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Dall’ingegneria aerospaziale alla cucina: la matematica del gusto di Fabio di Vilio alla Scialuppa da Salvatore

di:
Massimiliano Bianconcini
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Copertina La Scialuppa

Attuale e di classe, fatta di quantità e dettaglio, quella della Scialuppa è una cucina della memoria che parte dalla tradizione e giunge al camouflage; senza eccedere in marinature, fermentazioni o acidificazioni.

Il ristorante

I ristoranti di mare oggi riservano molte soprese. Ultimi baluardi a resistere alle tentazioni gourmet e a conservare una cucina legata alla tradizione -parlo di quelli più popolari e tipici, non di quelli che per vocazione si sono spinti da subito verso le vette dell’alta ristorazione- nel momento in cui si sono scrollati di dosso certe inibizioni, hanno iniziato a stupire più e meglio di altri.


Anche i ristoranti di mare in riva al mare, dove tutto ti aspetteresti di trovare: freschezza, materie prime locali, piatti convenzionali, crudi a go-go, e non menu e piatti progressisti in senso gastronomico. Uno di questi, La Scialuppa da Salvatore, aperto nel 1960, forse stupisce più di tutti. Arrivato dalla Calabria, Salvatore ha trovato qui la sua dimensione ideale aprendo in principio un luogo dove si poteva trovare di tutto; quasi uno spaccio alimentare con pizza e prodotti norcini.


Triglia alla diavola



Successivamente, si è trasformato in una sorta di chiosco, dove si servivano anche piatti caldi come la pasta con le telline, con le mazzancolle o con il pescato di zona. Ha poi puntato sulla sola ristorazione, che comunque era quella degli anni Sessanta e Settanta, semplice, popolare, abbondante; con l’aggiunta dell’invidiabile posizione di essere proprio in riva al mare.


La spiaggia, le sdraio, gli ombrelloni, il chiosco bar quasi a ridosso della battigia e poi il ristorante, con tavoli anche sulla sabbia per la più romantica delle cene. Le 180 sedute della Scialuppa sono articolate in vari ambienti. È l’inevitabile stratigrafia di un luogo che dagli anni Sessanta del secolo scorso arriva ai Venti del nuovo. Eppure, i passaggi sono dosati con gusto, con attenzione, con delicatezza. Il numero impressionante di posti a sedere sta a rimarcare le quantità che andavano di moda un tempo e che tuttora sono in auge in questo lido di Fregene. Il nuovo secolo entra in gioco solo nel 2008 con lo chef Fabio Di Vilio.



Studente di ingegneria aerospaziale, passato poi in acustica, materia nella quale si è laureato con un bachelor internazionale, aveva iniziato a lavorare nel locale per arrotondare durante l’estate e in questo luogo ha conosciuto la sua futura moglie, Federica Maduli, nipote di Salvatore. “Mentre lavoravo in sala, mi ha preso la passione per la ristorazione e ho capito che La Scialuppa era un ristorante con una grande storia alle spalle, dalla location attraente, ma la cui cucina non era al passo con i tempi. Essendo troppo legata alla ristorazione di volume, trascurava i dettagli”. Fabio è così entrato in cucina per introdurre novità e lavorare sui principi della nuova ristorazione, senza per questo ridurre le sedute.


La vera sfida era quella di offrire attenzione ai dettagli anche nelle situazioni più affollate. Dismettere sedute sarebbe stato troppo facile. L’attitudine all’organizzazione, allenata durante gli studi ingegneristici e matematici, ha permesso allo chef di abbinare qualità e quantità, sfatando un tabù. Soprattutto in estate, quando la bella stagione attira bagnanti e riempie le spiagge di Fregene, cittadina di mare che negli anni Ottanta era considerata la Capalbio del litorale romano. Fabio ha portato ordine nei processi organizzativi e dei rifornimenti; non solo in cucina.


Risotto umami



A conferma che la gestione odierna di un locale non può più essere un azzardo, ma richiede il costante controllo di ogni settore. Il suo arrivo ha portato con sé il ritorno alle tecniche di cucina basilari, come i fumetti di pesce, che si erano un po’ persi nel corso degli anni, e alla loro standardizzazione. Tutto questo Fabio Di Vilio lo ha fatto da autodidatta.Senza sapere nulla di cucina “, ammette candidamente. “Sono partito con le sole esperienze di viaggi personali e i ricordi dei miei nonni, che erano di origine campana ed erano molto legati ai piatti di mare, che amavano fare spesso”.


È stato catturato dalla cucina e oggi trova soddisfazione nei fondi, nei brodi, nelle bisque, che gli danno particolare soddisfazione quando ritrova in essi il gusto e i sapori che credeva dimenticati. La sua è una cucina della memoria che parte dalla tradizione, dalle basi, dall’abc delle tecniche, ma che si evolve in un gioco al camouflage o mascheramento, per far emergere all’improvviso i sapori delle materie prime utilizzate. Questo avviene soprattutto negli antipasti che ama presentare in forme e consistenze differenti, che spiazzano il commensale.


Grazie al suo background ingegneristico, lo chef ha iniziato a spingersi verso nuovi limiti, introducendo in una cucina classica di mare, di tradizione e popolare, tecniche prima poco praticate come le fermentazioni, le marinature, le acidificazioni e le affumicature, che possono creare contrasti inaspettati e celare la ricchezza dei sapori marini.

I piatti

Scomodare un nome altisonante come quello del Noma di Redzepi è troppo e anche ingiusto nei confronti di Fabio Di Vilio, che da autodidatta sta adesso trovando i giusti equilibri con piatti che iniziano a raccontare la personalità dello chef. Però, la sua passione per le tecniche complesse e per la matematica del reale, lo hanno portato a prendere spunto dal grande lavoro fatto a Copenaghen, applicandolo a materie prima di altissima qualità, che forse solo in Italia è possibile trovare in così grande abbondanza e varietà.



Le tecniche sopra citate alle latitudini del Noma servono per dare valore aggiunto a prodotti che necessitano di trasformazioni differenti, per non incappare nella monotonia del gusto. È questione di scarsezza di prodotti e di severità climatiche. Eppure, quelle tecniche, se applicate con rigore scientifico alle nostre materie prime, possono portare a conclusioni inattese.



L’importante è trovare le formule e i bilanciamenti giusti che non vadano a stravolgere, ma mantengano la filigrana dei sapori originari con l’aggiunta dell’inaspettato. La cucina di Fabio Di Vilio la si può definire come una costante e personale ricerca della matematica del buono.

Ricciola, cavolo rosso, aglio nero e scalogno caramellato



Ricciola, cavolo rosso, aglio nero e scalogno caramellato



In questa direzione vanno infatti la Ricciola, cavolo rosso, aglio nero e scalogno caramellato, oppure il Palombo alla mugnaia, carciofo fermentato e lemon curd. Direzione diversa è invece quella che prende lo chef quando presenta Broccoli e salsiccia di ombrina, dove consistenza e sapori di fatto mettono in scena un completo mascheramento, fin nella grassezza della texture che resta incollata al palato.

Salsiccia di corvina e broccoletto ripassato



Un gioco quasi barocco che fa sembrare elementi di terra quelli che invece sono elementi di mare. Si diverte poi negli abbinamenti terra-mare, tanto in voga oggi, con il Polpo verace, guanciale, salsa verde e patata dolce e con il Gambero rosso, bagnetto verde di “Nonna Graziella”, peperoni e fungo porcino. Non si deve credere però che lo chef abusi del palato dei clienti. In carta non sono molti i piatti che presentano macerazioni, fermentazioni e cambi di consistenza.

Gambero rosso, bagnetto verde di Nonna Graziella, peperoni e fungo porcino



Gambero rosso, bagnetto verde di “Nonna Graziella”, peperoni e fungo porcino



Di Vilio è anche un moderato, a cui piace presentare menù equilibrati che non strizzano l’occhio solo alle tendenze e alla tecnica applicata alle materie prime. La Scialuppa è pur sempre un luogo che deve fare i conti con la tradizione e il proprio passato. In questo caso l’attenzione al nuovo si presenta con il dettaglio degli impiattamenti. Un buon piatto di spaghetti con le vongole deve sempre essere in carta, senza vantare rivisitazioni di sorta. La qualità arriva dalla scelta delle materie prime; mentre la novità è data dal territorio. Non si va fuori regione per portare in tavola i pregiati gamberi di Mazara o altre specie ittiche rinomate.

Spaghetti alle vongole



Anche il pescato del giorno viene proposto in modi consueti e familiari a chi dopo una giornata di sole sulla spiaggia decide di fermarsi a mangiare. Così come è impossibile negare a bagnanti e turisti la classica frittura di calamari e gamberi. Magari la rivisitazione e la novità sta nella scelta di offrire dei piatti unici orchestrati in pokè. Cambia la forma, ma si salva la sostanza. 

Risotto di brodo di umami



Eclair



La tradizione emerge anche nella scelta di avere una carta di vini classica, che si appoggia solo sui bianchi - frizzanti o fermi che siano - e su pochi rosati. Nessun rosso è presente, perché è un abbinamento non ritenuto ideale con il pesce. Le cose sono un po’ cambiate oggi e i rossi possono accompagnare il pescato. La tradizione però viene conservata, anche perché i clienti chiedono, vogliono e si aspettano i bianchi e quindi è giusto assecondare i loro gusti. Valida e intelligente la scelta di presentare nella prima pagina della carta le eccellenze vinicole regionali e poi, in quelle successive, le referenze di altre regioni. È a causa di questa attenzione al territorio che è scaturita in me la voglia di pasteggiare con un Frascati Superiore Docg, scoprendo così un abbinamento alternativo fattibile ed elegante, non sempre praticato.

Foto: Crediti Alberto Blasetti

Indirizzo

La Scialuppa. Stabilimento e Ristorazione 

Indirizzo: Via Silvi Marina 69, Fregene (RM)

Tel.: 06 66560002

www.stabilimentolascialuppa.it

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