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Chi è lo chef più sottovalutato d’Italia? Lo abbiamo chiesto a 10 critici gastronomici italiani

di:
Alessandra Meldolesi
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iocucinoacasaconglichef 92

Giovani e meno giovani, da zero a tre stelle Michelin, se non addirittura privi di un ristorante: sono i 10 cuochi più sottovalutati d’Italia secondo altrettanti critici gastronomici.

Gli Chef

Giovani e meno giovani, da zero a tre stelle Michelin, se non addirittura privi di un ristorante: sono i 10 cuochi più sottovalutati d’Italia secondo altrettanti critici gastronomici.

 

Alberto Cauzzi

“Ci sono molti cuochi in Italia che non hanno il giusto riconoscimento del loro valore effettivo. Vuoi perché se ne parla non a sufficienza, vuoi per l’ubicazione del loro ristorante, distante dalle rotte importanti, vuoi per il loro carattere schivo e poco mediatico. Uno che riassume tutte queste caratteristiche è Silvio Salmoiraghi. Allievo del Maestro Marchesi tra i più brillanti è quello forse meno conosciuto e meno osannato. In realtà Silvio è un condensato di talento, sensibilità, conoscenza della materia prima e delle ricette che hanno fatto la storia della cucina italiana e internazionale davvero unico.

Foto Stefano Borghesi



La sua mano, lieve e delicata ma al contempo profonda e incisiva, genera capolavori gustativi che sono spesso la rivisitazione avanguardista delle grandi preparazioni della cucina italiana, con un pensiero sempre presente alle tecniche e alle preparazioni dell’alta cucina classica. Un dono unico quello di Salmoiraghi, che sa trasformare il suo pensiero in piatti profondi, precisi e originali.

Uno degli ultimi portentosi piatti assaggiati? Lo spaghetto assoluto: Omaggio al Maestro Marchesi. Un piatto di spaghetti accompagnati da un brodo afrodisiaco di scampi e tè bianco, con gli spaghetti aromatizzati dal pecorino romano, da sentori di arancia amara, radice di liquirizia e cipollotto di Tropea, con la sua nota fenico-piccante, e da fresca e balsamica menta.

Il piatto simbolo della cucina italiana, gli spaghetti bianchi, virginali e quasi intonsi, lievemente scotti – e con la voluttuosità dell’amido in evidenza – che vengono proiettati in un futuro gustativo che, risultando contemporaneo, pesca nella memoria di ognuno di noi”.

 

Eleonora Cozzella


“Sarò molto sintetica: uno chef molto amato dai suoi clienti abituali (oltre che dal grande pubblico tv) e da parte della critica, ma decisamente non valutato sulle guide, tutte le guide, quanto meriterebbe. Lo conosco molto bene perché ho il piacere di sedermi ai suoi tavoli più volta l’anno da tre lustri. Ha un quid di genialità e nei suoi piatti si condensano sapore, territorio, sensazioni ancestrali e contemporaneità. Sto parlando di Cristiano Tomei dell’Imbuto di Lucca”.

 

Luigi Cremona


“Penso che la Michelin sia carente soprattutto nelle doppie stelle. In tanti dovrebbero averle: Vissani, Berton, Cracco; fra i giovani Baronetto, Gilmozzi, Camanini, Taglienti. Dovendo fare un nome direi che in generale il più sottovalutato è Davide Scabin, chef geniale cui dobbiamo tanto e che al momento non ha un ristorante. Speriamo per poco. Insieme a Teverini e Lopriore che sono fuori dai radar”.

 

Lorenza Fumelli

Foto di Lido Vannucchi



“Dopo un consulto interno con alcuni autori di Agrodolce, nel quale sono usciti diversi nomi di chef che meriterebbero di più, da Silvio Salmoiraghi ad Angelo Sabatelli, ho deciso che lo chef di cui vorrei sentire parlare più spesso è Alessandro Dal Degan, troppo bravo per trovarsi relegato in uno spazio così silenzioso”.

 

Andrea Grignaffini


Silvio Salmoiraghi è un maestro della cucina classica, base di partenza per divagazioni anche estreme in un laboratorio di artigiano rinascimentale”.

 

Giovanni Lagnese


“Il cuoco più sottovalutato d’Italia è Luigi Taglienti. Palato eletto a mano millimetrica, se ne parla sempre troppo poco. Molte idee che si mangiano in giro vengono da lui, ma questo spesso non viene riconosciuto. Si sottovaluta la sua influenza sull’evoluzione della cucina italiana d’autore”.

 

Alessandra Meldolesi

Foto Lido Vanucchi



“Dico Massimiliano Alajmo, per via di paradosso, come a suo tempo Bob Noto faceva il nome di Gianfranco Vissani. Perché a dispetto delle tre stelle e dei piazzamenti nelle classifiche internazionali, la complessità della sua cucina passa perlopiù inosservata dietro un’irresistibile piacevolezza. Ho sempre sospettato che il registro dell’idillio d’infanzia si sarebbe evoluto in modo sorprendente con la maturità ed è un fatto che, complice forse la congiuntura storica che stiamo vivendo, la drammaticità degli impiattati e la sfaccettatura dei gusti stanno scavando profondità nuove e paradossali vette. Come cadendo verso l’alto”.

 

Carlo Passera

Marco Visciola Marin
Marco Visciola




“Faccio più di un nome: in Lombardia Mirko Gatti del Radici vicino a Como e Michele Valotti de La Madia nel Bresciano; in Liguria vale molto Marco Visciola de Il Marin a Genova; nelle Marche infine c’è il bravissimo Enrico Mazzaroni de Il Tiglio”.

 

Luciano Pignataro

Marco Ambrosino



Paolo Lopriore



“Non è certamente facile rispondere a questa domanda, anche se abbiamo una certezza: non esistono in Italia geni sconosciuti, visto che ormai il nostro Paese è battuto in lungo e in largo non solo dalle guide specializzate, ma da decine di appassionati che scrivono sui siti e sui social. La prima domanda da porsi sarebbe allora questa: sottovalutato da chi? Se dobbiamo parlare di chi smuove veramente il mercato gastronomico, allo stato dei fatti nella ristorazione possiamo parlare solo di Guida Michelin. Allora per me la risposta diventa improvvisamente semplice: incredibile vedere Marco Ambrosino, l'unico che stia dicendo cose nuove sulla materia e sulla compatibilità ambientale, senza una stella. E al tempo stesso non capirò mai come sia possibile vedere il Four Seasons di Firenze e la cucina di Vito Mollica senza la seconda. Ma se dobbiamo parlare di una persona che in questo momento è sottostimata e sottovalutata da tutti, professionisti, dilettanti, vecchi e giovani, guide in grande spolvero e guide agonizzanti, allora c'è un solo nome: Paolo Lopriore”.

 

Massimiliano Tonelli


“Per me è Giuseppe Zen, selezionatore di formaggi, farine, allevamenti di mucche e pecore, che ha deciso, pur essendo cuoco, di cucinare in maniera diversa, puntando tutto sulla materia prima, in un contesto che non è un ristorante, ma il banco di un mercato. Condizione diversa ma non meno profonda, con la grande fatica di farsi capire da chi si aspetta determinati crismi del secolo scorso. Basta affidarsi a lui al banco del suo mercato a Milano per un percorso di degustazione appoggiati al bancone attraverso carne, interiora, verdura, formaggi. È l’emblema di tanti soggetti che sono cuochi nella capacità di riunire tutto, ospitalità, abbinamento, selezione ed elaborazione del prodotto, ma al di fuori dei ristoranti canonici. Come Gabriele Bonci, chef in tutto e per tutto”.

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