Minimo comun denominatore il gusto, dal confortevole al più spinto: dopo aver assaggiato oltre 2000 piatti in 300 ristoranti, Marco Colognese stila la sua lista dei “magnifici 12” per il 2023.
I migliori assaggi 2023 di Marco Colognese
È stato un anno denso e ricco di soddisfazioni gastronomiche, quello che è appena passato. Del resto fare un mestiere che implica viaggiare in continuazione su e giù per l’Italia mettendo ogni tanto il naso e le fauci anche fuori dai confini, dormire fuori casa venticinque notti su trenta e tentare nel frattempo l’impresa disperata di tener sotto controllo il giro-vita, ha le sue peculiarità. Trecento (e uno) tra pranzi e cene, un paio di migliaia di piatti degustati, tante chiacchierate con cuochi e camerieri e chissà quanti litri di pairing alcolici possono dare però un’idea abbastanza precisa di come la ristorazione stia evolvendo nel suo percorso a ostacoli in apparenza senza fine. Problemi di personale pressoché ovunque, crisi vocazionale soprattutto in sala, motivazione da inseguire, pubblico da coinvolgere, no show da gestire: non si può dire che la situazione sia rosea. Eppure, in un contesto in cui le insegne continuano a essere troppe e le professionalità in campo risultano ad assetto variabile, non poco spesso con un tasso di approssimazione intollerabile, la battaglia quotidiana è combattuta da un largo manipolo di eroi dell’accoglienza.
Per non parlare di noi addetti ai lavori: troppo pigramente aggrappati al mainstream, continuiamo a scrivere degli stessi cento personaggi quando ne avremmo a disposizione almeno cinquanta volte tanti. Cosa potremmo fare? Ad esempio muoverci, per quel che si può in modo il più possibile indipendente, cercando di evitare condizionamenti e ragionando sulla base del nostro gusto e della nostra esperienza. Non è semplice da mettere in atto, ma ci si può provare, mettendo a confronto le cosiddette grandi tavole con quelle che magari solo perché Michelin non assegna loro una o più stelle sono considerate (a torto) minori. E spesso si tratta di locali che riempiono, cosa mai scontata per qualunque categoria. È il buono, quello che dovremmo trovare, non solo nel piatto ma anche nel luogo, nel servizio, nel modo in cui si dipana la nostra esperienza: un’alta qualità complessiva, insomma. E anche l’emozione, che non sempre arriva. Mi sono emozionato da Enrico Crippa a Piazza Duomo, per quella perfezione mai fine a se stessa, mai fredda, per quel mood dinamico che manca a molti tre stelle, sempre più compromissori, istituzionalizzati e meno vivi.
Ho vissuto attimi gastronomicamente ultraeccitanti in quello che per me è un ristorante fuori concorso come Disfrutar a Barcellona, il lusso del gioco goloso a livelli siderali. Mi sono commosso quando ho visto salire sul palco per la seconda stella Maicol Izzo di Piazzetta Milù, perché lui e tutta la sua famiglia a Castellamare di Stabia hanno realizzato qualcosa di potente, oltre ad avermi fatto vivere il pranzo dell’anno. Continuo ad amare, un menu dopo l’altro, la forza espressiva implacabile di Ana Roš, così come la maestria con il pesce di un grande come Lionello Cera, sempre più proiettato verso l’alto. Così come quel sorridente, silenzioso artefice di bontà che è Donato Ascani al Glam.
E a proposito della città più bella del mondo, mentre ci si interroga sul futuro di Oro al Cipriani Belmond e di Dama dopo l’uscita di Lorenzo Cogo da executive, sta andando forte il bravissimo Salvatore Sodano al Local. Tappe veneziane imprescindibili, com’è anche quella chicca dello Chat Qui Rit. Nella Venezia nativa, invece, Chiara Pavan e Francesco Brutto al Venissa stanno dimostrando al mondo che sostenibilità può essere un termine ancora attuale e non quello slogan trito che in troppi stanno cavalcando senza una vera ragione: in più hanno un senso del gusto notevolissimo. Bellissima novità anche la cucina di Sander Wildenberg da Jolà Emotional Cuisine a Jesolo Lido. Ancora i grandi delle piccole isole, tra luoghi magnifici e cucine potentemente espressive del luogo stesso: Davide Guidara a I Tenerumi a Vulcano e Martina Caruso al Signum di Salina; per non parlare di quel re della gola che è Stefano Mazzone al Quisisana di Capri. A Catania la bravissima Bianca Celano a Materia Spazio Cucina ospitato nell’accogliente Habitat Boutique Hotel regala spontanea bontà.
Ho frequentato pochissimo la Sardegna, ma il Deste di Porto Rotondo con la sua splendida piazzetta e una cucina originale lo porto nel cuore. Veniamo agli asiatici memorabili: Kohaku, vero kaiseki giapponese a Roma e MU Dimsum, grande tradizione cinese a Milano. E nella capitale non si può non cenare da Andrea Antonini all’Imàgo dell’Hassler, cucina personalissima. Ancora i due giovani bravissimi marchigiani-non-marchigiani come Richard Abou Zaki al Retroscena e Nikita Sergeev a L’Arcade, due mondi e due bontà. E ancora il puro marchigiano fuoriclasse di Moreno Cedroni al Clandestino in riva al mare. La Liguria, sempre più in forma, da quel posto paradisiaco che è Villa della Pergola ad Alassio con Giorgio Pignagnoli al Nove a un’altra terrazza incantata come quella del Vescovado di Giuseppe Ricchebuono, a un paio di locali giovanissimi di Savona da tener d’occhio come Scrap e Quinto Gusto, a Equilibrio nell’area di Imperia fino all’Hostaria Ducale a Genova. Il Piemonte, con la conferma de La Madernassa (e il mistero su una seconda stella che avrebbe dovuto restare) e tante belle sorprese: dall’Osteria Arborina con Fernando Forino, ai fratelli Costardi in pieno centro a Torino con il loro Scat_to, al nuovo corso goloso de La Gallina di Villa Sparina a Gavi con Graziano Caccioppoli; infine, un giovane che farà strada come Mario Maniscalco all’Adagio di Calamandrana nell’astigiano, nell’ambito di Almaranto, elegante boutique hotel.
In Toscana Michelin si è accorta del bravissimo Enrico Bellino alla Cerreta Osteria attribuendo una meritata stella verde, peccato continui a non rendersi conto di quanto si stia bene da Filippo Baroni e Marta Bidi al loro Mater. E l’Emilia Romagna? In attesa di capire dove si trasferirà Giuseppe Gasperoni del Povero Diavolo, Bologna si dimostra vivace, sia in centro con I Portici, indirizzo solido, sia con il nuovo corso de I Carracci e l’ottima novità di Benso con Corrado Parisi; questo sul fronte del fine dining, perché ho trovato particolarmente in forma Mario Ferrara nel suo nuovo bellissimo locale Scacco Matto agli Orti. Sul fronte dei ristoranti legati agli interpreti di vertice della cucina italiana, in questo caso Massimo Bottura, ho mangiato benissimo tanto da Franceschetta 58 quanto a Maranello al Cavallino.
Per ultimo l’Alto Adige, con conferme eleganti come Osteria Acquarol dell’eroico Alessandro Bellingeri ad Appiano (non parla il tedesco ma i piatti si esprimono perfettamente) e il 1908 del Parkotel Holzner di Soprabolzano dove cucina l’ottimo Stephan Zippl. Grande esperienza Taste Nature, lo stupendo format boschivo di Theodor Falser, così come il nuovo corso di ConTanima del Laurin a Bolzano ora in mano a Dario Tornatore. A Montagna, nell’accogliente resort di Luisa Manna, la cucina di Michele Iaconeta nelle sue felici espressioni. Scoperta del cuore Ansitz Steinbock, luogo incantevole creato da Elisabeth Rabensteiner con poche meravigliose stanze e i piatti di Tomek Kinder; tornare da Tina Marcelli e dalle sue ragazze all’Artifex è sempre una garanzia. Da tener d’occhio i ragazzi del Porcino al Badia Hill. In gran forma anche le cucine della Luisl Stube di Schlosswirt Forst e della Gourmetstube 1897 del Quellenhof, rispettivamente con Luis Haller e Michael Mayr. Arriveranno finalmente le due stelle ad Anna Stuben a Ortisei, col duo Perathoner-Brunner?
Avrei voluto citare tanti altri ristoranti e altrettanti bravissimi cuochi, ma queste sono state le esperienze che mi sono portato nel cuore. Quelli che racconto adesso invece, in ordine cronologico di esperienza, sono i piatti che ricordo con più piacere, ciascuno dei quali arriva da un ristorante senza neppure una stella (ma che nella maggior parte dei casi la meriterebbe). Minimo comun denominatore il gusto, dal confortevole al più spinto, perché è quella la direzione in cui si deve andare.
L’Argaj a Castiglione Falletto (CN)
Me l’ha fatto conoscere Marco Parusso, qui abbiamo assaggiato un paio di suoi Barolo della nuova annata. E ho scoperto un posto delizioso, senza un dettaglio fuori posto a partire dall’ambiente, con la stupenda vetrata che dà sulle colline dei grandi cru e una sala accogliente gestita con il sorriso da Valentina. Dal canto suo Andrea Scarzello, un passato ad Alba con Enrico Crippa, spiega perfettamente attraverso i suoi piatti, langaroli e universali insieme, il significato di argaj in piemontese: soddisfazione. Come quando prima guardi e poi assapori quel piccolo capolavoro che sono i bottoni ripieni di ‘nduja e foie gras, fondo ridotto di peperoni di Carmagnola e peperoni osmotizzati all’aceto, di estrema finezza e di intensa, leggerissima bontà
Radici Ristorante – Borgo La Chiaracia – Castel Giorgio (TR)
Castel Giorgio si trova in un leggiadro luogo di confine tra Umbria, Lazio e Toscana. A dieci minuti da Orvieto, Borgo La Chiaracia occupa un’area di quattordici ettari dove si producono vino, frutta e ortaggi, nocciole e castagne: una parte minore di questo spazio è occupato da un bellissimo resort di campagna al cui interno si trova il ristorante Radici. In cucina c’è un giovane campano, Daniele Auricchio, un passato importante che lo ha visto anche al Lasarte a Barcellona. I suoi piatti sono l’espressione pura delle terre che lo circondano, diretti e sinceri. Come l’eccellente erbe amare, topinambur e capriolo: “Abbiamo quattro erbe invernali: cime di rapa, cavolo nero, radicchio e indivia belga. Ognuna viene marinata in maniera diversa in varie soluzioni acidule e piccanti. Vengono accompagnate da una crema di topinambur alla brace e dalle stesse erbe in forma di chips croccanti. Accanto, una tartelletta fatta di topinambur, le radici delle erbe crude e una tartare semi cotta di capriolo.”
Sottovoce – Vista Palazzo Lago di Como - Como
Varrebbe la pena venire a Como solo per salire al quarto piano di questo elegante cinque stelle lusso, guardarsi attorno e poi affacciarsi sul lago. Non a caso l’hotel si chiama Vista: ci si può accontentare di un ottimo aperitivo accomodati al piccolo bancone panoramico. Oppure, meglio ancora, fermarsi per cena a gustare la cucina di Stefano Mattara. Esperienze varie, le sue, tra le quali all’Albereta con il Maestro Gualtiero Marchesi. E una felice, giustificata propensione all’azzardo maturata nel tempo e sempre più solida, visto che gli riescono raffinati piatti di gran gola come la squisita tartare di germano reale, il suo fondo di cottura, pâté di fegato e cialda di pelle croccante. Da godere un boccone dopo l’altro, da un menu degustazione che regala belle sorprese.
Locanda Mammì – Agnone (IS)
Ci vogliono amore, coraggio e fiducia per creare una riserva di alta cucina locale nel cuore del piccolo, bistrattato Molise. Compito non semplice ma perfettamente riuscito a Stefania Di Pasquo e Tomas Torsiello qui ad Agnone. Insieme accolgono con calore sorridente in quello che è un delizioso rifugio in cui vale la pena fermarsi a dormire per godersi il tempo senza fretta. La cucina di Stefania è di quelle che conquistano, com’è stato con il risotto Carnaroli Riserva San Massimo all’ortica con kefir ed erbe spontanee. La tostatura è a secco e il riso viene cotto con un brodo di ortiche, mantecato con burro, Parmigiano Reggiano e crema di ortiche. Si chiude il piatto con il kefir autoprodotto, polvere di lime nero ed erbe, una quindicina, che variano con la stagione. Tra esse ci sono maggiorana, salvia, santoreggia, tarassaco, borragine, finocchio marino, timo, dragoncello e fiori eduli. Intenso.
A Spurcacciuna - Savona
Se la Liguria si è rivelata nel 2023 una gran bella sorpresa in generale, l’esperienza in questo ristorante con ben oltre un secolo di vita e la lunga tradizione di ospitalità della famiglia Tiranini all’Hotel Mare è stata particolarmente incisiva. In estate si può cenare sulla bella terrazza che guarda il mare: lo chef Simone Perata, di Celle Ligure con importanti esperienze all’estero tra le quali il Taillevent e Lasarte, è uno di quelli che non lesina su tecniche, gestite in modo magistrale, e sapori. Ecco allora il notevole risotto mantecato con pesto di aglio orsino “che raccogliamo noi in Piemonte” con lampone lactofermentato, aglio nero, carpaccio di cappasanta leggermente marinato e affumicato a freddo e triglia anch’essa affumicata e passata con il cannello “per servirla mezza cotta e mezza cruda”. Vale la pena visitare anche la Cantina Teatro dove vengono conservate circa sedicimila bottiglie per le novecento etichette di una eccezionale carta dei vini.
Blum – Mazzarò Sea Palace – Taormina (CT)
Difficile descrivere a parole il contesto in cui si sviluppa Il Mazzarò Sea Palace. Parte di Vretreats e membro di The Leading Hotels of the World. Questo stupendo albergo appoggiato sull’omonima baia con le sue settanta stanze che guardano il mare ha un angolo fine dining dove ho cenato con Marilena Calabrò, general manager illuminata che crede nella valenza dell’ottima cucina. Il Blum è decisamente posizionato in modo originale, su una piattaforma che in origine doveva essere un solarium, a picco sull’acqua, irresistibile luogo romantico a cena. Riccardo Fazio, cuoco poco più che trentenne ma già esperto, sa affascinare con piatti che lasciano il segno. È il caso dei ravioli amari con Tuma Persa, miele di ape nera e bottarga di tonno fatta in casa; la pasta viene farcita con indivia riccia, cicoria selvatica e rucola, forse la creazione più ‘siciliana’ di un eccellente menu egregiamente accompagnato da un degno wine pairing.
L’Accanto – Grand Hotel Angiolieri a Vico Equense (NA)
Una delle più belle terrazze dove mi sia capitato di mangiare, con un panorama di infinita bellezza, la vista sul Vesuvio, sul Golfo di Napoli e il monte di Procida, con Ischia in lontananza. Ero al Grand Hotel Angiolieri, cinque stelle di grande fascino lungo la Costiera Sorrentina. Con questi ingredienti di base anche un pasto qualunque potrebbe amplificare a dismisura la percezione della sua bontà. C’è da dire però che all’Accanto si mangia di nuovo molto bene e questo passa sia attraverso la consulenza di Raffaele Ros, stellato al San Martino, sia grazie all’estro tecnico di un cuoco sensibile come Fabrizio De Simone. Di grande leggerezza e di altrettanto notevole gusto un piatto pensato per chi soffre di celiachia, ovvero gli gnocchetti realizzati con farina senza glutine e latte senza lattosio a cui si aggiungono curry e zafferano. L’impasto è fatto come una pasta choux, la cottura avviene in acqua abbondante e salata, mentre il condimento è a base di una salsa al nero di seppia, un’altra molto liquida di patate, calamaretti spillo, basilico e prezzemolo. Di saporita leggiadria.
Calmo – Bologna
Allegra, Calmo, Scuro: mattina, sera, notte. Tre luoghi nello stesso contenitore, ciascuno con una personalità differente e molto ben definita. Dietro al mondo di Lorenzo Costa, aria serafica e mente in fermento, c’è un bel cervello. Da lì partono le intuizioni e da queste si muovono azioni concrete. E un piccolo universo parecchio gustoso. Concentrandoci su Calmo, è naturalmente un posto tutto per conto suo, nel cuore di Bologna e dappertutto: soffitti altissimi, l’enorme lampada di Groppi a dominare una sala di sobria eleganza, la cucina parzialmente a vista. Bello, fondamentalmente. La cucina, in mano a Lorenzo Vecchia che si occupa anche di Ahimè, è ecumenica, nel senso che è centrata e concentrata sul sapore e raggiunge sia il palato più raffinato sia quello in affinamento. Ben fatta ed estremamente golosa, insomma, perché la tecnica c’è tutta, ma è messa al servizio della godibilità. Come nello squisito Tributo a Cipriani: carpaccio di manzo della macelleria Rizzieri di Ferrara, salsa universale a base di uovo montato con olio di semi e di oliva, aglio caramellato e senape cotta. Sopra senape cotta in acqua e aceto, maggiorana, timo, un mix di pepi fatto in casa e sale Maldon. Bocconi belli.
Lunaris 1964 - Amonti & Lunaris - Cadipietra, Valle Aurina (BZ)
In Valle Aurina non ci si arriva per caso, ma tanto il complesso alberghiero Amonti & Lunaris quanto il ristorante fine dining ospitato nel secondo edificio valgono il viaggio. Matthias Kirchler, non ancora trent’anni, è il giovane cuoco che conosce a menadito i segreti di questa valle incantata, a partire dai prodotti e dagli ingredienti che utilizza nei suoi piatti. La sua è una ricerca meticolosa che si combina in modo perfetto con un istinto gastronomico sviluppato in autonomia, senza maestri. E perciò estremamente originale, come per Goasroscht, dal nome dell’azienda che produce sublimi formaggi da capre che conducono un’esistenza felice e rilassata. Si tratta di ravioli ripieni di coscia di capretto e ricotta; Matthias usa poi tendini e ossa oltre al garum dello stesso animale per un brodo di strepitosa intensità. Sui ravioli viene poi grattugiato il cuore essiccato del capretto insieme a formaggio di capra affumicato e olio di erbe selvatiche.
Feria – Treviso
Una ventata di freschezza in una città – salvo pochissime eccezioni – gastronomicamente refrattaria tanto al fine dining quanto alle cucine fuori dagli schemi. Si può dire che Feria lo sia, un luogo elegante dove si ritrovano in armonia la mano italiana di Marco Feltrin e la sua lunga esperienza asiatica; oltre a regalare una nota di colore che dona notevoli stimoli gustativi. Perché il posto è bello, i piatti sono esteticamente curati, ma soprattutto sono proprio buoni, come il Gulai kambing, un curry di pecora a base cocco, peperoncino mix di spezie come cardamomo, cannella, noce moscata. Marco racconta: “Noi trattiamo sempre animali adulti, sia come scelta etica sia per la ricerca di proteine saporite che si abbinino bene alle nostre salse. Con la coscia facciamo lo spiedino (satè in indonesiano) che condiamo con il curry, miso ai semi di zucca e kimchi. Con spalla, pancia e collo facciamo uno stracotto in carcassa con cui realizziamo una pallina avvolta da una foglia di verza. Con le ossa facciamo un brodo al chiodo di garofano.” Da non dimenticare, per chiudere in bellezza, l’intelligente selezione enologica curata da Regis Ramos.
Osteria Ophis – Offida (AP)
È un borgo medievale di estrema bellezza, Offida. Tra le colline del Piceno, merita senza dubbio una visita, così come vale la pena conoscere Osteria Ophis, ricavata nelle ex stalle di Palazzo Alessandrini, quattro secoli di storia tra volte a botte e grotte dove viene conservata una considerevole dote di ottime etichette. Daniele Citeroni Maurizi, offidano doc, va particolarmente fiero (a ragion veduta) di un’appartenenza territoriale che lui traduce nei suoi piatti, immediati e di grande bontà dietro a una tecnica raffinata. La pasta con il nostro raccolto nasce durante la pandemia: “Sono riuscito a realizzare l’idea di un orto che producesse erbe spontanee, aromatiche e fiori. Alla fine abbiamo un’immensità di bietole selvatiche e dopo un po’ di prove è uscito il piatto. La bietola viene scottata in acqua e solo la parte verde viene tuffata subito nell’estrattore. Con quel esce, bietola al 100%, uniamo solo olio extravergine di oliva e andiamo a mantecare i mezzi fusilli che un pastificio realizza per noi. I gambi della bietola vengono marinati sottovuoto in aceto di riso per almeno una settimana e poi li utilizziamo come dadolata. Per chiudere aggiungiamo poi una miscellanea di erbe spontanee che rende completamente diverso ogni singolo boccone: puoi mangiarla per dieci giorni e sarà sempre un po’ diversa. Io la definisco il premio commestibile al lavoro dell’orto!”. Una sequenza di amari di bontà assoluta.
Ineo – Anantara Palazzo Naiadi - Roma
Si può entrare direttamente dagli archi in travertino che costeggiano la fontana delle Naiadi di Piazza Repubblica, oppure passando dalla sontuosa hall dell’omonimo, elegante hotel. Ineo in latino sta per ‘nuovo inizio’, in questo caso ci si riferisce a quello percorso con Heros Agostinis, executive chef di spesssore internazionale tornato in Italia a prendersi carico di un progetto ambizioso con tutte le carte in regola per avere successo. Funziona tutto alla perfezione, inclusa una sala di professionisti sorridenti e sincronizzati. Sul fronte gastronomico De Agostinis si muove agile attorno alla sua grande cultura accumulata in anni di esperienza. Mi ha sedotto un piatto che unisce in modo esemplare tecnica e gusto: maccheroncini al ferretto, cotti in una salsa a base di Madeira e accompagnati da uno spezzatino di carne di vitello (Spriss bianco) tipico della cucina Etiope ed Eritrea. Ha un grado di piccantezza basso, per il quale si usa peperoncino verde e aromatizzato con Ghee; viene cotto in marmitte di terracotta e la carne rimane tenerissima. Si chiude con una spuma di Parmigiano Reggiano di 24 mesi. Racconta Heros: “È il piatto che più mi rappresenta perché da una parte c’è l’Abruzzo rurale dove sono nati i miei nonni che preparavano la pasta all’uovo esclusivamente a mano col mattarello, dall’altra c’è l’Eritrea con mamma e gli altri miei nonni, quindi uno piatto che si usa spesso mangiare a casa nostra. Con il Madeira ho voluto donare una nota di dolcezza per rendere ancora più armonioso il piatto.”