L’insegna di Giacomo Devoto mostra quanto il fattore umano possa incidere su quello ambientale (e viceversa), lasciando traccia di sinergie profonde negli assaggi. Fra le campagne di Fosdinovo, un hotspot di cucina consapevole che “coltiva cultura”, dall’azienda agricola al fine dining.
9 in punto e aria pungente, girovagare a spasso per l'orto è il miglior modo per tenersi strette le endorfine incamerate a colazione. In bocca ancora la trama del pan brioche caldo di forno gustato poco fa insieme al prosciutto di bottega -buffet non pervenuto, alla Locanda de Banchieri il buongiorno è espresso di prassi. Sarà che abbiamo appena scambiato due parole con Mirco, esperto di botanica intento ad accudire la sua prole di piantine e altrettanto incline a lodarne i progressi (quasi fossero figli in crescita!); sarà pure che il risveglio lento senza cibi preconfezionati ci ha riconnessi allo scenario bucolico fuori dai soliti giri cittadini. Sta di fatto che quando il cuoco-patron Giacomo Devoto giunge a spiegarci come nascono i piatti del ristorante maison (prima e unica stella della Lunigiana per la Guida Michelin 2025) assistiamo a uno dei rari casi in cui il prodotto plasma il menu e non viceversa.


"Ogni singola erba che uso abita qui", esordisce lo chef, vero Virgilio di questo casale sperduto fra i colli di Fosdinovo a 15 minuti d'auto dal centro di Sarzana, rigirando fra le dita un sedano d'acqua coperto di brina. "E pensare che all'inizio c'era solo un terreno di 40.000 metri quadri distrutto e abbandonato. L'abbiamo pulito e rimesso a nuovo in tre anni, senza gettare via né le canne, né i rovi: sono stati gradualmente bio- triturati per restituirli al suolo". A indicar che l'essenziale è invisibile agli occhi, ma sta tutto in una fitta rete di rapporti vegetali.


Testa in su e s'intravedono le oche sgambettare in prossimità di una piccola sorgente: da lì il loro concime corre lungo un flusso d'acqua ininterrotto, raccolto in 7 vasche sotterranee che vengono poi ripompate nell'area verde, seguendo pure un'oculata rotazione delle coltivazioni. Giacomo, però, è andato avanti. "In brigata ho rinunciato agli utensili superflui, faccio la pasta fresca con le uova delle oche stesse e non concepisco primizie che viaggiano soffocate dalla plastica. Che senso ha spendere 10.000€ di imballaggi l'anno se posso impiattare l'insalata appena colta?". Il basilico ha un profumo salmastro, dritto e acuto: cancella la memoria della versione sbiadita "da vaschetta". E allora "dopo aver lavorato i fiori lo lasciamo seccare portando il ciclo a compimento, proprio per avere una continuità d'impiego". Lo ritroveremo sulla pizza di Officine del Cibo, altra tappa di una piccola costellazione di realtà interconnesse (i locali di Giacomo sono due e non uno, stay tuned).

Tant'è, 2-3 passi e compare la frutta: kumquats, limoni e "20 corbezzoli 'neonati' che magari fra 4 anni andranno a comporre una portata stagionale in carta. Ci vuole pazienza per aspettare che formino una bella comitiva". La medesima pazienza che ha portato lo chef a ridurre il dispendio energetico a 15 kilowattora, coi pannelli fotovoltaici che abbassano l'impatto di altri 5. Mirco, nel frattempo, ha completato la sua ronda mattutina: sì, ci assicura, la prole di piantine dà soddisfazione!

Locanda de Banchieri: il gourmet e l'accoglienza
Passando dallo zoom al grandangolo, emerge via via il quadretto di una tenuta introdotta da un "non cancello" sulla scia dei poderi toscani e scomposta a sua volta nel progetto di accoglienza (4 stanze, in futuro 6) più l'omonimo fine dining aperto al pubblico interno ed esterno. Il pasto iniziale della giornata si sceglie già al check-in azzerando ogni parvenza di spreco e le camere inglobano elementi rustici da cui emana un certo senso di familiarità: è la meta agreste che ti sblocca ricordi country senza peccare di ridondanza.


Così, se per trascrivere i punti salienti dell'agenda 2025 di Giacomo Devoto non basterebbero tre articoli, noi abbiamo scelto di spiegarvi perché Locanda de Banchieri mette alla porta qualsiasi tipo di sbandieramento etico tout court: "Non amo abusare del termine 'sostenibilità', preferisco parlare di 'piena consapevolezza'", puntualizza lo chef. "Dobbiamo essere consapevoli di quel che abbiamo attorno, e la gastronomia è solo uno dei mezzi per raccontarlo". Dunque, oltre l'autoproduzione green, il gourmet "coltiva cultura" con un'expo di opere cangianti, spesso eseguite da artisti di zona (numerosi i vernissage organizzati in loco e le serate con accompagnamento musicale, proprio per gettare i semi di una riflessione che trascende il cibo).


D'altro canto, i punti luce in sala rischiarano il set di una dimora moderna che non oscura la storia, con le mura della villa padronale risalente al XVII° secolo e le vetrate strategicamente protese sulle campagne della Lunigiana; ai tavoli, la scultura "fluttuante" di Giorgia Razzetta -una "nuvola di marmo" che unisce menu e paesaggio attraverso la materia nuda. "Col tempo, inoltre, prenderà forma una sorta di 'locale nel locale' riservato a un numero ristretto di ospiti", spiega il cuoco neostellato. "Da un lato un private table da 4-6 coperti, dall'altro un drink table dove chi lo desidera potrà pasteggiare con proposte alcoliche e analcoliche".



Le attività, il fattore umano e il modello "circolare"
Va da sé che Locanda de Banchieri attinga da una biodiversità fra il terrestre e il marino: "Lunigiana totale", di cui l'haute cuisine rappresenta il coronamento senza tarpare le ali ad altri format paralleli. Ulteriore tassello è, infatti, il lab di ricerca sugli impasti Officine del Cibo (ve ne parleremo a breve), fermo restando un solido team a rinsaldare entrambe le attività. "La maggior parte della squadra lavora insieme da anni: io ho esordito proprio in pizzeria", racconta la sommelier Elena Braglia, oggi a presidio della cantina che fa da contrafforte ai tasting del ristorante con un migliaio di etichette scelte (fra le figure chiave del servizio, sia di Officine che di Locanda, menzioniamo pure il bravo Simone Bellè).

"Di solito contesti simili comportano un elevato turnover dei dipendenti, vista la ramificazione. Invece, per noi è esattamente il contrario: siamo cresciuti insieme a Giacomo, spesso cambiando ruolo e scoprendo nuove attitudini. E poi, in cucina girano i medesimi ingredienti: grazie al sistema "ad anello" ciascuno conosce, sperimenta e ottimizza in prima persona le risorse dell'azienda agricola". Un esempio di quanto il fattore umano incida su quello ambientale (e viceversa), lasciando traccia di sinergie profonde negli assaggi.

I piatti di Locanda de Banchieri
Banditi i menu blindati: alla Locanda la carta è un must e ciascuno può strutturare l'esperienza in piena autonomia. Senonché balza subito all'occhio il triplice itinerario pensato dallo chef ("Portus Lunae" a 80€; "Alpi Apuane e dita di Nettuno", a 100; "Lunezia Andata a Ritorno", a 140), da cui emerge un "mix and match" di elementi capaci di condensare nel piatto l'eclettismo geografico circostante. Un approccio non scontato -vale la pena ribadirlo -nonostante le origini sarzanesi di Devoto, passato dalla Locanda dell'Angelo di Paracucchi alla Val D'Aosta, fino a marcare da zero la sua impronta di ristorazione autoctona.

Il benvenuto è tradizione compressa ad alto dosaggio di sapore: immaginate cinque specials popolari ridotti per l'occasione a miniature di pochi centimetri. C'è la Scarpazza ligure con la tipica sfoglia ripiena di verdure, cui una cagliata e un'estrazione di erbe donano l'acidità mancante; il Testarolo, sì, ma più crunchy "perché condizionato sottovuoto e cotto successivamente sul testo di ghisa, nonché imbiancato da Parmigiano Malandrone con 48 mesi di stagionatura"; il Baccalà alla carrarina, pranzo preferito dai cavatori che si scopre street food venendo prima marinato nella scapece di pomodoro e in seguito fritto (l'opposto della ricetta standard): ne deriva un finger dalla trama inconsueta, con la marinatura ristretta "a mo' di ketchup".

Ancora: mai avremmo pensato di lasciarci tentare da un crostino toscano del tutto privo di fegatini, eppure è questo il pezzo forte dell'amuse bouche, completamente vegetale. Ultimo affondo, la Mesciua, fragrante zuppa di legumi spezzina convertita in una cialda di farina di ceci.

Dal ripescaggio di un pesce grasso troppo spesso sottovalutato -la sciabola- trae invece origine "Azzurro", intro di mare "snellita" da una salsa alla mugnaia alternativa: "Niente farina, la realizziamo coi ritagli dell'animale meno comuni". Trovata smart per detergere la bocca con un senso diffuso di pulizia, che alza il tiro insieme al rinforzo sapido del caviale di aringa.

Sulla stessa linea d'onda La Seppia farcita al cappon magro, al netto della barbabietola e della salsa verde presenti secondo tradizione. "Quest'ultima, in particolare, tende ad appiattire le sfumature delle varie componenti. Alla fine le abbiamo rimpiazzare entrambe, ricreando l'idea pura della pietanza con una sola base fermentata di aglio e limone". Tradotto significa accentuare la parte agra, virando lentamente dalla costa agli abissi -vedi il velo di seppia in superficie, un sigillo contemporaneo che stratifica la percezione verticale.

Pare un sandwich la Pontremolese, ghiotta intersezione fra Liguria, Toscana ed Emilia. "Volevo accendere una lampadina su tre regioni 'diversamente simili'", confida lo chef. "Quindi si parte dal reperimento della vacca da lavoro, di cui trattiamo il posteriore per un impiego consapevole. La Panizza fritta congiunge simbolicamente l'areale ligure e Pontremoli; l'ostrica spezzina inietta un plus di iodio e grassezza al posto di acciughe e capperi". E il gesto di assemblare la portata riattiva i sensi, per un intervallo giocoso: "All'esterno la frolla, che modello ancora con lo stampo dei biscotti di Natale di mia nonna; dentro, il meglio delle erbe selvatiche stagionali". Un flashback con i piedi ben piantati nel presente.

Il carboidrato muove un passo lieve nel Bottone emiliano a Bolgheri, cacciucco di canocchie e seppia marinata. La mantecatura? "In una salsa di mare con burro di cipresso, per dare una svolta aspra e legnosa all'avvolgenza della pasta fresca". Neanche a dirlo, nel topping balena un guizzo fulmineo di toscanità, tributo sentito dello chef all'amico Pier Giorgio Parini.

Fermo in carta e dinamico in bocca, il Risotto all'estratto di zuppa di mare e piante selvatiche si stampa netto sul palato con la sua escalation erbacea: "L'idea originaria era quella di epurare dagli eccessi il classico risotto alla marinara, trattando in estrazione il brodo di pesce". Obiettivo raggiunto col fresco inserto di 5 specie vegetali sulla superficie, sicché sembra di mangiare 5 risotti in uno. Le erbe, infatti, non languono col calore; al contrario, donano lunghezza seguendo un ordine tattico: "Il cerchio si chiude con la menta e l'erba cedrina, di maggior balsamicità".

In dirittura d'arrivo è la carne a guadagnar terreno, complice una Ballotine di coniglio dalla cottura multipla: dopo il passaggio in casseruola, il secondo ripieno di salsiccia e castagne viene ultimato sull'antica piastra di ghisa alla francese, bagnato da una sontuosa salsa royale di foie gras e cacao e affiancato da una crema all'aglio per smorzare il picco d'intensità selvatica. Titoli di coda con Luni di Miele: "Quello della Lunigiana è stato il primo in Italia ad ottenere la DOP", sottolinea lo chef. Il dessert insiste su una tuile che abbassa il tenore zuccherino, tirando in ballo sentori tostati inaspettati. 23 in punto e aria pungente, all'esterno s'incrociano i vicini di tavolo per una chiacchierata notturna. "L'hai visto l'orto? Qui lo fanno sul serio".

Contatti
Locanda de Banchieri
Via Porredo 32 - Caniparola di Fosdinovo [MS]
Web: https://www.locandadebanchieri.it
Email: info@locandadebanchieri.it
Tel. +39 333 1849263