Otto ore di lavoro? Un miraggio, se sei uno chef. La pensa così Artur Martínez, capofila della ristorazione catalana e stakanovista dichiarato. “Il mio cervello non si spegne dopo così poco tempo. E nemmeno quello della mia squadra”.
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La vita in cucina è difficile. Chi, infatti, sceglie questo mestiere sa bene che gli orari di lavoro sono diversi da quelli consueti, tra doppi turni e festivi passati ai fornelli. Negli ultimi tempi se ne parla molto di più e alcuni chef stanno cercando di ridurre gli orari di lavoro, spesso estenuanti. Artur Martínez, invece, con le sue dichiarazioni sembra affermare l’esatto contrario: “La domanda è se una persona che ha un'attività in proprio può evolversi e crescere facendo solo otto ore al giorno: lì ho i miei dubbi. Ovviamente, i lavoratori hanno dei diritti. Ma come porre limiti alla tua passione, alla tua effervescenza? Il mio cervello non si spegne dopo otto ore. E nemmeno quello della mia squadra”.
Classe 1976, Martínez è uno chef catalano che, proprio grazie al suo impegno, negli scorsi anni è riuscito a ottenere una stella Michelin con Capritx, una piccola azienda familiare trasformata in ristorante di livello. Dopo la chiusura dell’insegna, si è trasferito a Barcellona concentrando le energie su un nuovo progetto: Aürt, aperto nel febbraio del 2019. La sua è una cucina essenziale con un occhio di riguardo per il mondo vegetale.

Lo chef racconta di essere sopravvissuto al periodo della pandemia grazie a un locale particolarmente spazioso e alla possibilità di servire le cene direttamente nelle camere dell’hotel. Il suo concetto di ristorazione, poi, si basa sulla cura del servizio e dell’impiattamento, ma anche su un rapporto di fiducia con il commensale, che ha la possibilità di interagire direttamente con la brigata mentre cucina. Difficile, per lui, che si possano ottenere risultati simili con orari di lavoro standard.

“Questo format è nato con Capritx. Mi piace l’interazione con i clienti. Sono cresciuto in un bar di famiglia e quell'interazione fa parte di me. Inoltre, la nostra cucina ha bisogno del dialogo per spiegare ai clienti cosa c'è dietro ogni piatto. Un'altra cosa bella di Aürt è che tutti mangiano osservando lo chef che lavora”. L’idea, quindi, è quella di abbattere quella parete che confina i cuochi in cucina, quasi nascosti dalla sala, ambiente con il quale possono comunicare solo grazie alla mediazione del servizio. “ I tavoli devono essere abbastanza ampi da garantire che sia il cuoco, che il commensale abbiano la loro zona di comfort, creando un contatto non invasivo. Questo evita che il cuoco debba fare anche il cameriere, perché per me il servizio è importante”.

Tornando al discorso delle 8 ore, “quello che mi ha fatto crescere nell’attività di famiglia è stata la cultura dello sforzo”, spiega lo chef catalano. “Inoltre, amo lavorare. Per me è la vita. Ma capisco che siamo in un'altra epoca, in cui i giovani hanno altre preoccupazioni. Quando immagini dove vuoi andare, qual è la tua speranza, il tuo sogno... Raggiungere certe vette richiede un sacrificio straordinario. E questa è dedizione assoluta. Non credo che si possa raggiungere l'eccellenza con 8 ore lavorative. Mi è stato insegnato da mio padre: solo aprendo il bar tutti i giorni ha potuto comprare una casa”.

Fonte: 7canibales.com
Foto di copertina: Crediti Ferran Nadeu