Chef Eventi

Il Giglio da Zia, la giovane cucina italiana si muove bene e sa dove andare

di:
Luciana Squadrilli
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cenaziaegiglio

Antonio Ziantoni ha ospitato nel suo ristorante romano i colleghi Stefano Terigi e Benedetto Rullo del Giglio di Lucca, per una cena one shot. Un menu orchestrato alla perfezione ma soprattutto una bella occasione per guardare dove va la giovane cucina italiana.

La Cena

Le cene a quattro (o più) mani – collaudatissimo format gastronomico in cui uno chef ospita nel suo locale un collega, solitamente proveniente da un’altra città o nazione – sono diventate una sorta di tormentone, e c’è chi (giustamente) inizia a lamentarsene, criticandone ragioni e modalità.

Anche se spesso rimangono una buona occasione per provare (pur se “fuori casa”) la cucina di un ristorante troppo lontano per poterlo visitare agevolmente, non sempre i risultati sono all’altezza.  E, soprattutto, è difficile che si crei la giusta armonia non tanto tra i cuochi quanto tra i loro piatti, che giustamente hanno un proprio stile e un proprio carattere.


A questo, però, ci sono sempre delle eccezioni. Lo è stata, per esempio, la cena dell’11 febbraio scorso in cui Antonio Ziantoni, il giovane chef laziale che dopo diversi anni al fianco di Anthony Genovese ha aperto il suo ristorante a Trastevere, ha ospitato Stefano Terigi e Benedetto Rullo del Giglio di Lucca. Assente giustificato Lorenzo Stefanini, rimasto alla guida del ristorante aperto oltre vent’anni fa dal nonno Franco Barbieri insieme a Giuliano Pacini e Loredano Orsi e che, da qualche anno, è affidato al giovane trio che ne ha rivoluzionato la proposta gastronomica senza perdere del tutto le proprie radici che affondano nella storia di Lucca e della sua tradizione.

Lorenzo e Benedetto sono stati compagni di corso di Antonio ad Alma e così è nata l’idea della cena da Zia: una bella occasione per buttare l’occhio su due delle realtà più interessanti della nostra cucina “giovane”, che in Italia sta vivendo un momento particolarmente felice riuscendo a ritagliarsi degli spazi autonomi senza necessariamente porsi “contro” la tradizione, che sia quella regionale e popolare o quella della grande scuola di stampo francese.


I tre cuochi hanno messo a punto un menu che alternava in maniera intelligente e riuscitissima i piatti dell’uno e dell’altro locale, tanto da sembrare quasi che i piatti fossero stati creati per la serata in modo da dialogare tra loro pur mantenendo una precisa identità: più elegante ed “educata” (ma non per questo poco incisiva) quella di Zia, più verace e per certi versi dissacrante quella dei ragazzi del Giglio, anche se tecnicamente impeccabile. Un’armonia davvero rara che, se ci permettete un parallelo letterario, ci ha fatto pensare al collettivo WuMing e alla sua capacità di scrittura corale che trova pochi paragoni nella narrativa italiana odierna. E, soprattutto, un’occasione privilegiata per osservare da vicino – prendendo come “campione” dei veri e propri campioni – dove va la giovane cucina italiana.


Una generazione di cuochi che di certo sa il fatto suo e non ha paura di osare ma che punta – in  primis – a farsi capire da tutti, lasciando da parte effetti speciali e tecnicismi esasperati per puntare all’essenza del gusto.  Così, se Antonio Ziantoni punta a mettere in evidenza le materie prime per lo più locali e provenienti da piccole realtà di fiducia, vestendole però con l’eleganza della haute cuisine, (ma senza la sua prosopopea), i tre del Giglio scrivono senza mezzi termini anche sul sito del ristorante di voler fare “ristorazione democratica, di essere sempre comprensibili e ripuliti dall’inutile”. In entrambi i casi, il risultato è raggiunto e anche superato, con piatti mai banali ma soprattutto estremamente godibili che si ritrovano nei rispettivi menu dei due locali.

I Piatti


Si parte con una bella sequenza di bocconi di benvenuto che, come accade nei rispettivi ristoranti, sembrano voler mettere subito in chiaro le cose. Tra il consommé di manzo minimalista – ma molto intenso all’assaggio, arricchito dal sapore delle castagne e dell’aceto di cachi che non si vedono ma si sentono – e la foglia di erba cristallina con carpione di capperi, che gioca su texture e acidità, tra le proposte del Giglio sbaraglia tutto la strepitosa tartelletta di fegato e anguilla con polvere di lamponi. Mentre Ziantoni manda in tavola due classici di Zia, il cono con radicchio e scamorza affumicata – croccante fuori, avvolgente nel ripieno – e la divertente “idea di mozzarella” (una sfera di latte di capra, servita nel suo siero) che avevamo già assaggiato come predessert, a riprova che le categorie stanno strette alla cucina contemporanea. Davvero un testa a testa per i due antipasti: l’animella con pompelmo, zucca e curcuma di Rullo e Terigi è insieme un capolavoro di raffinatezza e una sonora sveglia per il palato, e la salsa che resta nel piatto (dolce, acida, sapida, morbida) chiama irresistibilmente la scarpetta con l’ottimo pane di Zia. Anche l’Insalata di maiale di Ziantoni – maiale sfilacciato, erbe aromatiche, semi di girasole, arachidi e maionese di carbone, avvolti a mo’ di taco nella yuba (pellicola formata dalle proteine della soia) e serviti con un dashi di maiale, katsuobushi e alga kombu – segna un ossimoro tra veracità e raffinatezza, ma soprattutto un boccone estremamente appagante.



Si arriva ai primi, e i ragazzi del Giglio mandano in tavola un “risotto” dove a essere mantecati con un lussurioso burro acido al dragoncello sono dei semi di girasole, appena croccanti e oleosi, accompagnati dalle foglie fresche di diversi tipi di crescione, le lumache con il loro fondo e una generosa grattugiata di tartufo nero, in un esplosivo insieme di morbidezza e acidità. E se all’apparenza i plin di Ziantoni (appena oversize) sembrano più rassicuranti, va specificato che sono ripieni di un intenso erborinato della Savoia e accompagnati da un ancor più intenso brodo di cipolla e chiodi di garofano, con un effetto destabilizzante ma per nulla spiacevole.


La salsa alla maître d’hotel che accompagna il trancio di razza potrebbe sembrare un’impeccabile esecuzione del grande classico importato in Italia dall’Artusi, invece è una bella rivisitazione di Ziantoni che all’emulsione di burro aggiunge – anziché il succo di limone e la julienne di dragoncello – del lemon curd, messo pure accanto al pesce insieme alla salsa di dragoncello e al  topinambur in crema e arrostito e laccato.


L’anatra alla brace del Giglio, invece, fatta cuocere su un letto di erbe aromatiche, viene mostrata al tavolo intera prima di essere sporzionata e servita completamente nappata da una buonissima riduzione di cavolo rosso, barbabietola e tamarindo inframezzata dalla salsa di pinoli, con un effetto camouflage di grande effetto alla vista ma pure al palato.


Il goduriosissimo macaron ripieno al foie gras e mosto di Zia – pure questo servito in altre occasioni come amuse bouche, ma la verità è che lo si mangerebbe in qualsiasi momento del pasto e anche fuori pasto con ugual piacere  – segna il cambio di registro verso il dolce, e anticipa l’arrivo del dessert, il Risolatte di Carnaroli con caramello allo zucchero di canna, crema e meringa all’aglio nero e melograno in due consistenze (i grani e un crema sferificata) creato da Christian Marasca, secondo di Ziantoni ed esperto pasticcere.

Ma come abbiamo già detto, la nuova generazione di chef sa bene che le regole sono fatte per essere infrante. E dunque, al termine di una cena già piena di stimoli sensoriali e sorprese – anche nel calice, con vini, sidro e birra selezionati da Wine Independent – i tre si prendono la briga di mandare in tavola due piatti di pasta, come fosse una spaghettata di mezzanotte tra amici.


In questo caso, però, gli amici sanno il fatto loro e nessuno resiste a una cucchiaiata – presa dal piatto conviviale servito al centro del tavolo – dei tortellini panna e soia del Giglio (versione rimasterizzata del grande classico anni ’80, con la nota umami a levare ogni ombra di grossolanità) e a una forchettata dei clamorosi spaghetti alla chitarra di Zia, rivestiti da un vellutato e deciso ragù bianco di germano che sembra quello della nonna contadina (per chi abbia avuto la fortuna di avercela) passata però per la scuola del Cordon Bleu, e da un gelato al ginepro e gin. Forse su quest’ultimo la nonna avrebbe avuto da ridire, o forse pure lei ci avrebbe arrotolato dentro gli spaghetti con avidità come abbiamo fatto noi.

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