Nel centro di Rovato il sogno di tre soci-amici tra fine dining e mixology: la proposta concreta, costante e gustosa di Al Malò.
La storia
Si dice che tre sia il numero perfetto; una perfezione che nel caso di Al Malò è racchiusa nel nome stesso del ristorante. Al Malò, infatti, è l’anagramma delle iniziali di Alberto, Mauro e Lodovico, a suggellare il profondo legame dei tre amici e soci che nel gennaio del 2019 hanno intrapreso questa avventura.

Il ristorante, nato dall’amore per la cucina, per il buon vino e per la mixology, trova spazio all’interno di un palazzo dell’800 in Piazza Cavour nel cuore di Rovato, paese simbolo della Franciacorta. Oggi purtroppo, Alberto, non c’è più, ma Lodovico e Mauro curano la loro “bomboniera” -come amano definirla- come fossero ancora un magico trio.

In Piazza Cavour fine dining, mixology e una notevole selezione di vini si fondono e creano una sinergia che l’ospite, sia che si fermi per un aperitivo, che per un drink o per cena, percepisce in un ambiente elegante, sofisticato, sempre accogliente, ma mai ingessato.

Il concept
Al piano terra la grande vetrata lascia intravedere l’elegantissimo bancone di marmo del cocktail bar dove Nadia Benedetti, allieva di Simone Bani (che fine a qualche mese fa faceva parte del team di Al Malò) miscela come un'esperta alchimista, proponendo una carta di oltre 100 drink, di cui molti signature, in continua evoluzione. Ad Al Malò non poteva mancare uno spazio riservato ai cocktail d’avanguardia; infatti, il background di Lodovico, che oggi si occupa della sala, annovera una lunga carriera trascorsa nel mondo della mixology.

La scala, sulla sinistra del bancone, conduce al primo piano dove si trova il ristorante fine dining, cuore pulsante del concept pensato dai tre amici. Ad accogliere i commensali un ambiente dal sapore internazionale, dove colpisce la singolare carta da parati dalle atmosfere tropicali con irriverenti scimmiette. Minuziosa è la cura dei particolari: dai tavoli in marmo, ai dettagli dorati, alle poltroncine di velluto color ottanio, alle altissime finestre che regalano uno splendido scorcio sulla piazza semicircolare di Rovato. L’ambiente dai chiari accenti Déco si rivela presto la perfetta location per assaporare la cucina concreta e lungimirante di Mauro Zacchetti e l’accoglienza del servizio di Lodovico Calabria, affiancato dall’esperienza di Enrico Teli nella proposta vini.


Mauro, nato in Franciacorta, a Longhena, ha alle spalle numerose esperienze in Italia e all’estero, da New York ad Hong Kong; allievo di grandi maestri come Berton, Niederkofler, e Léveillé, concepisce una cucina che rispecchia la sua personalità, ma ancor più, i suoi viaggi, le sue esperienze, le persone e i sapori incontrati. Una cucina che Zacchetti ama definire “concreta, costante e gustosa".

Punto di partenza, nonché cardine di ogni creazione sono il gusto e la texture. “Cerco di raccontare il meno possibile le mie creazioni, perché voglio che il piatto si racconti e si esprima da solo. Amo usare pochi ingredienti, ma molto ben calibrati. Non sposo la filosofia di chi tratta poco la materia prima, altrimenti sarei semplicemente un rivenditore; amo, invece, trasformarla per far apprezzare tutte le sue sfaccettature, sempre nel massimo rispetto. Il risultato finale deve essere un piatto gustoso e alla base devono esserci i sapori: tutto ciò che è estetica e tecnica arriva un attimo dopo”, dice lo chef.

La cucina
Così nei piatti di Mauro spesso lo stesso ingrediente subisce diverse lavorazioni, come nel caso del salmerino proposto sia marinato e appena scottato che in versione tacos. Zacchetti gioca con marinature, affumicature e cotture ad hoc senza, tuttavia, far mai prendere il sopravvento alla tecnica, che deve assolutamente essere funzionale all’esaltazione della materia prima.

Emblema di questo pensiero è la barbabietola al BBQ “caduta in testa a Mauro come la mela a Newton". “Il piatto è nato in un periodo in cui ero affascinato dalla barbabietola. Non sono mai stato troppo cervellotico nel dar vita a una nuova pietanza; le mie creazioni sono influenzate dalle emozioni, dalle sensazioni e, sicuramente, dalla stagionalità, ma, soprattutto, dal fatto di concentrarmi su un prodotto (sia carne, pesce o vegetale) che in quel momento mi colpisce. Nel caso della barbabietola, per esempio, mi sono messo a studiarla per capire come portare nel piatto il gusto che avevo in testa. Volevo il sapore del vegetale, ma anche la nota affumicata, quindi ho pensato di farla alla brace; poi il croccante delle nocciole e non poteva mancare l’accento erbaceo dato dal levistico".

La cucina di Mauro, dove i protagonisti sono il gusto e la texture, è estremamente dinamica e in continua evoluzione: tranne alcune eccezioni, come nel caso della barbabietola e della lingua, in carta sin dal primo giorno, le proposte si alternano molto velocemente, anche nel giro di poche settimane. “Il menu non cambia totalmente, ma ogni due tre settimane introduco nuove portate. Può capitare che un piatto rimanga in carta anche per molti mesi, ma quando lo sento un po’ stanco e in cucina c’è un po’ di noia nel replicarlo, beh, allora so che è arrivato il momento di toglierlo. Non c’è una regola fissa, dipende tutto dalle sensazioni mie e della brigata. Il mio modo di creare non è così immediato; partire dalle consistenze o dai sapori rende la sfida più complessa, ma è proprio ciò che più mi stimola e crea profonde sinergie”.

I piatti
Un tavolo di marmo con i profili dorati e un solo dettaglio colorato, una statuetta rossa raffigurante una scimmietta, sono il foglio bianco su cui Mauro Zacchetti scrive le pagine del libro della sua cucina. Una mise en place senza fronzoli, così come il suo modo di interpretare gli ingredienti: concreto e diretto, pronto a svelare ogni segreto e sapore. Le prime righe del racconto di chef Zacchetti sono lasciate a una tartelletta di pasta fillo con crema di fave, piselli e pecorino dove la nota dolce è sterzata da quella erbacea; a una piccola meringa bianca di cavolfiore, la sua crema e uova di aringa affumicate dalla potente sapidità e alla zucchina tonda grigliata con lardo per perseguire il fil rouge del vegetale, esaltato da note ora grasse, ora sapide.

Dopo la prefazione si continua con la spuma di topinambur, la sua polvere e uova salmerino. Il piatto è caldo, avvolgente e la mente viene subito ricondotta alle coccole di un piatto di purè, dove, però, la leggerezza della spuma "inorgoglisce" la sapidità delle uova di salmerino per uno sposalizio che prende il nome di umami. La sfumatura cromatica della spuma prosegue nella portata successiva con il giallo brillante di un piatto davvero ardito, che ammalia il palato: l’Olio e i suoi condimenti. Un piatto potentissimo, quasi estremo, dove, come rivela il nome stesso, il protagonista indiscusso è l’olio. La densità della crema avvolge ed esalta l'intensità delle erbette selvatiche e dei fiori. L’identità del piatto si crea nel susseguirsi di ogni singola cucchiaiata: ognuna di esse assume una sfumatura diversa a seconda della foglia che si va a “cogliere”. Il sapore intenso e deciso dell’olio, tuttavia, non copre mai il sentore vegetale e selvatico. Qui il ricordo della montagna e del verde incontra i sapori mediterranei del pane di sfoglia al burro, pomodori secchi e capperi con cui fare l’obbligatoria scarpetta. Alle prime pagine usate per descrivere il vegetale segue il Salmerino alla pizzaiola.

Sulla crema di pane di segale è adagiato il salmerino scottato solo su un lato; risulta carnoso e scioglievole, non serve il coltello. E’ un continuo contrasto di temperature, di sapori e di consistenze. Il piatto è caldo e così anche la crema, ma il salmerino, dall’interno ancora rosa, è tiepido. L’affumicato della burrata e l'acidità del pomodoro e del fiore di cappero incontrano la dolcezza del pane di segale. A fianco un piccolo tacos con tartare di salmerino e cavolo viola a dimostrare come uno stesso ingrediente può assumere vesti e sfaccettature estremamente diverse al palato. Si entra nel capitolo dei primi (anche se nel menu non esiste la differenza tra antipasti, primi e secondi, ma è suddiviso tra vegetali; pasta e riso, pesci e molluschi e carni) con gli gnocchi di patate e spinaci, cicale di mare crude, katsuobushi e consommé di cicale a completare il piatto.

Una vera esplosione di umami. La consistenza e la ruvidità degli gnocchi è perfettamente bilanciata dalla leggerezza del consommè e dalle cicale, che, essendo crude, donano al piatto quella consistenza morbida e quasi gommosa che contraddistingue i mochi giapponesi, tanto apprezzata dallo chef. I Cappelletti alla milanese, poi, raccontano una serata trascorsa a Milano da Mauro e Lodovico lo scorso Giugno; un omaggio al capoluogo lombardo. La pasta ripiena di ossobuco è accompagnata da una crema di zafferano; la sfoglia è fine, ma, allo stesso tempo, adatta a contenere il carattere deciso del ripieno, cui l’olio all’aglio orsino dona una nota selvatica e fresca.

Il climax della storia di “Al Malò" si raggiunge con la Millefoglie di lingua di vitello 2019: un piatto da Oscar, in carta fin dal primo giorno; sarebbe un vero crimine toglierlo. La lingua salmistrata e quella naturale vengono prima cotte separatamente poi assemblate per continuarne la cottura fino a formare una vera e propria millefoglie accompagnata da un fondo all’olio montato e semi di senape in agrodolce. La parte vegetale è lasciata al tortino di verza. Ad accompagnare questo Big Bang di sapori una coppia di cappelletti in brodo ripieni di brasato di coda. Un piatto che in questo caso racchiude in sè l’essenza di un “pranzo di Natale all’italiana”, ma che, pur mantenendo la lingua come protagonista, viene adattato ad ogni stagione. Ricco di personalità, tocca un ampio range di sapori, temperature e consistenze.

Con il petto di anatra alla brace le proteine restano protagoniste della portata che segue. Qui la carne dell’anatra assume numerose vesti nella volontà di chef Zacchetti di proporre lo stesso ingrediente nei modi più diversi. Così dalla carnosità del petto cotto sulla pelle, la personalità del suo fondo e la dolcezza della mela cotogna si passa alla croccantezza della coscia d’anatra panata e fritta, dove il ripieno ha la consistenza del pulled pork ed è esaltato da una goccia di miele leggermente piccante per arrivare, poi, all’opulenza del pan brioche che accompagna il patè di fegatini.

Una sfera di burro di cacao ripieno di vodka e fiori di sambuco è il pre dessert che prepara la bocca al lieto fine che, fin dal primo giorno, è affidato al Tiramisù caldo e freddo “Al Malo”. Nel bicchiere trasparente la crema al mascarpone e vaniglia è alleggerita dalla spuma calda al caffè e vivacizzata dalla croccantezza del biscotto alla nocciola: il perfetto finale di una favola intitolata “Al Malò”.
Contatti
Al Malò
piazza Cavour 28, Rovato, 25038, Italia
Tel: +39 030 535 7565