Nel centro di Firenze l’hotel La Gemma, incastonato come uno smeraldo fra i palazzi del Rinascimento, accoglie la cucina di uno chef di caratura internazionale, Paulo Airaudo, interpretata da due giovani allievi. Il risultato è un tripudio di gusto e di colori, perfettamente calibrato sul format ricettivo.
Foto di Lorenzo Noccioli
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L’hotel e la proposta gourmet di Paulo Airaudo
San Sebastian è una città dove il gourmet patisce l’imbarazzo della scelta: qui si tiene da decenni uno dei congressi gastronomici più importanti del mondo e da qui fu sferrato l’assalto al cielo da parte di una generazione di formidabili cuochi baschi, fra cui Juan Mari Arzak e Pedro Subijana, che hanno seminato la loro discendenza quando la cucina spagnola era ancora poca cosa. Vi si è fatto strada a sorpresa anche un cuoco argentino, Paulo Airaudo, che detiene da Amelia due stelle accese come fiaccole.
Ma ne vanta altrettante da Noi a Hong Kong e una da Aleia a Barcellona, più altri 11 esercizi sparsi fra Miami e Buenos Aires. Una cucina globetrotter, che gli ha fatto dichiarare: “Ovunque sono straniero, per questo posso essere me stesso”. Passato per le botteghe di Heston Blumenthal, Juan Mari Arzak e il nostro Alberto Faccani, Airaudo, che ha genitori piemontesi, ama infatti rimescolare carte e mappe: la sua, dice Michelin, è una grande cucina che miscida in modo originale i fondamenti baschi con tocchi orientali e italiani.
E proprio l’Italia ricorre nella sua biografia professionale: dopo un primo passaggio toscano a Borgo di Santo Pietro, Airaudo è approdato nella città del giglio grazie all’endorsement della General Manager Laura Stopani e alla fiducia riposta in lei dalla famiglia Cecchi, che vi ha aperto un nuovo hotel in pieno centro, verde come uno smeraldo.
A un anno esatto dall’inaugurazione, la prova della tavola non delude. Estetica, colore, pulizia e riconoscibilità degli ingredienti, sempre integri e centrati, la fanno da padrone in una cucina riflessiva e gioiosa, perfettamente calibrata sul settore alberghiero, che si inchina col sorriso a schemi e riti del pasto classico. Ecumenica senza scadere nella banalità grazie a una leggerezza programmatica, fatta di salse piacevolmente liquide e acidità defaticanti, che cedono man mano alla sostanza.
La cucina
Il merito va anche ai due giovani allievi, che Airaudo ha incaricato di materializzare le sue idee: Tommaso Querini e Olivia Cappelletti, entrambi trentacinquenni, già al suo fianco nel ristorante stellato di Ginevra. Tommaso dopo lo scientifico a Firenze si è iscritto al Cordon Bleu. “Poiché mi era sempre piaciuto mangiar bene, ho pensato: proviamo questo corso!” E la scommessa è stata vinta, visto che dopo la Cucineria si è ritrovato alla Bottega dello chef argentino, subito piazzato ai primi piatti e poi chef del bistrot svizzero.
Tornato a casa da secondo della Leggenda dei Frati, è stato richiamato da Airaudo, che gli ha proposto quel ruolo di chef, che avrebbe condiviso con un’amica di lunga data. Olivia, dal canto suo, dopo il diploma da geometra e 3 anni di giurisprudenza aveva frequentato un corso di CAST Alimenti, prima di lavorare alla Bottega del Buon Caffè, con Airaudo a Ginevra e alla Menagère, in attesa della stessa, fatidica telefonata.
Lo chef argentino passa a ogni cambio di menu, ma è in contatto permanente con i due resident, interscambiabili e paritari, per le prove dei piatti e non solo. “Il menu è tutto opera sua: una cucina internazionale creativa, che ha dietro molta ricerca e tante idee, sempre diretta, di facile interpretazione, per tutti”, assicura Olivia. “Proprio perché la conosciamo bene, siamo in grado di riprodurla, anche se nel tempo dalle influenze nordiche si è spostata verso contaminazioni orientali”.
Ai due spetta invece il compito cruciale di reperire la migliore materia prima, perlopiù in zona. I menu degustazione sono due: da 4 portate alla cieca oppure da 8, rispettivamente a 115 e 175 euro. In accompagnamento una carta dei vini da un centinaio di etichette, amministrata dal restaurant manager Vito Angelilli.
I piatti
L’esordio è sempre una liquidità, secondo la scuola classica e orientale: in questo caso un consommé di carciofo condiviso con Amelia, ricavato dall’ortaggio intero con brodo di pollo o vegetale (per i vegetariani), più olio estratto a freddo da zeste di limone e bacche di vaniglia, per prolungare la dolcezza. Poi due assaggi italiani: il finto cono gelato di Mortadella e granella di pistacchi e la tartelletta finissima di chela di astice condita con estratto di gamberi rossi, olio al basilico e spuma di burrata. Cambia registro l’ostrica, servita cruda con salsa allo Champagne, caviale osietra, aneto e foglia d’oro, su una base di gelatina di dashi, che chiude la sequenza di benvenuto giocando sui riti del lusso.
Sembra quasi un ceviche, ma è un sashimi la ricciola nostrana, condita con alga kombu arrostita e sale di Maldon, poi disposta a rosa con il daikon curato al sale, per correggere la testura, punteggiata di ume kosho piccante, guarnita di alga kombu bianca in pickle e irrorata di acqua di finocchio colorata alle cipolle rosse e all’umeboshi, per il leggero cromatismo rosaceo. Una seconda liquidità defaticante dalla pulizia cristallina.
Molto belli i gamberi rossi conditi con olio, sale e lime, sul piatto con gel citrico agli agrumi, gel, brunoise e polvere di rapa rossa, un’onda di crème fraîche con olio all’aneto che dinamizza il piatto, cangiante davanti all’ospite come una nuvola, di nuovo sullo schema lattico/ittico.
Poi la materia e il gusto crescono in modo vettoriale, a cominciare dai bottoni ripieni di taleggio e patate, conditi con beurre blanc alla riduzione di Vin Jaune, per il sentore ossidativo, più foglia ostrica e fasolari al barbecue, per il colore, la callosità, il minerale.
Seguono i cappelletti di piccione, quasi un monogusto che in realtà è un primo servizio del volatile, dove la farcia è ottenuta dalle coscette stracotte al vino rosso e brodo di carne, con il relativo fondo e salsa al burro.
La coda di rospo viene leggermente frollata, passata a bassa temperatura e finita in padella a fuoco vivo, per la rosolatura al limite del fumé; sul piatto con cozza grigliata, cime di broccolo, topinambur in crema e in consommé al lemongrass, finito con olio allo yuzu kosho.
Poi il secondo servizio del piccione, cotto in carcassa a bassa temperatura e poi in casseruola nappando, servito con il suo fondo, crema di cipolle bianche, aglio nero, cipolla in pickle, olio al cipollotto e fungo maitake al barbecue con grasso di anatra e lardo, dalle consistenze intriganti.
Per il formaggio a fine pasto c’è il “flan” di caprino francese con cialda di miele e caramello di patata dolce, ottenuto dalla lavorazione del tubero eppure terso.
Chiude il dessert tono su tono di topinambur in buccia soffiata e crema al naturale, per lo scalino dolce con il gelato al cioccolato bianco e la sua polvere, crumble di pistacchi e aria di mandorle.
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Contatti
Hotel La Gemma- Luca's
Via Dei Cavalieri 2C, 50123, Firenze (IT)
EMAIL: info@lagemmahotel.com
Tel. hotel: +39 055 0105200