L’Aminta Resort è un’oasi di pace e gusto a poca distanza da Roma. Ospitalità raffinata, accoglienza famigliare e una cucina che non deve dimostrare nulla a nessuno ma solo far stare bene chi siede al ristorante di Marco Bottega.
La Storia
Chi segue da vicino la ristorazione gourmet tende solitamente a storcere il naso davanti agli chef “da piccolo schermo”, accusandoli di dedicare più tempo alla televisione che alla loro cucina. Spesso, però, a torto. A ben vedere infatti, è assai probabile che Marco Bottega – classe 1982, chef del ristorante Aminta a Genazzano, una stella Michelin dall’edizione 2017, e ospite fisso de La Prova del Cuoco da diversi anni – trascorra nel suo ristorante più ore rispetto ad alcuni colleghi che non vanno in TV ma passano da un congresso a una consulenza, a una serata a quattro mani.Non che ci sia nulla di male anche in quello, e d’altro canto Bottega – che è invece piuttosto defilato su questo fronte – ha ormai fatto una buona corazza rispetto alle critiche infondate, che vengano da colleghi, stampa o appassionati. “Quando sono tornato nel ristorante di famiglia e ne ho preso la guida, 10 anni fa esatti, la sala del ristorante gourmet era la stessa in cui facevamo i ricevimenti con cui mantenevamo in piedi l’attività. Per questo molti mi hanno considerato a lungo un cuoco di serie B. Ancora oggi che le due cose sono ben differenziate, con ambienti e cucine separate, c’è ancora chi ci ritiene un ristorante per cerimonie”. Lui però va per la sua strada – che sembra essere decisamente quella giusta – e non si fa troppi problemi davanti a questo genere di cose. Intanto, perché i riconoscimenti non mancano: dai tre premi messi in fila dall’Aminta sulla guida del Gambero Rosso 2010 – che lo consacrò a sorpresa tra i “big” della regione con l’ingresso diretto a 81 punti e le Due Forchette – fino alla stella Michelin, ma pure le tante onorificenze da parte delle più prestigiose istituzioni del vino francese, dallo Champagne al Borgogna, che ne attestano la conoscenza (e la capacità di vendita). E poi perché sa bene che a valere sono pure e soprattutto i conti in regola, ché ci sono troppi ristoranti dal design griffato e l’ufficio stampa di grido che però non riescono a saldare i debiti e a pagare gli stipendi del personale.
Lui ha fatto le cose un passo alla volta, trasformando mano a mano la bella struttura di campagna nata come agriturismo e pensata soprattutto per le cerimonie in un vero resort che unisce ospitalità raffinata, alta cucina e una cantina che per ampiezza e profondità è davvero un unicum regionale, e non solo. Certo, alle spalle c’era e c’è sempre la famiglia. Ma Marco Bottega non è esattamente un “figlio d’arte” che ha ereditato il talento e il conto in banca dai genitori. Il nonno, contadino e piccolo commerciante, aveva un emporio a Palestrina – vicina cittadina dei monti Prenestini, che separano la zona dei Castelli Romani e la Ciociaria, dove Marco è nato e cresciuto – dove si vendeva un po’ di tutto, dalle sigarette sfuse ai ricambi auto, fino al quartino di vino. Nel Dopoguerra, iniziò a servire anche del cibo cucinato dalla moglie e, poco alla volta, il locale diventò trattoria, poi gestita dal figlio Silvio che oggi lavora ancora nei campi sul trattore, mentre la moglie Santina arriva ogni mattina all’alba per innaffiare le piante del resort e portare in cucina qualche frutto o ortaggio appena colto da servire agli ospiti per la sontuosa prima colazione.
Nel frattempo, infatti, Silvio ha trasformato l’azienda agricola acquistata dal padre – che conta ettari di bosco in cui crescono 2500 alberi da noce, fragole e olivi, oltre a un piccolo allevamento di animali da cortile – in agriturismo restaurando un casale dell’800 e costruendo una piscina. A Marco inizialmente quel mondo va stretto; dopo il diploma al Liceo Classico decide di andare via per fare nuove esperienze lavorando prima in sala (è diplomato sommelier) e poi in cucina, al fianco di grandi maestri: Salvatore Tassa, Alfonso Caputo, Massimo Bottura. Ma pure a Parigi, da Le Septième a Saint-Germain-des-Prés. Da tutti loro apprende tecniche e conoscenze, ma soprattutto un approccio estremamente solido e in qualche modo “classico” che – una volta tornato a Genazzano – applica al suo territorio e alla tradizione locale mettendo a punto una cucina lontana da effetti speciali e provocazione ma di certo non banale. E, soprattutto, con dei progetti chiari per il futuro. Molti dei quali ancora da realizzare, con i tempi giusti. Perché, come scrive anche sulla prima pagina del suo menu, “Le idee sono tutte valide, ma le migliori sono quelle che si realizzano”.
Il Ristorante
Oggi l’Aminta Resort è sempre più simile a un vero e proprio relais improntato al gusto e all’accoglienza, un luogo a breve distanza dalla città dove trovare rifugio tra la pace assoluta della natura e il buon cibo (e il buon vino). La strada che s’imbocca dalla Provinciale che collega Valmontone a Genazzano s’inoltra nel bosco fino al grande cancello che accoglie gli ospiti e li catapulta in una dimensione molto differente da quel che c’è attorno, natura a parte. Vialetti e aiuole ben curate circondano il casale restaurato con cura che ospita il ristorante gourmet, mentre un altro edificio di fronte è oggi destinato agli eventi. Ma ad attirare subito l’attenzione è la bella piscina circondata da un parco verde in cui, seminascosti, si trovano anche gli alloggi per chi vuole fermarsi la notte, inclusa una suite con sauna e idromassaggio. In un altro piccolo casale c’è poi la cantina, che custodisce un’incredibile collezione di etichette di pregio (anche in vendita con servizio enoteca) e l’affinatura di salumi fatti in casa e formaggi; c’è pure un grande tavolo per degustazioni e aperitivi, di quelli che potrebbero durare a lungo e sfociare in dopocena a base di distillati. Ben vengano, dunque, le confortevoli stanze.
Ci si sveglia immersi nel silenzio del bosco, ma il pensiero va alla ricca prima colazione – a base di frutta e verdura di stagione, biscotti della tradizione, dolci, lievitati, formaggi ma pure lo strepitoso uovo strapazzato con menta e pecorino – che viene servita nella sala del ristorante. L’ambiente non ha perso la sua impronta rustica, con i dettagli in pietra viva e il camino che d’inverno aggiunge calore in senso figurato e non. Ma i dettagli di classe – dalla raffinata mise en place al grande menu con la raffigurazione de Gli Amanti di Venezia di Chagall, fino alla monumentale carta dei vini rilegata in cuoio – non lasciano spazio a dubbi: siamo in un grande ristorante, di quelli dove – anche grazie alle attenzioni e al garbo del servizio al femminile, affidato alle sorridenti e preparate Elena Di Flauro e Martina Santangeli – ci si sente accolti come a casa ma con un’allure decisamente non quotidiana. D’altro canto, Marco Bottega non nasconde che i suoi modelli sono le grandi “case” dell’accoglienza italiana a tutto tondo, come Da Vittorio della famiglia Cerea o Dal Pescatore dei Santini; non a caso, il suo prossimo obiettivo è spostare il suo ristorante in una nuova struttura poco lontana, dove approntare un’accoglienza di charme secondo i canoni Relais&Chateaux.
I Piatti
Marco Bottega è giovane ma – per lo meno per quel che riguarda la cucina – sembra aver già raggiunto una maturità da cui molti suoi colleghi sono ancora lontani; è una constatazione che, al di là delle valutazioni di merito, emerge ben chiara assaggiando i piatti del suo menu. Lontani da mode e tendenze, mai ruffiani ma nemmeno ostentatamente provocatori, potrebbero in alcuni casi risultare perfino anacronistici – o meglio, senza tempo, rivelandosi ben più solidi – se ci si fermasse a riflettere sull’età dello chef e su quello che accade nel mondo della gastronomia, dove spesso il contraltare alle sperimentazioni e alle tendenze cerebrali di certa cucina sembra essere sempre di più un ritorno alla veracità che prende talvolta toni pulp. Qui, invece, regna l’eleganza e tutto punta al comfort, senza risultare né stucchevole né banale.E se il territorio – inteso anche e soprattutto come terra che circonda la struttura – resta protagonista non solo di uno dei due percorsi di degustazione (Territorio, appunto) ma anche di molti piatti della carta, c’è spazio anche per gli omaggi ai maestri e alle passioni personali di Bottega, tra cui la Francia e i suoi prodotti. Come nel Foie gras alla Mantovana, ispirato ai famosi tortelli di Nadia Santini, in cui la scaloppa rosolata alla perfezione è servita con una salsa di zucca con mostarda di mele campanine, riduzione di liquirizia e amaretto sbriciolato.
Al centro della sua cucina c’è soprattutto la materia prima, nell’assidua ricerca di coerenza e autenticità; tanto che il secondo menu degustazione, a lungo chiamato Quello che piacerebbe mangiare a me, è diventato da poco Ingredienti: una lista di prodotti tal quali, dalle animelle al tartufo passando per funghi, lepre, lumaca, che lo chef interpreta in maniera sempre diversa anche grazie al lavoro settimanale di brain storming e sperimentazione con la sua brigata.
Così, nel nostro caso il pasto si apre – dopo qualche goloso assaggio di benvenuto da mangiare con le mani – con il baccalà mantecato e hummus di ceci accompagnato dalle verdure croccanti dell’orto con polvere di olive disidratate e petali di cipolla cotta in tre aceti; poi arriva in tavola un’animella di vitella semplicemente perfetta, per consistenza e cottura, accompagnata da asparagi a julienne e in crema e dalla crema di latte al limone: un boccone impeccabile, in cui conta certo tantissimo la qualità della materia prima ma anche la mano, che punta a far godere più che a stupire.
Più azzardati, ma davvero interessanti, i tortelli di lepre in salmì con crema di ortiche, tartufo e lamponi: “È un piatto nato uscendo fuori di qui e guardandomi intorno”, racconta Marco Bottega, è c’è da credergli anche se non è certo immediato l’abbinamento tra gli ingredienti, con la nota acidula e fresca dei lamponi a fare da trait d’union tra l’intenso ripieno e l’ortica.
Squisito anche il maialino profumato dall’anice stellato e dal ginepro, accompagnato da petali di mela marinati al timo e una superba salsa di friggitelli a ricordarci che fuori l’estate incombe. Poi arriva, a sorpresa, l’estemporanea fagianella cotta sulle erbe aromatiche e accompagnata da salsa bernese, salsa di rapa rossa, misticanza selvatica, erba cipollina, patate cotte sotto la cenere e schiacciate e completato da un robusto fondo di cacciagione e dall’olio extravergine ottenuto dalle olive dell’azienda agricola, che apriva anche la cena insieme ai pani della casa. Sporzionato e impiattato a tavola dallo stesso chef, sembra a prima vista pericolosamente “troppo”; ma l’assaggio rivela – insieme alla carne saporita e tenace com’è quella della “vera” selvaggina – il perfetto equilibrio tra i sapori e un’esecuzione altrettanto magistrale di ogni singolo elemento.
Per concludere si torna nell’orto, con l’omonimo dessert, una crema di latte alla vaniglia Tahiti con salsa alle amarene, terra di cacao speziata e verdure cotte in un brodo vegetale con zenzero e miele, servita nel bicchiere di ceramica a ricreare un vaso fiorito o una zolla di terra.
Indirizzo
Aminta by Marco Bottega c/o Aminta ResortVia Trovano, 3 - Genazzano (Roma)
Tel. +39 06 9578661
Il sito web