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Ristorante Contrada, l’eleganza piemontese di Enrico Marmo alla corte della toscanità

di:
Sara Favilla
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enrico marmo

Un cuoco che nonostante i suoi 32 anni, mostra una preparazione intellettuale e una maturità professionale che gli permettono di interpretare la cucina con rapidità di pensiero e grande capacità mimetica.

La Storia

A febbraio avevamo annunciato l’arrivo dello chef Enrico Marmo a Castel Monastero, e questi pochi mesi sono stati più che sufficienti per calarsi completamente nella nuova  compagine toscana, mesi trascorsi a studiare, osservare e percorrere un territorio a partire dallo scandaglio della natura, con tutti i sensi in ascolto a cogliere ogni suggestione da riportare in cucina. Ed è stata una ricerca che si potrebbe definire a “T”, su un duplice asse ortogonale, che se in orizzontale si sposta spazialmente in cerca della materia prima, affonda in una verticalizzazione netta per flashback temporale, alla riscoperta di ricette e usanze specifiche del luogo. “Sono andato in cerca di produttori, macellai, agricoltori, ma anche vignaioli e raccoglitori di erbe e cacciatori, ho mangiato in molti ristoranti e trattorie della zona, e da tutti mi sono fatto raccontare quali sono i loro sapori di casa, le ricette cui si sentono legati e le usanze a tavola. C’è un bagaglio culturale gastronomico impressionante, che mi ha insegnato moltissimo e che ha agevolato lo sviluppo del mio concetto di cucina”.


Certo Enrico è un ragazzo che, nonostante i suoi 32 anni, mostra una preparazione intellettuale e una maturità professionale che gli permettono di interpretare la cucina con un’impressionante rapidità di pensiero e grande capacità mimetica. Sicuramente i suoi maestri, in primis Davide Palluda cui Marmo si sente legato da un rapporto di stima e amicizia, sono stati importanti nel dargli disciplina e metodo, ma Marmo è quello che realmente si può definire chef, oltre che cuoco, e lo sta dimostrando nel gestire tutto il comparto ristorativo di una struttura di lusso qual è Castel Monastero, sia dal punto di vista delle risorse umane per cui si è creato un’ottima brigata, che nell’amministrare le materie prime su cui imbastire i vari ambiti, dalle colazioni, al pranzo alla Cantina, l’aperitivo e la cena sia in trattoria che nel fine dining del Contrada. Ma prima di essere chef e cuoco, è uno studioso, empirico e teorico: vero è che cultura piemontese e cultura toscana hanno vari tratti in comune specie a livello enogastronomico, per cui non è stato difficile cogliere le affinità, in primis il fattore vino che si origina in un ecosistema dalle caratteristiche uniche che Marmo non si è lasciato sfuggire e che ha fatto proprie traslandole in sapore.


La preziosa collaborazione con il suo secondo, Jacopo Rosti, cui Enrico si appoggia quotidianamente nello sperimentare e mettere a punto procedimenti ed elaborazioni degli ingredienti, è quella sicurezza che gli permette di veleggiare con serenità ed entusiasmo tra i meandri della cucina toscana.


Per riprendere il concetto di ricerca a T, lo spostamento in orizzontale ha come stella polare la natura, intesa come prodotto da esaltare nella massima concentrazione del gusto. E se il vegetale è un elemento stimolante, nel suo continuo mutare col volgere delle stagioni, Marmo si accende particolarmente nel raccontare il lavoro di indagine sulla carne. Ha trovato un ottimo alleato nella Macelleria Minucci di Castelnuovo Berardenga, costruendo un dialogo quotidiano che coinvolge tutte le fasi di lavorazione della carne. “Gli ho chiesto come si lavora il maiale, lui mi suggerisce come trattare le varie parti, per ottenere insaccati e sfruttare meglio i tagli in modo da esaltarli al meglio. O ancora, le frollature delle costate in lardo, che variano dai 50 ai 70 giorni fino a ottenere una carne che pur avendo perso i liquidi necessari, mantiene una morbidezza data dall’impermeabilizzazione esterna del grasso che evita l’ossidazione. Stiamo lavorando molto anche sul pane e stiamo arrivando a realizzare un pane a lievitazione naturale con il 100% di farina di farro, e cercheremo di stabilizzarlo in modo da essere meno soggetti possibile alle variazioni climatiche”. E in contemporanea la mente dello chef, laddove un ingrediente fa breccia emozionale, innesca una ricerca in verticale, ossia a ritroso nel tempo, in un affondo nelle storie più intime, dalle ricette di casa fino ai grandi ricettari medievali (che spesso presentano ancora tratti in comune). Ecco quindi che una cipolla è il pretesto da cui scaturisce il ritrovamento di una ricetta di Maestro Martino, che si rivela attualissima, oppure un trattamento di una materia, come l’agresto, una salsa acidula di origine medievale che ha resistito al tempo specie nella campagna toscana.

Perché sì, creatività non è necessariamente il dovere inventare qualcosa da zero, con tutti i rischi connaturati, creatività è saper cogliere quanto di buono è stato fatto, adattarlo al presente e renderlo completamente nuovo e inusitato.

I Piatti

Il menu del Contrada si compone della carta (6 antipasti, 5 primi, 5 secondi) e due menu degustazione, Toscana (5 portate a 75 euro, con possibilità di aggiungere dei plus), e il Percorso a mano libera dello chef (7 portate a 90 euro).


Il degustazione Toscana inizia con un saluto a questa terra che è una cartolina con i suoi monumenti più gustosi, e si intitola non a caso Giro di Toscana, un mini tour in 4 tappe: dalla cecina (torta di ceci) resa in cialda sottilissima abbinata a una crema di scalogno e pepe, alla pappa al pomodoro racchiusa in un cracker, una cialda di semi di chia, girasole e lino con favo di miele e pecorino vecchio Pienza grattugiato, per finire con un boccone di tartare senza condimento, ottenuta dallo scarto della costata frollata 70 giorni in strutto, avvolta in foglia di oxalide viola il cui gambo ha astringenza citrica e rinfresca.


Tra gli antipasti estivi, notevole il Cetriolo in carpione con ciliegie, panna e angostura, perfetto nei contrasti, cui fa eco il successivo Gazpacho, con i frutti rossi di fragole e ciliegie che tornano a rafforzare la nota dolce e asprigna insieme del pomodoro in forma di semi congelati e salsa arricchita dalla nota aromatica del dragoncello.


Ancora grande vegetale che si fa storia nell’Insalata di cipolle del Maestro Martino, il cui impiattamento “spartano” è volto a valorizzare al massimo il gusto. Il bulbo, tanto amato dallo chef, è oggetto di un’indagine tanto profonda da risalire al rinascimento che lo chef riporta in tavola oggi con uno sguardo fedele ma attualizzato nelle cotture: a partire dalla cottura della cipolla in purezza a 250°, condita quindi con una vinaigrette con olio, aceto, anice stellato, coriandolo e pepe rosa. Alla base una crema di uova sode e una salsa di prezzemolo bollito e frullato, che a tratti evoca il bagnet verd piemontese ridotto al minimo, a dimostrazione della ricerca sulla concentrazione dei sapori nella loro essenza e l’abilità dell’abbinarli con equilibrio, per un piatto antico con un’eleganza regale.


È un crescendo che prosegue con l’Arrosto di scarola al latte, una sorta di piatto jolly che si situa perfettamente tanto tra gli antipasti quanto fra i secondi, con la ricetta dell’arista in cui si sostituisce la scarola, aperta a fiore e tra le cui foglie viene grattugiato il midollo di manzo, quindi chiusa e legata a mo’ di arrosto, quindi cotta al forno e condita con la classica salsa a base di latte, vino bianco, aglio, rosmarino. Ogni forchettata sorprende per la variazione di sapori, ora dolce sulla foglia, ora più amara sul gambo, con la consistenza sempre carnosa e la persistenza aromatica che riporta all’arrosto di casa.


Questa Toscana vista da un piemontese si fa sincretismo gustativo ed è formidabile constatare quanto possano essere eleganti i sapori rustici se filtrati da uno sguardo allargato come quello di chef Marmo che sa cesellare il gusto con eleganza e rigore piemontesi. E questo lo si ritrova più che mai nel capitolo dei primi piatti, sempre golosi, ma mai eccessivi. È il caso dei Ravioli alla puttanesca, trasfigurazione del plin che vengono chiusi e uniti diversamente dal consueto, con polvere di olive, semi di pomodoro in purezza, e polvere di aglio, acciughe e capperi. Ancora scrigni ripieni sono i Ravioli alla piastra, che se da un lato evocano i Gyoza di cui lo chef va matto, dall’altra riagganciano la tradizione toscana dei Ravioli tipici del Casentino, detti alla lastra perché cotti direttamente sul fuoco, senza bollitura. Ed è il caso anche di questi di chef Marmo, con un ripieno di faraona al naturale, la cui tendenza dolce è contrastata da due gocce di melassa di cicoria che rafforzano l’amaro della cottura alla piastra data dalla reazione di Maillard. Due ravioli da mangiare con le mani, per un piatto che come i precedenti esalta la purezza dei sapori, dei pochi ingredienti valorizzati al massimo, nella cottura brutale sulla fiamma senza il medium “borghese” (come direbbe Lévi-Strauss) della pentola, né quindi quello dell’uso della forchetta.


E la Toscana più rustica si eleva a eleganza nella scodella di coccio con le Pappardelle alla tegamata di piccione e olio all’alloro, un piatto tipico del senese che lo chef fa suo, interpretando fedelmente la tradizione autoctona che vuole la cottura spinta del piccione, con salvia, rigatino, rosmarino, à l’ancienne, abbinato con le pappardelle a base di farina di farro (al 50%) e una manciata di segale a dare maggiore consistenza alla pasta.


Tra i secondi, la Pernice bianca arriva in tavola con una leggera glassa al miele, un cremino di foie gras e agresto. Con il fondo di pernice ha rosolato nel burro nocciola l’uva acerba messa sotto aceto (un’interpretazione moderna dell’agresto toscano), ispirandosi alle ricette tradizionali, quindi filtrata a mo’ di salsa che ha una astringenza tannica data dall’uva acerba, che i più coraggiosi assaggeranno senza timore, ma in cui la nota grassa del burro e del fondo danno rotondità e succulenza alla magnifica carne selvatica.


Ed è ancora selvaggina, rigorosamente selezionata e certificata dall’azienda Chianti Wild, con il Capriolo con pastinocello e droco, con la carne arrostita al burro, salsa di foglie amare, pastinaca sia in crema che cotta in burro nocciola, e il drogo, ossia il mix di spezie usate sia per lo stufato sangiovannese che per il panforte, tra cui compaiono vaniglia, cannella, noce moscata, pepe; comfort e charme.


Il capitolo dessert non mostra cesure rispetto al percorso, e segue lo stesso filo conduttore di ricerca esplorando i gusti della tradizione locale, con l’upgrade della sensibilità contemporanea dello chef. Imperdibile per i più golosi il Soufflé piazza Campo del Palio, realizzato con mandorle zuccherate calde e polvere di biscotto e vaniglia, a restituire l’idea del tipico cantuccio toscano, cui si aggiunge il vin santo qui diluito con acqua e da gustare affondando il cucchiaio. Scenografico e sorprendente in bocca per la trasfigurazione del classico fine pasto toscano, qui elegante e vaporoso in un contrappasso per opposizione, per cui il biscotto secco si fa nuvola che si scioglie in bocca, mantenendo intatti i sapori della tradizione.

Fotografie di Lido Vannucchi

Indirizzo

Ristorante Contrada c/o Castel Monastero

Loc. Monastero D'Ombrone 19 - 53019 Castelnuovo Berardenga (SI)

Tel. +39 0577 570570

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