Il calo delle vocazioni e le sacrosante denunce sullo sfruttamento non fanno dimenticare un recente passato fatto di lavoro gratuito o quasi. “I tempi sono cambiati, ma la busta paga non può essere l’unico parametro”, commenta Giancarlo Perbellini.
La notizia
Ha fatto scalpore il caso di Yuri Zapa, giovane chef vicentino che ha denunciato lo sfruttamento nel settore ristorativo, comprese le posizioni apicali. Il suo titolare, un ristoratore veneto, gli passava 200 euro al mese per 80 ore a settimana, contro le 16 previste dal contratto, mentre continuava a promettere e rimandare l’assunzione a tempo indeterminato.Difficile non prendere le parti del ragazzo, senza dimenticare come certi fenomeni non rappresentino certo una novità in questo campo. Nei decenni passati era perfino normale che uno chef di fama o semplicemente stellato chiedesse a un giovane di essere pagato per svolgere uno stage nella sua cucina. Altro che lavoro gratuito! Se lo ricorda bene Giancarlo Perbellini, uno che la gavetta l’ha fatta sul serio. Quando faceva il cuoco da ragazzo, racconta al Corriere del Veneto, per sei, lunghi anni non è stato praticamente retribuito. “In Francia, in un locale molto prestigioso, la paga era di 300 franchi, equivalenti a 50 euro attuali. Ricordo che mio padre doveva spedirmi dei soldi, altrimenti non avrei avuto di che mantenermi. Ma l’ho fatto volentieri: investivo su me stesso, sulla mia formazione”.
Oggi che ha dieci ristoranti e un centinaio di dipendenti, mediamente giovanissimi, Perbellini si sforza di non perpetuare gli errori del passato. Al centro della sua galassia c’è il benessere dei dipendenti, tanto che Casa Perbellini, due stelle perennemente in sold out, chiude addirittura nel fine settimana. Ma in generale, rivendica, negli ultimi anni a dispetto della crisi le retribuzioni dei suoi dipendenti hanno conosciuto un aumento compreso fra il 25 e il 40%. “Se un collaboratore è bravo, ha passione ed è affidabile, faccio di tutto per tenermelo stretto ed evitare che passi alla concorrenza”.
È infatti cosa nota lo shopping che certi chef compiono presso i competitor, trovando terreno fertile laddove alligna l’insoddisfazione. Mentre le brigate di Perbellini, come sa chi siede alle sue tavole, vantano collaboratori affezionati e di lunga data. Diventa allora cruciale che lo chef possieda il fiuto del talent scout, oltre alla benevolenza del mentore. “Quando faccio un colloquio non mi interessa assumere chi cerca un’occupazione, ma chi sogna di fare questo mestiere. I giovani che collaborano con me sono molto bravi e si impegnano a fondo. Però è vero che le nuove generazioni sono diverse dalle precedenti e che il lockdown ha fatto scoprire a molti quanto grandi siano i sacrifici che richiede, anche sul piano personale, il settore della ristorazione.
Dal punto di vista retributivo, infine, il tipo di gavetta che ho fatto io a metà degli anni Ottanta, non pagata o pagata pochissimo, probabilmente oggi sarebbe rifiutata dalla quasi totalità degli aspiranti chef. Sono semplicemente cambiati i tempi. Ma di una cosa resto convinto: per investire su se stessi e sul proprio successo, la busta paga non deve essere il primo e unico fattore in base al quale scegliere un posto di lavoro”.
Fonte: Corriere del Veneto
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