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Cena a 4 mani al Radisson Blu Hotel di Roma con lo chef Francesco Brutto

di:
Massimiliano Bianconcini
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Due cucine quasi contrapposte hanno trovato il modo di integrarsi nel menù. Per il resident Giuseppe Gaglione: “L’incontro con gli stellati è eccitante perché apre la mente”.

L'Evento

Serata a quattro mani per il Radisson Blu Hotel di Roma, anzi per il ristorante Roof Top Sette, al settimo piano di una struttura che è entrata di diritto tra le venti architetture più interessanti da visitare in Europa. Per la serie A dinner with, che prevede sei incontri con sei giovani chef stellati italiani, inaugurata a maggio, martedì scorso è stata presentata la cena realizzata dal Resident chef Giuseppe Gaglione e da Francesco Brutto dell’Undicesimo Vineria di Treviso, una stella Michelin. Otto portate, pre dessert compreso, che hanno offerto uno spaccato dell’arte culinaria dei due cuochi, a cui si è anche aggiunto come sostegno esterno Andrea Dolciotti, chef romano entrato nella élite. La cena si è svolta a bordo piscina, situata anch’essa al settimo piano dell’albergo, ed è stata seguita da una ristretta cerchia di appassionati che al costo di 70 € a persona hanno assaggiato, in abbinamento ai piatti, una verticale di vini dell’Azienda Lunelli, partendo da due Perlé Ferrari, uno Chardonnay in purezza e un blend di uve Chardonnay 20% e Pinot nero 80%, rifermentati per cinque anni sulle bucce.


Per Gaglione la cucina gourmet non ha molto significato. È una buona cucina preparata con prodotti di eccellenza, perché sono le materie prime  a fare grande un piatto. La tecnica semmai è importante perché aiuta ad esaltarla e a non rovinarla. La sua è una cucina semplice, organizzata (fondamentale in una struttura alberghiera che vanta 230 stanze), spontanea e stagionale. Non ama troppi ingredienti nel piatto e vuole che siano tutti riconoscibili. L’incontro con gli stellati è eccitante perché apre la mente e permette di scoprire tecniche nuove e sapori che non avrebbe immaginato si potessero usare con la verticalità che alcuni di loro usano. Ad esempio, l’amaro che emerge da alcune pietanze di Francesco Brutto lo ha stupito positivamente.


Brutto da canto suo aiuta poco a definire la sua cucina. L’utilizzo delle erbe è stato un momento aurorale del suo percorso e della sua poetica. Oggi le usa solo se servono e se ci sono. La sua ricerca è piuttosto avanguardista. Vuole scoprire quello che ancora non c’è, lavorando sulle cotture ad alta pressione, a bassa temperatura e prolungate nel tempo. La tecnica, in pratica, per avere l’aglio nero fermentato. La sta applicando su rape, funghi e melanzane. Inoltre, sull’esempio dell’Osteria Francescana, sta lavorando appunto sui fondi e sulle salse, adottando nuove tecniche di estrazione, per non rovinare le materie prime. «La tecnica - dice - serve a questo: a non rovinare la materia prima; ed è il 99% nel piatto. Per Francesco Brutto la complessità è eleganza. Se si riesce a bilanciare molti elementi insieme, senza rovinarli, allora si è davvero bravi, come Davide Di Fabio della Francescana».


I due chef si sono divisi equamente la carta. Ha aperto le danze lo Giuseppe Gaglione con una amouse bouche di Seppia, ciliegie e caviale di Perlé Ferrari, realizzato con una gelidificazione dello spumante, che ha predisposto i commensali con le delicate acidità del confetto. A seguire sono arrivato Nervetti, volpina, dashi e levistico, un piatto dichiarazione di intenti di Francesco Brutto. Il levistico è un sedano di montagna e ha dato una eco erbacea di fondo alla ricetta. Il dashi, una lavorazione giapponese, ricavata in questo caso da un brodo di tonno asciugato e servito in forma di chips, che ha regalato la croccantezza e la sapidità, al limite dell’umami, per contrastare la grassezza pastosa dei nervetti e della volpina, un pesce dell’Adriatico. Persistente in bocca nelle sue componenti principali è stato controbilanciato dal blend del Perlé Ferrari, che aveva una nota tannica, quasi affumicata, data dal Pinot nero.


Cetriolo, filipendula, kefir e artemisia, pensato e strutturato sempre da Francesco Brutto, ha chiuso la serie delle entrée. Fresco e gentile, ha riportato al grado zero il palato, facendo dimenticare i sapori del precedente. Ha riempito l’attesa incuriosendo senza strafare. Un piatto che di fatto si compone di diverse fermentazioni, quella del cetriolo, prolungata che lo ha reso estremamente digeribile per tutti conservandone in parte sul fondo la croccantezza. E quello del kefir, un latte fermentato che di recente sembra aver invaso le cronache gastronomiche italiane. Meno preminenti le erbe utilizzate di contorno, la filipendula e l’artemisia, centellinate e per questo anche difficili da percepire ad un palato poco esperto. Il piatto è complesso, come la poetica di Brutto, ma a prima vista semplice. Giuseppe Gaglione ha poi presentato i Ditalini di farro Felicetti, fagioli di controne, cozze e aglio nero fermentato. Un azzardo (trattasi di pasta e fagioli in fondo), in cui al naso era facile cogliere il fresco del mare e al palato un retrogusto, persistente e uniforme, a tratti affumicato, dove l’esplosione dei sapori creava anche l’illusione di qualcosa d’altro.


Con il Riso Acquerello, pomodoro verde, ginepro e pimpinella si è tornati nelle mani di Brutto che ha dato un altro saggio della sua idea di cucina: complessa e semplice al tempo stesso, in cui un mix di elementi può sorprendere in differenti modi. Il riso bianchissimo, ad esclusione di una macchia verde centrale, data dal pomodoro verde e dalla pimpinella, aveva un netto profumo di gin; mentre in bocca aveva un fondo erbaceo amarostico quasi violento, balsamico e selvaggio allo stesso tempo; persistente ma anche ammaliante, perché nuovo, inedito, inaspettato. Una provocazione che nello stesso tempo ha aiutato a digerire e predisporre al secondo che ha chiuso la parte centrale della cena. Il Cuore di manzo marinato con melanzane a funghetto, accompagnato da una goccia di gel al prezzemolo. Il manzo, scottato per fermare il sangue e pulito della parte esterna, è stato presentato quasi come un crudo, simile ad un filetto d’oca francese, di gran lunga meno grasso in bocca, meno invadente. Il sapore era deciso e lieve allo stesso tempo, adagiato su un fondo delicato di piselli e mandorle.


Una Coulis di frutti rossi con gelato al basilico artico (basilico di montagna) ha introdotto il dessert: Pesca, lamponi e quinoa, dove quest’ultima, trattata in forma di chips, ha dato la croccantezza, mentre le altre consistenze erano date dalla pesca in forma di frutto e di gelato e dai lamponi, anche questi presentati in doppia veste.

Indirizzo

Rooftop in Rome: A Dinner with presso Radisson Blu, es. Hotel Rome
Indirizzo Via Filippo Turati, 171 – Roma
Tel: 06 444 84 384
Email info e prenotazioni: ristorante.sette@radissonblu.com
Il sito web

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