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Il macellaio che vende la carne ai migliori chef stellati italiani apre un ristorante e diventa cuoco: storia di Lorenzo Rizzieri

di:
Alessandra Meldolesi
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Aprire un ristorante in mezzo al nulla in piena pandemia, improvvisarsi cuoco dopo una vita in macelleria: quanto coraggio a Casa Rizzieri, dove la grande carne abbraccia il Josper. Perché la cucina aiuta gli audaci.

La Storia

La sua carne è nelle carte dei migliori ristoranti italiani, dalle Calandre al Glam di Venezia; la sua casa, però, si trova in quel di Focomorto, laddove si estinguono i canali. Le anime del paesino, che si snoda lungo un’unica strada a pochi chilometri da Ferrara, sono appena 600. La macelleria, aperta dal padre Maurizio nel 1969, è l’unico locale pubblico, senza neppure un bar o uno spaccio o una bottega. Non ci si capita certo per caso, eppure ci si capita: il parcheggio è pieno, il via vai ininterrotto.



Lorenzo Rizzieri aveva 19 anni quando il padre, macellaio all’antica, gli disse che in casa non c’era uno stipendio anche per lui. “Fino a quel momento avevo pensato di fermarmi, avevo anche iniziato a lavorare, proseguendo gli studi la sera. Non l’ho presa bene, ma avevo un’altra passione, l’informatica, così per mantenermi ho iniziato ad assemblare computer e costruire reti dati”. La seconda vita dura 10 anni e prelude ad altre svolte. “È stato andando ad abitare da solo che ho scoperto la passione per la cucina: di giorno lavoravo, la sera aiutavo dove capitava per trattorie ferraresi, così per imparare. Poco più che ventenne, già sentivo che sarebbe stato il mio lavoro. Iniziavo a sperimentare in casa, mangiavo quello che facevo. Insomma era diventata una fissazione. Poi i corsi sulla brace, sul barbecue, sulle cotture sotto terra. Tutto ciò che è fuoco mi ha sempre affascinato, ma da informatico non ho dimenticato la tecnologia. Sono i due poli della mia cucina”.

“Poi è successo che nel 2009 mio padre voleva andare in pensione e chiudere la macelleria. Io gli ho detto: No, se tu chiudi, la prendo io. L’idea era quella di camparci ritagliandomi un piccolo stipendio. Ma è andata diversamente; ho iniziato agganciando alla vendita la mia esperienza informatica, quindi la comunicazione, poi ho rivoluzionato l’immagine. Basta con il macellaio dal grembiule insanguinato e i banchi disordinati, io volevo l’estetica cartesiana delle pasticcerie. Ho girato i primi video per mostrare quanto sacrificio ci sia dietro questo lavoro, dall’allevamento al disosso. Mio padre mi aveva già insegnato l’importanza delle filiere corte, della collaborazione con i veterinari sull’alimentazione degli animali, della sinergia con la campagna e ho proseguito sulla medesima strada. Dallo scorso mese di gennaio tutte le aziende con cui collaboro devono sottoscrivere i nostri disciplinari, composti di una decina di punti e tutelati da un marchio registrato. In questo modo siamo riusciti a ripristinare le razze autoctone, abbiamo nutrito il bestiame con i semi di lino per arricchire le carni di omega 3 e messo a fuoco il benessere animale. E io sono finito a insegnare all’Alma di Colorno e al Master di Cucina Italiana degli Alajmo”.


C’è stato anche qualche momento di suspense, però, quando nel 2013 Lorenzo ha deciso di ristrutturare il negozio e le cantine per la produzione di salumi artigianali, privi di qualsiasi additivo, solo carne, sale integrale di Cervia o di Comacchio, pepe e aglio di Voghiera in infusione nel Fortana locale. “Ma chi costruisce impianti di stagionatura, è abituato a prodotti con i conservanti. I nostri invece richiedono tempo, 90 giorni anziché 20. Quindi hanno sbagliato in 3, poi per fortuna abbiamo trovato la persona giusta. Ma nel frattempo avevamo buttato un anno e mezzo di roba. Mio padre fino a quel momento era abituato a regolare l’umidità buttando per terra sacchi di iuta bagnati, e anche il resto della macelleria è cambiato. Ora ci sono i pronti da cuocere, che conferiscono eleganza e fanno vendere anche la bistecca”.


Sono stati un ulteriore passo di avvicinamento alla cucina: il cambio di destinazione d’uso (oneroso) di una vecchia stalla in ristorante è datato 2019; terminati i lavori, l’inaugurazione è caduta in piena pandemia, il 22 giugno 2020. Sull’insegna le lettere “Casa Rizzieri Cucina di Filiera”, perché subito sopra c’è l’abitazione e perché le materie sono quelle sottoposte ai disciplinari. “Mi serve anche per valorizzare i tagli scomparsi, perché il sacrificio di un animale merita profondo rispetto. Che sia un cubetto di zampa di maiale con pepe all’arancia o un mini hamburger di coda brasata. Ho allo studio un menu interamente dedicato al quinto quarto”.


Di fatti il locale è elegante, con la cucina a vista che mostra Lorenzo Rizzieri a guardia del Josper, a fianco di un Kamado e di un Rational, senza fornelli. “Penso che il Josper sia la soluzione migliore per la cucina di un ristorante, anche in estate, perché non c’è brace diretta sul corpo; da lì arriva il 90% della cucina, sopra i vegetali, sotto la carne per la caramellizzazione. Il Kamado serve per le finiture e per affumicature più spinte. Anche il carbone è importantissimo: ho scelto un legno argentino duro, dalla combustione lenta e dalla produzione ecosostenibile, che viene trasformato a Brescia, dove è tradizione. Ne ho provati 21, in cerca di un’affumicatura poco invasiva, che lasci il protagonismo alla carne”. Il risultato è una specie di fornello pugliese evoluto, sulla scia di Cecchini, Motta e Damini. “Ed è quello che abbiamo fatto per 4 anni: una braceria estiva molto semplice; poi ci è venuta la voglia di divertirci di più”.

I Piatti

I prezzi tuttavia sono amichevoli: il menu da 7 portate costa 60 euro, ma se ne possono estrapolare 2 o 3 a 38 o 45. “Riusciamo a mantenere questi prezzi, con una grande materia prima, perché controlliamo la filiera, senza inutili passaggi che vadano a gravare sul food cost”. Poi c’è il menu Fiorentina che costa 110 euro per due (ma va prenotato per ragioni di disponibilità): la partenza è a scelta fra i salumi della casa e una battuta con crema di zucca alla brace e cavolfiore al Josper; poi il taglio da un chilo abbondante sempre al Josper, per contorno patate alla brace condite con grasso fuso di bovino aromatizzato con aglio e rosmarino. In questo caso la cottura è diretta: fiorentine e costate vengono tenute a temperatura ambiente per 3 o 4 ore con il sale, poi passate sulla brace, dove il calore estremo ed avvolgente provvede a cottura e caramellizzazione. Ma in futuro ci sarà anche qualche piatto vegetariano, approntato con gli ortaggi delle aziende agricole che animano di sabato il mercatino davanti alla macelleria.


Con Lorenzo in squadra ci sono la moglie Michela, che guida la sala dopo una vita da arredatrice, e il cuoco Federico Pettazzoni, già apprezzato al bolognese Giro di Vite. Molto succinta (al momento) la carta dei vini, improntata sui naturali. Nel cestino del pane i grissini da grani antichi dell’azienda agricola Giorgio Donati, la pagnottina e la focaccia dalle medesime farine a lievitazione naturale, tutti fatti in casa; più l’immancabile croce ferrarese da vernia e tumminia confezionata da un forno cittadino. Per appetizer la polpetta di bollito su salsa verde, il cucchiaino di Parmigiano con maionese al tartufo, battuta al coltello e nocciola, il cotechino Rizzieri con purè all’olio e petalo di cipolla in agrodolce, il ragù di creste di gallo con popcorn di crosta di Parmigiano, la focaccia con lo strepitoso guanciale stagionato sciolto al Josper.


La carta è giustamente ridotta. Sono già un signature fra gli antipasti le animelle sgrassate, bollite con erbe aromatiche e odori, poi passate nel Josper per la crosticina esterna e il leggero fumé, appena condite con sale di Comacchio e olio del Garda; più la cipolla bionda del presidio Slow Food alla brace e polvere di cipolla bruciata per un sospetto amaro su grassezza e dolcezza. Deliziosa, fondente, lubrica.


Dal parallelepipedo del Josper, misterioso come l’enigma poliziesco di una camera chiusa, esce anche il risotto di Carnaroli Riserva San Massimo, che viene cotto interamente al suo interno, quasi come un pilaf al brodo vegetale, salvo un paio di rimescolate a metà cottura, senza mantecatura lipidica. Dove è l’altissima temperatura, attorno ai 250 °C, a propiziare la fuoriuscita degli amidi; i grassi arrivano dalla salsiccia Rizzieri, la cremosità dalle due puree di peperone bruciato (da coltivazione locale in serra) e cipolla dorata al Josper.


Va forte anche l’asado con toffee di cavolfiore e cavolo nero croccante, piatto povero ricavato dalla pancia del manzo, di solito impiegata per brodo e macinato. “Ma questi tagli possono essere i più saporiti, irrorati come sono di sangue danno più sapore; anche la nostra battuta è ricavata dall’anteriore, più gustoso della coscia”. Pancia che viene tagliata alla maniera argentina, in orizzontale e non in verticale, marinata in acqua e sale per 24 ore, cotta a bassa temperatura per 12 ore e finita al Josper; quindi abbinata a un fondo vegetale, il cavolfiore in crema allo zucchero caramellato e vaniglia, l’impalpabile tocco amaro del cavolo nero. Qui e altrove, una specie di reverse searing: prima forno a vapore o Roner, poi brace.


In alternativa c’è il galletto di razza collo nudo, non il solito infanticidio, cotto prima a bassa temperatura per 14 ore con odori, poi finito nel Josper e servito con il suo fondo, crema di peperoni alla salsa di soia e loro polvere.

Dopo il sorbetto defaticante di salvia, finocchio e liquirizia, un po’ tisana gelata un po’ amaro, per un reset digestivo effetto “dentifricio”, la pasticceria è classica, in attesa dei dolci alla brace, allo studio sulla frutta esotica. Chiude la piccola pasticceria tipica, con la tenerina e la torta di riso in forma di gelato.

Indirizzo

Casa Rizzieri

Via della Crispa, 107, 44123 Focomorto FE

Il sito web 

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