Al Relais Villa D’Amelia, il cuoco dei due ristoranti è Damano Nigro, classe 1973, non autoctono di nascita, viste le origini pugliesi, ma langarolo per scelta.
La Storia
Si sa, ormai non si parla d’altro. Quando si vuole raccontare o leggere o esperire una cucina di qualità, sovente uno degli attributi più usati a garanzia è “territorio”. L’Italia, per la sua frammentarietà storica e geografica, può considerarsi uno dei Paesi più fortunati in questo senso, e spesso il territorio è un’area circoscritta a pochi chilometri in cui si concentrano prodotti che cambiano poco più in là, vuoi per latitudine, vuoi per l’utilizzo che se ne fa in cucina. Quindi alla cucina regionale si va sempre più sostituendo la cucina di territorio, a identificare in maniera sempre più particolareggiata e dettagliata le specificità del gusto. Nell’ambito del fin dining, pertanto, non è necessario ricorrere a ricette di tradizione per poter fare una cucina che dia riconoscibilità a un luogo, ma naturalmente non è una regola fissa, si può entrare e uscire dal passato, ma la materia prima resta un caposaldo nell’identificazione di un territorio.Se poi a interpretare un territorio c’è uno chef non autoctono, con un background cosmopolita, le possibilità di leggere quel territorio aumentano in maniera caleidoscopica.
Prendiamo ad esempio le Langhe, una macroarea tra le più belle e importanti d’Italia, che primeggia in tante eccellenze, dal nebbiolo alla nocciola al tartufo. Eppure qui da un paese all’altro ogni prodotto assume sfumature diverse, con un ventaglio interpretativo che si moltiplica dismisura.
Dalla capitale Alba spostiamoci di qualche chilometro a sud, verso l’Alta Langa – già nota per meritato successo tributato alle sue bollicine - ai piedi del paesino di Benevello, nel relais Villa D’Amelia. Un progetto fortemente voluto dalla proprietà che ha recuperato una tipica cascina di fine 800 mantenendone tutto l’assetto originario, ma riadattandola a splendido resort con affaccio mozzafiato sulle colline.
“Il progetto recupera l’idea della corte interna luogo di ritrovo e di naturale continuazione del focolare domestico. Pertanto le camere si sviluppano principalmente nel cortile interno tramite un corridoio permettendo contemporaneamente una splendida vista sulle Langhe. Nell’edificio ristrutturato si inserisce l’Albergo Villa d’Amelia, comprendente 40 camere, un ristorante, un wine bar e un centro benessere. I complessivi 70.000 mq di pertinenza del complesso sono sistemati a verde con percorsi interni per le passeggiate. Nell’intervento di ristrutturazione è stato compreso il restauro della cappella dei precedenti proprietari, la famiglia Bonelli, dedicata a San Luigi che si affaccia sulla corte interna dell’albergo. La cappella di grande significato religioso e storico contiene affreschi ed importanti opere d’arte. Nel piano interrato è stato realizzato un centro benessere costituito da sauna finlandese, bagno turco, percorsi aromatici e docce emozionali, mini-piscina con idromassaggio, sala relax, zona fitness e piscina esterna riscaldata utilizzata anche durante la stagione fredda. La copertura è stata realizzata in legno con recupero di travi a tavolati di perlinatura antichi. Un radicale intervento sulle murature portanti del fabbricato ha permesso il recupero degli orizzontamenti voltati e delle strutture lignee di particolare pregio storico.”
Quindi, ricapitolando, siamo all’interno di un contesto in cui il territorio è importante quale testimone di una storia che viene rispettata e riletta in chiave contemporanea, ma diventa anche campo da gioco per la cucina. Qui, al Relais Villa D’Amelia, il cuoco dei due ristoranti è Damiano Nigro, classe 1973, non autoctono di nascita, viste le origini pugliesi, ma langarolo per scelta, anche grazie al legame con la moglie Elena, che è al suo fianco in sala come maître e sommelier.
Un curriculum da paura, in cui Nigro ha percorso tra le cucine più importanti a livello internazionale, essendo partito di casa da adolescente, collezionando esperienze tra cui le Terrazze di Milano e poi l’Albereta a Erbusco con Gualtiero Marchesi, al The Waterside Inn di Michel Roux (un anno e mezzo durissimo, da giovanissimo), al The Oak Room e Criterion Brasserie di Marco Pierre White , quindi in Francia al Restaurant La Grande Cascade di Alain Ducasse, e al Les Elysées di Alain Soliveres, e in Italia con Paola Budel all’Acanto, e con Enrico Crippa a Piazza Duomo, di cui è stato sous-chef. Dal 2006 Damiano ha deciso di fermarsi in Langa, attratto da Villa D’Amelia, di cui guida le due cucine, supportato da una brigata di 15 ragazzi.
Il DaMà è il ristorante dell’hotel, in cui l’offerta alla carta propone un percorso che dalla cucina piemontese si apre su prospettive più ampie su tutto il territorio nazionale, anche in virtù della clientela internazionale che ama certi classici standard della cucina italiana, con una base di materie prime selezionate all’insegna dell’eccellenza.
Il Damiano Nigro è il ristorante gourmet situato al primo piano della struttura, in cui non troverete l’aggancio saldo alla cucina regionale, ma la visione personale del territorio. È qui che Nigro dà libero sfogo alla propria creatività, e può permetterselo, è un luogo appartato, pochi tavoli tutti affacciati sui pendii collinari che offrono in ogni momento del giorno sfumature diverse di colore di una natura ordinata e affascinante. Questo è il cuore dello chef, e non appare un caso che sia posizionato al primo piano rispetto all’altro ristorante, appare come il regno delle idee che si sollevano da terra per farsi più ariose e distaccate. Qui il territorio è uno degli argomenti, qui si riassume. tutto il percorso di vita professionale dello chef, qui c’è la sua parte razionale ma anche quella emozionale. Damiano Nigro è persona taciturna, da grande cultore di arti marziali si muove in cucina con fare misurato, e altrettanto misurato è nel parlare, ma lo sguardo e il piglio rivelano forza e determinazione. Non a caso nell’immensa cucina lavorano con lui 15 ragazzi, nell’orchestrazione quasi 24 su 24 ore di tutto il comparto ristorativo, colazioni incluse.
Il territorio arriva intercalato e contaminato, c’è la veridicità della campagna che qui è ancora autentica e integra, coi suoi prodotti da cercare tra piccoli pastori e piccoli allevatori; però accanto a questi lo sguardo di Nigro si allarga a piluccare di stagione in stagione tra i migliori ingredienti, o almeno quelli più cari. Ecco quindi che la pasta trafilata dallo chef con farine pugliesi viene condita da una salsa di pomodori che arrivano dal sud Italia cotti per 45 minuti, insieme a una toma a base di latte caprino e ovino che gli fornisce una produttrice di Benevello. È un meltin’ pot di chi ha viaggiato tanto e oggi sa individuare il gusto senza tema di fare confusione. La base è la cucina classica francese che con il Piemonte ha moltissimi aspetti in comune, salse e fondi sono condizione necessaria su cui imbastire una narrazione di cucina italiana più intima, in cui si predilige la concretezza, la cottura sul fuoco, e in cui la tecnica ferrea non svia in sfarfalleggiamenti esibizionistici, ma è volta alla valorizzazione del gusto e della materia.
Fotografie di Lido Vannucchi
I Piatti
Le passioni personali dello chef sono dichiarate fin dalla lettura del menu, solo 2 degustazione i cui nomi “Antonio Vivaldi” e “Niccolò Paganini”, tradiscono la passione dello chef per la musica classica, come a dire che i piatti si susseguono in una sequenza armonica, come note su un pentagramma, massima espressione del temperamento in cucina di Nigro.Nella nostra degustazione abbiamo avuto il privilegio di assaggiare piatti da tutti i menu, a partire dall’antipasto vegetariano Le 4 Stagioni, tratto ovviamente dal Vivaldi, che non esce mai dalla carta ma si adatta alla stagionalità degli ortaggi con naturali variazioni sul tema. In questa stagione arriva in tavola una royale di sedano rapa – la cui cottura la rende quasi un budino – tartufo nero, broccoli e cavolo nero in varie cotture, dal crudo al cotto, e in osmosi per creare un gioco di consistenze e rendere ogni boccone diverso. Interessante perché la classicità della salsa royale rimanda ora a un uovo al tartufo, ora a una maionese che da condimento degli ortaggi, a integrarne la parte grassa, si fa spina dorsale del piatto.
Dal menu Paganini, il Polpo in Cocktail si divide in due parti: la prima è una sfera di isomalto a contenere un ragù di polpo, e che ricorda la testa del polpo, cui segue il tentacolo in torcione cotto a bassa temperatura e quindi affettato e condito con cicoria fresa spadellata con aglio olio e peperoncino, crema di ceci e una salsa cocktail ottenuta dall’estrazione delle teste dei gamberi ed emulsionata con maionese. Un piatto classico in cui la solarità del sud incontra la classicità old style.
Si torna in Piemonte con la Tartelletta di Lumaca, Porcini e piedini di Fassona, una frolla salata con i piedini di fassona bolliti e quindi conditi con maionese e paprika, fatti rassodare e compattare a formare una sorta di soppressata. A parte le lumache spurgate e pulite vengono cotte in court bouillon e quindi preparate in ragù cipollotto, peperoncino e burro alle erbe, acidulate in aceto. La nota piccante risuona gentile in bocca a dare l’accento meridionale cui lo chef si sente legato, ma è solo uno dei dettagli di un piatto profondo e complesso, autunnale ed elegante.
Tra i primi piatti, nel menu Paganini spicca la pasta secca con lo Spaghettone con le cozze. Spaghetti home made conditi con cozze preparate come una tradizionale impepata, con prezzemolo, basilico, scalogno, peperoncino, vino bianco a sfumare e l’aggiunta di una salsa di datterino scottato e frullato, cotto per 20 minuti con origano pugliese. Le cozze, sgusciate, vengono essiccate e quindi polverizzate e cosparse al momento della mise en place, e rifinite con limone candito.
Il menu Vivaldi fa eco con il Conchiglione del Sud, un involucro di pasta di grano duro ripiena di scarola (stesso procedimento della pizza di scarola) con pinoli, olive e uvetta saltati in padella a farcire la pasta. Sopra, una crema di taralli e una fonduta di tuma di Alta Langa. Quando si dice che la tradizione entra di prepotenza nelle sfere alte della cucina, per farsi elegante ed estremamente pulita.
Tra i secondi, il Mosaico di Fassona e foie gras è un piatto già bellssimo a vedersi, complesso nella preparazione, con un falso filetto preso dalla coscia del manzo arrotolato in uno strato di mousseline di pollo, spugna di prezzemolo e nero di seppia, racchiuso in una rete di maiale. Alla base salsa di foie gras, bieta, insalata russa e chip di amaranto. Un piatto che vale il viaggio, per una cucina completamente classica ma senza tempo.
E si conclude il pasto con un meraviglioso Cardo gobbo di Nizza cioccolato e cappero, con la cottura dell’ortaggio nel latte e quindi brasato in padella nel burro, rifinito da uno zabaione all’aglio e da una meringa di cioccolato fondente, cappero e foglia di cappero. Questo ultimo piatto prelude al dessert del Paganini, La capra di Alta Langa, latte di capra di Benevello, trasformato in yogurt e mousse ripiena di di composta di mela e pain d’épice, goloso e non stucchevole.
Sì, si osano i mix di sapori e usanze, si viaggia dalla Puglia dell’infanzia che arriva integra con i suoi aromi, mitigati da un’età matura che sa domare gli eccessi, ci si immerge nella classicità francese senza tempo che resta il fulcro di una vita ai fornelli, e che funge da scorciatoia per agganciare la cucina piemontese, che prende forma grazie ad alcuni ingredienti e a qualche preparazione identificativa, a delineare nel complesso una cucina che non vuol stupire, ma rappresentare l’italianità, specie nell’impiego generoso della pasta secca. In sala è lodevole il servizio di Elena, perfetta padrona di casa che sa proporre abbinamenti di vini territoriali nel racconto di una zona grandiosa, con i suoi Barolo boys conservati nell’antica chiesetta della struttura, oggi cantina con la stessa sacralità, senza blasfemia.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Villa D'AmeliaLoc. Manera, 1
12050 Benevello (CN) – Italia
Tel: + 39 0173 529 225
Fax: + 39 0173 529 278
Email: info@villadamelia.com
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