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Non solo discoteca: la dolce vita romana del ristorante “Jackie O” non smette di stupire

di:
Massimiliano Bianconcini
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jackieo

Riaperto a settembre dopo un restyling totale, offre una rivisitazione dei grandi piatti degli anni Ottanta. Da provare il menù “Dolce vita”. E dopo cena c’è sempre lo storico piano bar.

La Storia

Torna il ristorante Jackie O con un menù interamente dedicato alla dolce vita romana, che ha lasciato un segno indelebile in alcuni luoghi storici della Capitale, come Via Veneto e le strade che vi si intersecano. Paparazzi, attrici di fama internazionale, principi arabi, armatori, politici, cantanti, artisti si sono ritrovati nelle notti romane del boom economico; raccontate in chiaro scuro da Federico Fellini nell’indimenticabile film, vincitore dell’Oscar nel 1960. Aperitivi, cene eleganti, serate mondane nei piano bar hanno contribuito a creare le atmosfere magiche di quegli anni. Uno di questi è stato il Jackie O, che si trova in via Boncompagni, a due passi dall’Ambasciata americana, che ha aperto quando la “dolce vita” era ormai sul viale del tramonto, godendo comunque in parte di quell’atmosfera unica e di quei protagonisti, paparazzati da Barillari & C.


Il locale fu creato nel 1972. Ha lavorato bene fino agli anni 90, nonostante il fondatore fosse venuto a mancare nel 1983. Tutto il peso della gestione da allora è rimasto in mano alla moglie che ancora oggi, fino alle 5 di mattina, segue la parte del piano bar. Il ristorante però ha avuto una parentesi in discesa ed è rimasto chiuso per anni. È stato riaperto solo nel 2015 senza alcun rinnovamento e dopo un po’ la famiglia ha sentito l’esigenza di svecchiare gli arredi, di rinnovare la cucina e di andare incontro alle nuove esigenze della ristorazione. Era diventato necessario renderlo più moderno, senza stravolgerne l’anima, che è classica, storica, da atmosfera non certo contemporanea. La trasformazione è arrivata nel settembre del 2019. L’apertura è avvenuta il 27 settembre scorso, dopo un restyling che ha interessato la cucina, che ora è a vista e presenta subito all’ingresso una bella griglia con una brace calda e allegra, e gli arredi interni che ora offrono nel complesso un’atmosfera elegante e nobiliare. Il progetto ha voluto mettere in evidenza la storia del locale con un menù improntato alla classicità. Si sono ripresi alcuni piatti come il Riso al salto, le Tartare, le Crepe flambè. Un tipo di cucina volutamente vintage e retrò, che richiama gli anni che vanno dal ‘60 al ‘80.


«Il nostro obiettivo è far conoscere, il Jackie O per la cucina - racconta Veronica Iannozzi, figlia dei fondatori e oggi manager del ristorante -. Il locale a Roma è molto apprezzato per la musica, la discoteca, un luogo dove fare tardi, bere un buon cocktail e ballare. Da questo punto di vista c’è un’assoluta continuità dal 1972 ad oggi. Adesso però vogliamo essere tenuti in considerazione anche come ristorante, un luogo dove mangiare bene, dove scegliere di cenare il martedì sera, anche a mezzanotte, dopo il teatro. La clientela oggi è completamente cambiata. All’inizio, quando abbiamo riaperto, è stato il passaparola tra gli amici che ci ha aiutato. Successivamente si è avvicinato anche il pubblico romano più curioso. L’ambiente però era troppo datato. Va bene la cucina e la qualità dei piatti, ma ci vuole anche la giusta atmosfera».

Il Ristorante


La ristrutturazione ha volutamente mantenuto il design classico delle sale. L’impatto visivo invece è completamente cambiato. Si è passati dai toni chiari e color pastello degli anni 70 ad atmosfere scure, eleganti, quasi caravaggesche. Le tappezzerie dei divani, delle sedute e delle pareti sono in tessuti preziosi di San Leucio con intarsi in foglia d’oro. Alle pareti ci sono le immagini di Gianni Agnelli, Grece Kelly, Alain Delon, Chat Baker, Louis Armstrong; anche Luciano Pavarotti. «Abbiamo voluto richiamare i personaggi che hanno frequentato il Jackie O negli anni della dolce vita, che è passata anche da qui», sottolinea Veronica Iannozzi. La disposizione dei locali interni, che si trovano al piano inferiore della struttura, consente la giusta riservatezza ai clienti, con angoli in penombra che danno la possibilità di passare una serata tranquilla, al riparo da possibili sguardi troppo insistenti. La clientela è per la maggior parte internazionale e ad avvolgerti, oltre alla cortesia del personale di sala, c’è anche il discreto chiacchiericcio degli ospiti. Insomma, l’atmosfera predispone all’intimità, sia se si scelga il locale per una serata di coppia, sia per una cena di lavoro.


L’età media degli ospiti va dai 40 anni in su e sono professionisti o coppie per eventi speciali. Il giovedì, venerdì e sabato la musica che alle 22 anima la discoteca ai piani superiori, fa da traino al ristorante. Si sta così affermando una clientela romana che vuole provare la cucina classica e riveduta allo stesso tempo del ristorante. Molte presenze sono garantite anche dagli alberghi di via Veneto. Si cena alla carta, oppure scegliendo l’unico menù degustazione del locale che è il “Menù Dolce Vita”. Ci sono anche delle serate particolari, come a Natale, a San Valentino o per ricorrenze speciali; ma sono delle eccezioni. Il prezzo medio è di 45 €, bevande escluse. La cucina è rappresentata da Federico Sparaco, che ha una formazione classica, e da Steven Toro, che ha esperienze in brigate stellate e che consente una rivisitazione in chiave moderna. «Sono due cuochi diversi, che hanno fatto percorsi opposti, che si completano alla perfezione», dice Veronica Iannozzi.

Il menù, a dispetto del nome, è un concentrato di anni Ottanta, nel senso che l’idea di fondo che lo anima sono alcune ricette che negli Eighties andavano di moda ed era facile trovare in diversi ristoranti. Il Cocktail di gamberi, il Vitello tonnato, il Risotto alla milanese e il Filet mignon in salsa alla Rossini. Tra i dolci non può non esserci la Crêpe in salsa di arancio e Gran Marnier. Un di quelle cose che quando ero bambino assaggiavo avido dai miei genitori, perché c’era appunto il liquore Gran Marnier.

I Piatti


Il Girello di Vitello è un antipasto. Cuoce a 65 gradi per 16/18 ore sottovuoto con il Rooner a temperatura controllata. Nel frattempo, viene fatta una classica salsa tonnata con tonno, capperi, cetrioli sottaceto, alici sotto sale, e una maionese fatta in casa con uova di Paolo Parisi, sale, aceto di mele, lime, limone e olio di semi. Per l’impiattamento il vitello è tagliato a fettine molto sottili, ripassato in padella per dare croccantezza attraverso la reazione di Maillard, cotto sempre nel burro di cacao, per rispettare la caramellizzazione degli zuccheri.


Anche l’Uovo croccante è un antipasto. Si tratta di un classico scottish egg in doppia cottura. La prima fa sì che l’albume sia cotto e il rosso resti liquido. La seconda è una frittura. La panatura esterna è fatta con del panko, pane di frumento giapponese, farina di mandorle e pan grattato. Viene servito con una salsa al pecorino, ossia una salsa cacio e pepe con un goccio di crema di latte, allungata con del latte intero, burro, sale e pepe grattato. L’impiattamento è a cappello del prete con la crema come fondo, un broccoletto o una cima di rapa alla romana, ripassati con aglio, olio e peperonicino, e sopra lo scottish egg.


Per il Riso al salto si utilizza solo riso Carnaroli invecchiato. Di fatto è un classico risotto allo zafferano con una base di cipolla, scalogno. Burro e olio al 50%. Lo si fa cuocere con dei pistilli di zafferano e lo si copre con del brodo di ossobuco, precedentemente preparato per due giorni, chiarificato dalle impurità attraverso dei filtraggi. Alla fine, si fa mantecare con burro e parmigiano di almeno 40 mesi di invecchiamento. Vengono poi fatti dei dischi alti almeno mezzo centimetro e con un diametro grande quanto un fondo da portata, ripassati con burro di cacao, che ha un punto di fumo più alto, fino a creare sui bordi del risotto un’indoratura croccante. Viene poi servito con lo stesso brodo ristretto, in pratica un classico fondo di cottura, stile francese, emulsionato con una noce di burro di cacao.


La Carbonara del Jackie è realizzata con uno spaghettone monograno Felicetti, guanciale affinato in grotta di Equality Food e con una crema al pecorino, realizzata con le uova di Paolo Parisi e un mix di pecorino romano dop e di parmigiano sempre invecchiato di 40 mesi – la proporzione è di 70 a 30. Il blend di pepi è fatto in casa con pepe nero, pepe del Sichuan e pepe Savarac. I grani vengono prima tostati interi, per ravvivare i sapori della spezia, e poi rotti. La salsa viene cotta sottovuoto a 40 gradi nel Rooner per 4 ore e aggiunta di cappero. In questo modo è pastorizzata e pronta per essere usata. Deve solo prendere un po’ di temperatura sulla fiamma prima di essere aggiunta alla pasta. Nell’impiattamento ci va anche del tartufo estivo.


Per la Steak Tartare si utilizza un filetto “danish crown” certificato, nato e macellato in Danimarca. Sale, olio, mostarda di Dijon, salsa Worcester e un po’ di pepe nero grattato. Un rosso d’uovo, emulsionato con del cognac per cuocerlo un po’, è miscelato alla carne e si aggiungono capperi, cetriolini, cipolla, prezzemolo e un po’ di battuto di acciuga. Si lavora la carne direttamente in sala davanti ai commensali; ossia la si amalgama insieme a tutti gli elementi precedentemente inseriti nel composto e - siccome viene battuta al coltello e potrebbe presentare pezzi non omogenei - con le forchette si finisce di sminuzzarla. Alla fine, si aggiunge del succo di limone e si fa riposare il tutto per 3 minuti circa. Prima di servirla la si ricompone nel piatto come fosse un hamburger.


White world, è una doppia sfera di meringa classica alla francese, realizzata con 100gr di albume, 100gr di zucchero semolato e 100gr di zucchero a velo. Montata e cotta al forno per 7 ore a 75 gradi circa. All’interno si pone della crema al mascarpone con frutti di bosco freschi come lamponi, ribes, more e mirtilli e un gelato alla vaniglia. Con un po’ di liquore Strega si chiude la sfera e si mette sopra una salsa di cioccolato caldo a base di gianduia, fatta con gianduia, latte, burro e panna. La salsa che avvolge il White World viene aggiunta in sala.


Anche la classica Crepe viene realizzata in sala davanti ai commensali. È una crepe neutra, senza sale e zucchero, in stile francese, fatta con uova intere, farina doppio 00 e latte a filo intero fresco, fino a raggiungere la consistenza voluta. Viene cotta per due minuti in una padella calda con una noce di burro di cacao e una salsa balsamica (ossia agrodolce) fatta con succo di arancia fresca e Gran Marnier, più sbilanciata sulla parte agrumata che su quella dolce. La si piaga a fazzoletto e con del cognac si fa il flambé. Una volta spenta la fiamma, si fa tirare il succo d’arancio, in modo da trasformarlo in una salsa densa. Nel piatto la crêpe è accompagnata con del gelato alla crema e lamponi che spezzano i sapori e puliscono la bocca con le acidità.

Indirizzo

Jackie O Ristorante

Via Boncompagni 11, Roma

Tel: +39 06 4288 5457

Mail info@jackieoroma.com

Il sito web 

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