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Javier Olleros, lo chef bistellato galiziano che impiega cortecce d’albero bruciate

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina javier olleros

La sostenibilità, mantra della cucina contemporanea, è un concetto sempre meno generico e più creativo: Javier Olleros ne ha fatto un metodo, con cui sta scalando le classifiche mondiali.

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Fin dove può arrivare la sostenibilità? Di fatto per l’alta cucina paletti e asticelle continuano a spostarsi: sono sempre più radicali e creative le misure che si possono adottare, mentre i risultati e i riconoscimenti si moltiplicano. Javier Olleros, per esempio: lo chef del Culler de Pau a O Grove, unico ristorante bistellato della Galizia, ne ha fatto il filo conduttore della sua cucina ed è oggi candidato a miglior cuoco del mondo per The Best Chef Awards.

Crediti Gruppo Nove



Come ci è riuscito? Di certo non manca l’orto con la sua serra, inaugurata nello scorso mese di febbraio: sono 2500 metri quadrati di terra, da cui oltre 200 tipi di vegetali, talvolta nuovi, più spesso da varietà autoctone e dimenticate, o perfino a rischio di estinzione, sono delicatamente prelevati venti minuti prima del servizio. Ma il segreto è il compost: “Un ristorante fine dining che sa di compost? Perché no, dato che il concime è vita e il compostaggio il nostro polmone”, dichiara.


In pratica diventa compost il 60% dei rifiuti dello stabilimento, rovesciato nei 6 cassoni che costeggiano l’orto, dove cortecce secche e colonie di lombrichi aiuteranno la transustanziazione. Ma non è l’unico concime in uso: c’è anche il bokashi giapponese, elaborato a partire da melassa e corteccia d’albero bruciata. “Qui niente è chimico e la terra è ottima. Stiamo sperimentando un sacco di cose. Alcune non nell’orto, ma nella serra, come l’erba ostrica”, spiega Roberto Lores, culinary gardener della casa.



Per Olleros, la sostenibilità non è una meta, ma un viaggio. Lo ha intrapreso nel 2014 con la moglie e socia Amaranta Rodriguez per capire meglio il prodotto da cui ricava le ricette. Non è solo una questione di freschezza, per quanto ne sia ossessionato, al punto da utilizzare quasi solo prodotti di prossimità, i propri o quelli acquistati ogni mattina alle otto al mercato. L’intimità significa anche comprensione e capacità di utilizzare l’ingrediente nella sua interezza. Il sedano, per esempio: i fiori essiccati sono usati per aromatizzare i piatti, le foglie sono polverizzate per il sale e dai gambi si estrae un succo per i brodi. “Per me questo è un laboratorio. Siamo soliti vedere i prodotti come li vendono al mercato. Ma qui vedi la pianta come esce dalla terra, quindi conosci tutto di lei e le dai un altro valore. Tutti i cuochi dovrebbero fare questa esperienza”.



A questo fine, Olleros collabora con centri di formazione, associazioni di coltivatori e con università come il Basque Culinary Center. Risale a un paio di anni fa l’inizio della collaborazione con La Missione Biologica della Galizia, istituzione scientifica di Pontevedra che funziona come “un’arca di Noè dei semi”, grazie alla quale sono stati recuperati i piselli lacrima e un cavolo riccio autoctono. Poi c’è un’altra sostenibilità: quella nello sfruttamento delle risorse umane. “Bisogna farla finita con i rifiuti fuori controllo, il ritmo frenetico e gli orari di lavoro eccessivi”, tuona Olleros. A questo fine occorre intervenire a livello di formazione e regolamentazione, ma anche il cliente deve accettare che esiste un orario per mangiare.

Fonte: El Pais

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Foto: Crediti Culler de Pau

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