Tra platonismo e surrealtà, i suoi piatti spesso vengono intuiti in sogno. La sua è una cucina di contrasti, ironica e spensierata, che unisce tecnica e rispetto per le materie prime.
La Storia
Per parlare di Aqualunae Bistrot e del suo chef patron Emanuele Paoloni bisogna ricorrere ad un esempio. Quello della roulette. La fisica ci spiega che la pallina prima subisce una forza centrifuga che la proietta all’esterno e poi, quando la forza gravitazionale del piano inclinato torna preponderante, si accasa in una delle caselle centrali. Piazza dei Quiriti, rotonda come la roulette, è il luogo geometrico da cui tutto parte e a cui tutto ritorna. Mentre le caselle sono il lavoro, la famiglia e la casa. «Cercavo questa piazza per affetto famigliare. La chiesa è dove si sono sposati i miei genitori e dove mi sono sposato io; dove ho battezzato i miei figli e dove adesso abito e lavoro. In questa piazza ho conosciuto mia moglie. Lei aveva una stanza sopra l’officina di mio padre. Tutta la mia vita gira intorno a questa piazza. Qui conosco tutti e tutti mi conoscono. Per me è un piccolo paese». Questione di prospettiva, che ci fa capire come il legame sentimentale con il quartiere è il piano inclinato, al quale nessuna forza centrifuga può resistere.Eppure, in principio, quando le scelte incominciano a urgere e diventano storia personale, il rien va plus del croupier spinge un giovane laureato romano in Francia, ad inseguire una laurea in economia aziendale e bancaria, che porta in dote un lavoro come “tagliatore di teste”, ben pagato ma stressante. Lì Emanuele, nelle ore libere, frequenta un corso di alta cucina alla famosa scuola Le Cordon Bleu. La sua è una passione che gli è stata trasmessa dal papà, assimilata dai figli per emulazione e imprinting direbbero i sociologi. «Quando ero piccolo e volevo un gioco, mi mettevo in cucina con mio fratello, lui scriveva il menù e io cucinavo un intero pranzo per la famiglia. Ovviamente con la supervisione dei miei genitori. Alla fine portavo il conto che era quanto ci serviva per comprare quello che volevamo. Il gioco insomma me lo guadagnavo in cucina».
Lasciato dopo solo 8 mesi il praticantato in Francia (era l’epoca della fusione di Bnl con Paribas), perché il lavoro richiedeva pelo sullo stomaco, Emanuele rientra in Italia e, nel tempo dell’attesa, si mette a studiare cucina e a frequentare la scuola romana Tu Chef. E di nuovo la forza centripeta fa schizzare la pallina in tutte le direzioni. Arriva infatti uno stage di 8 mesi da Heinz Beck e poi quello con Gianni Bono al Capriccio di Mare di Montalto di Castro, per la stagione estiva. Si parla di circa 10 anni fa, quando Emanuele aveva 24 anni. La piazza gira vorticosamente e lo sospinge in Francia, Austria, New York, Miami, Messico, per tante differenti esperienze. «Partivo con l’intenzione di stare fuori al massimo un mese, per imparare un po’ di tecniche e fare esperienze e capitava che mi fermassi anche sette o otto mesi. In quel periodo ho imparato tante cose da tante persone: da un lavapiatti piuttosto che da uno chef stellato. Tecniche e accostamenti nel piatto. Sapori e consistenze. Le ho fatte mie e oggi le reinterpreto», ammette Emanuele.
Poi il ritorno a Roma, grazie a Massimo Sola, chef stellato di Eataly, che lo assume come responsabile del reparto pesce. L’ultima esperienza è stata da Ginger in Piazza Sant’Eustachio, come executive. «Dopo Eataly e prima di Ginger, ho aperto una società di catering per fare matrimoni, battesimi e cerimonie, insieme ad un socio. Insieme a lui mi sono gettato in un’avventura: un ristorante all’Acquario Romano, che però non è mai partito perché la società si è rotta per divergenze di vedute. Ci sta è tutta esperienza».
Infine, è arrivato il desiderio di mettersi in proprio e di farlo nel luogo da cui tutto è iniziato. Prima di entrare nel dettaglio però bisogna parlare di un’altra casella di Piazza dei Quiriti: quella dell’amore, sbocciato nella medesima piazza dall’incontro casuale (ma il suo è un destino chissà quanto cercato e voluto) con una ragazza che abitava due piani sopra l’officina e a cui ogni tanto si prestava di spostare la macchina. Si è materializzato una sera, quando al centro della fontana che sta al centro della piazza una luna si è affacciata tra le nuvole. Oggi i due abitano in un edificio adiacente. E il locale si chiama Aqualunae Bistrot.
Il Ristorante
Piccolino e intrigante, gioca sui colori del blu, dell’azzurro, dell’ocra e dell’oro, calibrandoli bene, senza appesantire, offrendo nel complesso un’atmosfera rilassata. Nel corso dei lavori è stato scoperto un muro in pietra e mattoni che Emanuele e sua moglie hanno voluto lasciare a vista, nella sua veste originaria. Sulla parete opposta è stato posizionato un grande mosaico che ricorda gli alieni pixellati dei primi videogiochi Atari. Un tocco di spensieratezza e di ironia, ma anche di modern art. È stato poi scelto un bancone basso, stile francese, per una questione di trasparenza e per lasciare a vista anche la cucina. Il locale di fatto è diviso in due aree. Una relax, arredata come se fosse un salottino di casa con tanto di quadro e specchio. Una più formale con tavoli ampi e comodi, realizzati in Umbria su disegno di Emanuele e di sua moglie. In totale ci sono 24 coperti, a cui si aggiungono le 16 sedute del dehors estivo.Aqualunae Bistrot dal 23 dicembre è aperto tutti i giorni e ha cambiato tre menù in circa cinque mesi. A colazione presentano pancake e crepe fatti internamente, cui si possono aggiungere bowl (ciotole) con frutti esotici. Non manca la classica all’italiana. Il pranzo prevede un menù versione easy dedicato agli uffici. Nel pomeriggio all’ora del the si può scegliere tra 24 tipi in foglie. L’aperitivo è un’anteprima del menù serale con antipasti formato finger. Tre finger e un calice costano 15 euro. Il vero divertimento arriva la sera, dove i clienti sono coccolati dall’inizio alla fine. C’è sempre almeno un’amuse bouche e presentano il pane fatto in casa e i sali del mondo che usano. C’è poi la voglia di performare, realizzando al tavolo il pre dessert: un sorbetto zenzero e lime cotto in azoto liquido; oppure, per l’estate, una sferificazione di menta e zenzero. Si chiude con il dolcetto finale: un regalo dello chef. Prezzo medio, bevande escluse, intorno ai 40 €.
Che cos’è la cucina per Emanuele Paoloni? È puro platonismo o forse sarebbe meglio parlare di surrealtà. «Mi capita di notte di sognare un elemento, una materia prima. Sogno e durante la notte mi agito alla ricerca della combinazione migliore tra gli ingredienti. Non so dire se sono in uno stato di dormiveglia o di sonno profondo». Quindi, un piatto di Aqualunae Bistrot nasce come nascono i racconti onirici di Alberto Savinio; o i quadri di Salvator Dalì. Una volta che è nella testa, va poi tradotto. Dal sogno si deve passare alla realtà; e qui inizia la ricerca, perché per lui in un piatto ci deve essere una parte cremosa, una parte più croccante, una acida, una sapida e una dolce.
«Per me un piatto è completo quando ha tutti questi elementi legati insieme». Un sovraccarico di informazione per chi assaggia? Può darsi. Anche se lo chef punta alla leggibilità del piatto che deve essere netta e chiara. La difficoltà sta tutta nell’equilibrio. «Se spingo troppo su un elemento, sbilancio e rendo vano il piatto, che a quel punto non ha più la sua ragione d’essere. Eppoi, visto che anche l’occhio vuole la sua parte, cerco di lavorare sui colori. Gioco ad esempio con la frutta che se è essiccata mi dà il croccante; se è fresca mi dà acidità e vivacità».
Lo chef proprio per i suoi trascorsi all’estero è comunque consapevole che la cucina è un gioco di forze contrapposte. «Nel nord Europa prevale la tecnica, mentre in Italia con i grandi prodotti che abbiamo non c’è bisogno di spingere in questa direzione. Bastano loro. Se io ho un gambero di Mazara del Vallo farò di tutto per preservarne l’unicità. Ma se ho carne di selvaggina devo fare marinature e cotture a bassa temperatura, per arrivare all’eccellenza». Per questo in menù ci sono piatti dove la materia prima è valorizzata nella sua semplicità e dove il vero impegno è quello di selezionare i produttori migliori, riducendo al minimo l’uso delle tecniche. Altri piatti invece subiscono un’intensa lavorazione e vanno assemblati secondo la sua speciale visione.
I Piatti
Prima di parlare dei piatti parliamo di food cost, che in questa fase iniziale di start up si aggira intorno al 40-45% del prezzo in menu. «In questo momento non posso metterci troppo ricarico sopra, perché ho bisogno di farmi conoscere, altrimenti si dovrebbe aggirare intorno al 30%. Poi bisogna tenere presente l’imposizione fiscale, i costi del locale e alla fine ci dovrebbe essere anche il mio ritorno personale», mi racconta lo chef con un lieve sorriso di imbarazzo. Anche i fornitori incidono sul food cost, perché un conto è acquistare tanto da pochi produttori; diverso è fare il contrario con costi che lievitano. Il km zero per lui è importante. Farlo ad esempio tutti i giorni a casa ha un senso, ma se si esce una volta al mese no! Per questo non pratica una cucina di territorio.Per la Capasanta si inizia realizzando una gelatina di verduzzo passito. Al vino, una volta messo sul fuoco e fatto evaporare l’alcol, viene incorporata la gelatina. Il composto è fatto raffreddare, gli viene dato uno spessore e poi cubettato. Le chips sono delle patate americane tagliate a mandolino e fritte. La mortadella Igp viene saltata in piastra per sgrassarla; mentre le capesante vengono saltate in una padella incandescente. Il loro corallo, l’aletta arancione che le accompagna, viene saltato in padella, a parte, con olio e peperoncino e frullato con del mango. Gli agretti del piatto sono puliti bene, sbollentati e passati in acqua e ghiaccio per non far perdere il colore. Vengono conditi a freddo e impiattati. Sopra viene messa la capesanta scaldata. E si monta il piatto con tutti gli elementi che in questo modo sono tutti riconoscibili.
Il Gambero di Mazara è un antipasto più semplice dove al centro predomina la materia prima nella sua naturalezza. Il gambero è crudo. Pulito e servito con un pan di spagna al cioccolato bianco, che tra l’altro presenta anche un contrasto di temperature, perché il pan di spagna esce fuori caldo e il gambero è comunque freddo. Lo chef realizza una maionese allo zafferano, ci aggiunge una lacrima di lampone per dare acidità e dei pistacchi per la croccantezza. Il piatto nasce perché lo chef in genere, quando cuoce un gambero o uno scampo utilizza il burro di cacao che non ne altera il sapore.
Le Orecchiette ombrina, asparagi con gel al peperoncino, porro bruciato e lime è un altro piatto che spiega bene la poetica culinaria di Emanuele Paoloni. Una volta pulita l’ombrina, con le lische e la testa si fa il fumetto per 50 minuti. «Un fondo di carne può stare su anche quattro - sei ore, il pesce e le verdure invece dopo 50 minuti hanno dato tutto», rivela lo Chef. Si salta l’ombrina con aglio, olio e peperoncino e la si mette da parte. Una volta sbollentate le orecchiette, si finisce la cottura della pasta in padella con gli asparagi e con il fumetto del pesce fino a renderla cremosa. Si inserisce a quel punto l’ombrina per non stressare troppo le sue carni. Al momento dell’impiattamento si aggiunge il porro caramellato, bruciato con il cannello, che dà anche un vago sentore di affumicato. In precedenza era stato anche fatto un gel al peperoncino, tagliato con del peperone rosso per non renderlo troppo piccante. Il gel è ottenuto mandando in over cook il peperone senza buccia con il peperoncino. Una volta tirato, lo chef ci aggiunge un po’ di zucchero di canna e il gel è pronto per essere adoperato. Prima dell’uscita viene messo un filo d’olio e una sprizzata di lime.
Altro piatto interessante che richiede inventiva e tecnica è il piccione cotto a bassa temperatura. Una volta pulito il piccione, con le ossa si fa un fondo per sei ore. Il piccione viene cotto a bassa temperatura, sottovuoto, al vapore per 45 minuti. Viene servito con delle zucchine alla scapece, quindi con una parte di acidità importante, una polvere di Ciauscolo e una spuma di patata americana che dà dolcezza e cremosità al piatto. Lo chef lo arricchisce con un gambero rosso di Mazara, sempre crudo, e il piatto viene presentato in cloche con un’affumicatura di ciliegio fatta al momento, che dà un contrasto sensoriale inaspettato ed è anche scenografico a vedersi.
Un must della sua carta dei dolci è infine il Semifreddo al the macha, servito con riso e orzo soffiato, legati assieme con il cioccolato fondente e al quale sopra viene messo un croccante di caramello salato. Questo è un dolce fresco, che non ha una dolcezza invasiva: c’è il cioccolato fondente, la croccantezza e il caramello salato che gioca sui contrasti. Lo chef non ama infatti i dolci troppo zuccherini, ma soprattutto ama giocare sui contrasti.
Indirizzo
Aqualunae BistrotPiazza dei Quiriti, 20 - Roma
Tel. +39 06 3107 6456
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