affrontare l’avventura che implica la gestione del bellissimo bar-bistrot del piano terra: “vorrei realizzare piatti accessibili, differenti da quelli che facciamo di sopra (dove c’è la parte fine dining rinominata Matteo Grandi in Basilica) con un occhio molto attento anche alle colazioni: per esempio con cornetti all’italiana ma sfogliati alla francese e un uso intelligente del lievito madre, perché è sempre più difficile trovare un lievitato come si deve al mattino”. Un ambiente elegante, caldo e intimo, le finestre che guardano alla basilica, poltrone comode e cucina a vista. Qui si muove Elena, laureata in giurisprudenza e ottima padrona di casa (ma non solo perché è anche colei che concepisce i dessert), folgorata e convertita al mestiere dell’accoglienza per amore e per passione. Coadiuvata da Giovanni Lo Presti, responsabile di sala, ha anche la responsabilità di una bella cantina che conta circa milleduecento etichette e di una selezione accurata e intelligente di tè pregiati da abbinare ai piatti. Con una brigata che conserva quel piccolo gruppo che Matteo definisce “lo zoccolo duro di San Bonifacio”, ovvero Giuseppe, Giulio e Rocco, la cucina viaggia che è un piacere. “Quello che mi ha insegnato Jean-Claude forse ho iniziato a capirlo bene da qualche mese. Il senso di creare nei piatti quel gusto che rappresenta bene i nostri sapori ma in qualche modo riesce anche a spiazzare l’ospite senza mai destabilizzarlo. Dobbiamo percorrere le nostre esperienze ma restare attaccati alle nostre radici sapendo evolvere.”
I Piatti
In buona sostanza per Matteo Grandi la personalità in cucina è una caratteristica fondamentale, imprescindibile, perché la mano del cuoco dev’essere riconoscibile: “il che non vuol dire che un piatto debba essere più o meno buono, ma dev’essere ricondotto a un’idea e a un concetto precisi”. E ogni volta che si mangia da Matteo – che, ricordiamolo, non ha ancora compiuto trentun anni – è sempre meglio, in una saggia alternanza tra carezze e spintoni, pause di suadenza e bocconi complessi di grande seduttività.Il preludio di amuse bouche è notevole per conto suo, dal minestrone servito con un tè verde gyokuro, alla notevole cialda di paprika con pâté di volatili, al gioco sulla polenta e gras pistà.
Classe cristallina è quella che si ritrova nelle cicale di mare con salsa iodata e meringa di vongole, così come si gode della suadenza degli gnocchi di zucca con carciofi e brodo di gocce d’oro in cui tecnica e gusto danzano all’unisono.
Un piccolo capolavoro è riso, vongole & co., non mantecato tradizionalmente ma utilizzando combawa e acqua ricavata dai molluschi. Vongole, canestrelli e capetonde vengono prima fatti marinare e poi adagiati sul riso che viene rifinito con polvere di limone fermentato, fiori di coriandolo, pomodorini confit e cinque differenti tipi di basilico: uno dei migliori primi piatti del 2020.
Il palato gode anche con una succulenza tutta giocata sull’intensità dei ravioli di castagne ripieni di lepre con foie gras e tartufo bianco.
Ancora eleganza, ed è quella del branzino con cetrioli, finocchio e acqua di mandorla, la delicatezza che precede la nobile carne del piccione cotto in carcassa; frollato con le sue frattaglie per venticinque giorni, viene servito con melanzana affumicata e salsa di fegatini: delizia in purezza.
Le note di estrema freschezza e grande pulizia del primo dessert sono appaganti: lampone, uva fragola e verbena. A concludere una sontuosa degustazione è l’opulenza bilanciata con classe di castagna, nocciola e limone.
Indirizzo
Matteo Grandi in BasilicaPiazza Dei Signori, 1, 36100 Vicenza Italia
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