150 anni di storia, una saga famigliare che perdura da generazioni, così gli Haeberlin a Illhaeusern, sono una delle colonne portanti dell’ ospitalità “haut de gamme” alla francese, con uno dei migliori ristoranti al mondo.
La Storia
La storia de L’Auberge de L’Ill
Questa è una storia, una storia costruita con un 90% di ingredienti fondamentali, quindi certi, e con un 10% di vinaigrette. Come un insalata, alla francese. Una storia si racconta cominciando così: c’era una volta.

C’era una volta, più di 150 anni fa, una famiglia che si recò in un minuscolo villaggio lungo un piccolo corso d’acqua chiamato Ill per avviare una modesta azienda agricola e un grazioso albergo di campagna. Nacque così L’ Arbre Vert. La famiglia si chiamava Haeberlin. Il villaggio si chiamava Illhaeusern: “le case lungo l’Ill”.

A Illhaeusern non ci arrivai 150 anni dopo, ma almeno dopo 120 certamente si, però questo conta poco, perché quando si va incontro alle saghe familiari della grande ospitalità alla francese non è mai né troppo presto né troppo tardi, perché luoghi come l’Auberge de L’Ill sono fuori dal tempo.

Dunque -in quel pomeriggio- in attesa di raggiungere la località che la Michelin indicava come tappa meritevole di una deviazione da due stelle (Ammerschwihr e il ristorante Aux Armes de France), siccome di tempo ne era avanzato, nonostante una degustazione di riesling al Domaine Trimbach e una di gewurtztraminer da Schlumberger, capitò di passare anche da Illhaeusern prima di andare ad appoggiare le valigie al Beaucour, uno storico albergo di Strasburgo.

Mi bloccai di fronte alla bellezza del luogo: il giardino degradante, il salice piangente riflesso su quelle acque ferme come un lago; la scultura di bronzo che riproduceva una passeggiata di anatre. O forse erano oche? Mi rimase il dubbio. Avrei anche cambiato la prenotazione, in un attimo, ma il ristorante ormai era al completo e quindi me ne andai deluso, decidendo nel contempo di ritornare un’altra volta, perché un luogo così e un ristorante così rappresentano situazioni che valgono il viaggio, anche solo per svelare se quella scultura fosse stata dedicata a oche o ad anatre alsaziane, prima ancora di assaggiare il loro foie gras.

La ragazza mi chiese: dove ci fermeremo stanotte? In uno tra i primi dieci, risposi. Tra i primi dieci di cosa? Tra i primi dieci del Mondo.

Strasburgo arrivò a poter offrire ai gourmet due ristoranti con tre stelle Michelin, contemporaneamente: il classico e compassato Le Crocodile di Emile Jung e il vertiginoso padiglione vetrato del Buerehiesel di Antoine Westermann, una delle mie migliori esperienze di questa vita. Quindi, fuori Parigi, il distretto gastronomico alsaziano arrivò a toccare vertici mai visti, mettendoci pure la costellazione dei due stelle che ne incoronavano il circondario, nei trenta minuti di auto necessari per andare al Cheval Blanc di Lembach, a le Cerf di Marlenhein e in seguito fino a Untermuhlthal, per conoscere il sommo: L’Arnsbourg di Jean Georges Klein.

Non sono mai mancate le alternative nel distretto gastronomico alsaziano, del basso e alto Reno, ma non avevo mai dormito in un sontuoso essiccatoio per tabacco, non avevo mai fatto colazione su una elegante chiatta galleggiante su un fiume, non avevo mai mangiato di fronte ad una vetrata dove poter fissare tutto il tempo un salice piangente. L’Hotel des Berges e L’Auberge de L’Ill degli Haeberlin colmarono ogni lacuna.
I Piatti


Le saumon soufflè arrivò trionfale sulla tavola, prima ancora di un’ardita composizione di scampi e testina di vitello, corredati da una divina salsa che ristabiliva l’ordine in un rapporto apparentemente contro natura.


Il giovane apprendista gourmet che stava sbocciando in me mise un altro tassello al suo posto nel grande puzzle dell’alta cucina francese, di ogni tempo. Qui, in questa terra che ha cambiato più volte lingua e accenti: duro, rigido e spigoloso come può essere il tedesco; cordiale, ruffiano e armonioso come può essere il francese. In luoghi nei quali, un paio di guerre mondiali poterono, se non uccidere, dividere una famiglia in due. Dipendeva da quale delle due parti venivi al mondo, in quale periodo, e dove erano stati tracciati i confini in quel momento.

Nonna Marta e nonno Fritz, zio Jean Pierre e papà Paul. Un tempo fu l’Auberge L’Arbre Vert, ma sul finire della seconda guerra mondiale il villaggio, il ponte e l’Auberge furono bombardati e distrutti. Dalle macerie nacque l’Auberge de L’Ill. Una stella Michelin nel 1952, la seconda nel 1957, la terza (mai più persa) dal 1967. Quarantasei anni fa.

Marc Haeberlin è li, anche oggi, a rappresentare la quarta generazione della famiglia, per non dimenticare come si cucina ancora oggi le saumon soufflé.

E a ricordarmi che quella terrina di foie gras era di oca, non di anatra, e quelle erano oche, non anatre.
Indirizzo
Ristorante L’Aubergè De L’Ill