Ha dell’incredibile, la storia dei Roscioli: da un antico panificio a conduzione famigliare, i due fratelli Alessandro e Pierluigi sono riusciti a creare una meta iconica con bottega, enoteca e ristorazione acclamata nella capitale. Ma quali sono i prodotti che stupiscono la clientela? Dalle etichette di pregio alla ricca selezione del salmone affumicato Coda Nera, ce li raccontano i proprietari.
Il locale
Ah, che bella Roma: il Pantheon, Bernini e Borromini, il Colosseo, i Musei Vaticani… chi la vive dice che non ha mai visto così tanti turisti, compresi quelli di altissima fascia grazie a hotel sempre più esclusivi. Per le strade del centro quasi non si cammina fra un flash e l’altro, eppure la città conserva fortissimi la sua identità e i suoi riti. Per esempio, la visita a quello che è a tutti gli effetti un museo del gusto: la bottega con ristorante Roscioli, con la possibilità di portarsi a casa piccoli capolavori dell’artigianato gastronomico internazionale o di farseli servire su uno dei 45 coperti, che girano vorticosamente.
Il colpo d’occhio è impressionante: solo fra i formaggi, perlopiù italiani e francesi, più qualche referenza inglese e olandese, si tocca quota 400, che scende fisiologicamente del 20% quando le pecore vanno in secca; poi ci sono oltre 150 salumi, centinaia di scatoline e scatolette, barattoli vari, salse, mostarde, conserve, oli, aceti e confezioni di pasta secca; fino alle 3000 etichette di vino selezionate dal guru Maurizio Paparello.
Ogni centimetro è stipato di cultura gastronomica che qui si può studiare, trasmettere, piacevolmente divulgare. Fino agli spartiti di musica arancione: quelle baffe di salmone su un lato, fra cui spicca il corallo del Coda Nera.
La porta, fendendo il solito viavai, si apre sulla centralissima via dei Giubbonari, dove dietro al suo inventario Alessandro Roscioli si schermisce: “Alla fine si tratta di pane e salame. Non salviamo mica vite umane, al massimo alziamo un po’ i trigliceridi. Qui protagonisti non siamo noi, ma le materie prime”. Oggi ha due figli, ma già da ragazzino col fratello Pierluigi dava una mano nello storico forno di famiglia in via dei Chiavari.
Il padre Marco, che aveva undici zii, tutti nell’arte bianca, era subentrato il 26 febbraio 1972, ma l’insegna era storica, attestata fin dal 1870. Un editto papale del ‘400 menzionava anzi un panificio nella via, quando ancora non esistevano i numeri civici. Ed era quasi certamente quello, uno dei quattro che davano il pane ai poveri.
“Già negli anni ’80, mentre facevo il liceo, mi occupavo dei dolci, preparavo torte di mele, ciambelloni e crostate con la ricotta; poi sono passato al banco per la vendita al dettaglio e ho fatto anche il fattorino”, ricorda. La salumeria era stata aperta nel 1992 e all’inizio era una bottega come le altre, poi ha cambiato format allargandosi alla ristorazione. Oggi è lui a seguirla con la sorella Maria Elena, mentre Pierluigi sovrintende al forno.
“Sono io a occuparmi della selezione: cerco di girare più che posso per trovare produttori di nicchia. E spesso sono i clienti ad aiutarci, parlandoci di cosa hanno assaggiato nei loro viaggi e portandoci perfino degli assaggi. Un metodo che mi ha aiutato tanto. Così per esempio ho scoperto un produttore di Fiore Sardo nel Campidano, che usa ancora il metodo del mezzo fuoco con la vasca aperta e l’affumicatura con fumo di risulta, a venti metri dai formaggi, che vengono stagionati in casolari sperduti senza finestre".
"Quando l’ho assaggiato, mi sono detto: Mamma mia! Era completamente diverso da quello che avevo sempre provato. E arrivava da uno che in vita sua avrà visto cinque esseri umani. Per parlargli devo cercarlo al telefono fisso e passare dalla moglie. Allora inizia la contrattazione: Quante forme hai? Perché in tutto ne farà 130-140. E me le spedisce con Poste Italiane”.
I prodotti
Certo non mancano i turisti, ma lo zoccolo duro della clientela è fatto ancora di romani che vivono il quartiere, più l’online che però resta contenuto, riguardando solo i prodotti serbevoli. E sono le stesse referenze che arrivano nel distaccamento di New York, con tutte le autorizzazioni del caso. La romanità detta legge soprattutto a tavola, con il guanciale, il pecorino, la ricotta giusti.
Poi si spazia, per esempio le feste sono tempo di salmone, in arrivo da Norvegia e Irlanda, Scozia e Canada. Alessandro ne ha selezionate sei tipologie: due salmoni selvaggi, due biologici, due allevati in acque correnti, fra cui Coda Nera, l’unico da un produttore italiano.
“L’ho scelto perché di qualità altissima. Ha un punto di affumicatura intermedio, che personalmente trovo perfetto ed equilibrato, non copre e non asciuga la carne. Resta sempre tenero e si scioglie in bocca. Lo serviamo anche ai tavoli in un taglio sashimi con burro in pomata di Saint-Malo allo yuzu e pane caldo. Perché, quando la materia prima vale, meno ci si mette mano, meglio è. In carta si può scegliere fra tutte e sei le tipologie, ma i salmoni più consistenti vengono tagliati diversamente, a fette lunghe o meglio ‘a schiaffo’, come si dice qui a Roma. E li vendiamo tutto l’anno”.