Tre stelle al Mudec, due al Glam di Donato Ascani: la guida Michelin 2020 ha sancito la supremazia di Enrico Bartolini, chef italiano più stellato di sempre.
La Storia
È lui, Enrico Bartolini, l’uomo delle stelle: lo ha sancito l’ultima guida Michelin, che ha fatto assurgere il Mudec nell’empireo dei tristellati italiani, ma ha anche assegnato una pesantissima stella a Donato Ascani, che guida il Glam di Venezia. Una galassia che ormai somiglia a una costellazione: in tutto sono 8 stelle Michelin, contando il Casual di Bergamo, la Locanda del Sant’Uffizio nell’Astigiano e la Trattoria dell’Andana in Maremma, per quello che comincia a somigliare a un giovane Ducasse. Il record per uno chef italiano, senza contare gli spin-off di Hong-Kong, Abu Dhabi e Dubai.“Non me lo aspettavo: una cosa da piangere”, commenta il giorno dopo il grande chef. “Mi hanno invitato ad assistere come accompagnatore di Donato ed ero felice per lui. Ma l’invito era discreto. A parte la cerimonia che è un momento toccante, devo dire che abbiamo sempre fatto del nostro meglio e ambito a crescere. Ma quando ti dicono una cosa così grande, ti tocca la parte interiore. Per quanto riguarda il domani, non bisogna per forza pensare alla quarta stella. Questo è il massimo riconoscimento per un cuoco e il suo team. È piuttosto il momento di manifestare la nostra maturità ed essere consapevoli che abbiamo tutti gli stimoli giusti per un percorso culturale, oltre il piacere dell’ospite. La città di Milano ci ha aiutato moltissimo con il suo fermento. Speravamo di essere raccontati così un giorno, ma è successo tutto in soli 3 anni. Il segreto per arrivare al traguardo? Non c’è. Ma da quando la sala è stata in sintonia con la cucina e tutta la squadra ha condiviso meglio i messaggi gastronomici, siamo andati a fondo negli argomenti e ogni gesto è diventato più curato. Lo sprint è stato l’atmosfera generale, il team è diventato numeroso e il ristorante ha preso forma. Senza perdere di vista il gusto”.
Risultati che Bartolini ha ottenuto anche grazie alla sua abilità di talent scout: da quasi dieci anni il suo doppelgänger si chiama Remo Capitaneo. Nato a Foggia e passato attraverso gli insegnamenti di Andrea Berton ed Enrico Crippa, somiglia più a un executive che a un secondo. “Qualsiasi cosa in qualsiasi ristorante passa per il nostro confronto e richiede una duplice approvazione”, dice Bartolini. Ma dal 2016 in squadra c’è anche Ascani, geniale allievo dei dioscuri Crippa e Lopriore, interprete di una delle cucine più avanzate d’Italia. “Il rapporto con Bartolini è di amicizia oltre la cucina: discutiamo e ci confrontiamo spesso su qualsiasi cosa. Mi ha dato fiducia al 100%, mi ha sponsorizzato e mi dà carta bianca. Ma questo è un riconoscimento che non ci aspettavamo: eravamo stati chiamati per una conferenza stampa, noi proprio non ci pensavamo. Era normalissimo che non arrivasse. E adesso che succede? Niente: facciamo quello che abbiamo sempre fatto. A Venezia ti confronti con i veneziani, con il resto del mondo e con tanti colleghi. Il palato varia ma con pochi tavoli riusciamo a concentrarci e diversificare”.
Ed è l’agio il carattere distintivo di una cucina, nel cui pedigree si leggono i nomi di Paolo Petrini a Parigi, Mark Page a Londra e soprattutto Massimiliano Alajmo, di cui Bartolini è stato lungamente chef alla Montecchia. Sicuramente l’impronta più nitida, per quanto non decisiva: dal fuoriclasse di Rubano, forse il primo a sdoganare la gola in una gastronomia segnata dalla cerebralità marchesiana e dall’ossificazione avanguardista, più che tecniche o motivi arriva un approccio improntato alla piacevolezza, immediato e universalistico. “È stato lui a trasmettermi fortemente questo concetto: quando l’ho incontrato ero molto giovane ed è successo che gli avanzassi proposte che rifiutava, invitandomi a considerare il gusto prima di ogni altra cosa. Ma è una golosità meditata, che arriva da percorsi che si conoscono e si riescono a dominare. Cerco di far mangiare i miei piatti sempre così: con piacere”.