Mostri sacri e giovani certezze: ha pescato in un serbatoio vivo di talenti Massimo Di Cintio per la seconda tappa nelle Marche.
La Notizia
Prende sempre più piede il congresso regionale di Massimo Di Cintio,
alla seconda edizione nelle Marche, dopo 4 in Abruzzo e il recente esordio in Puglia. “Il segreto? La prossimità fra chi sale sul palco e chi siede in platea, che genera coinvolgimento, emulazione, ricadute positive su tutta la ristorazione”, ha commentato l’organizzatore.
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“Esagerare con equilibrio” è il motto di Alessandro Rapisarda, un curriculum altisonante finalmente alla prova della ristorazione in veste di chef patron presso Casa Rapidarsa. Sta finendo la stagione del mosciolo, bivalve che lo chef non lava per conservare tutto il gusto dell’habitat al momento dell’apertura. Ne risulta una torbida bomba di iodio che viene microfiltrata, per poi sciacquarvi i molluschi. Sul piatto sono farciti con vari gusti: estratto di paccasassi con aceto di riso, purea di latte di mandorle in parte amare con capperi e caffè, salsa ponzu, pasta di umeboshi e susine, cime di rapa alla colatura, più bruschette per evocare una zuppa. Poi l’omaggio non a un prodotto, ma ad Antonio Nebbia, autore de Il cuoco maceratese. Consta di un raviolo ai funghi e panna ridotta con animelle, tartufo e fondo bruno all’osso di prosciutto che cita i vincisgrassi. In chiusura il dessert di ciliegie, mandorle e sapa con neve di cardamomo al Pacojet.
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Daniele Citeroni dell’Osteria Ophis ha replicato con un’interpretazione del fegatino di maiale alla veneta con arancia, insalata di finocchi, polvere di pane e olive nere per la griglia; il pollo ngip e ngiap, onomatopea di una rosolatura veloce, con purè di patate arrosto e Come un funghetto offidano, rivisitazione del dessert tipico all’anice verde.
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Un applauso ha accompagnato sul palco Mauro Uliassi, che nella sua “jam session” ha illustrato il funzionamento del LAB. “La creatività è un comportamento con contenuti immaginativi, cioè la capacità di immaginare altro dall’esistente”, ha esordito. Può funzionare per adattamento, associazione o ispirazione estemporanea, anche combinati. Seguono prove e verifiche sotto la guida di un leader, in un clima di rispetto e lealtà, nel quadro di un vero e proprio brainstorming o meglio brainsailing. Ma non si può mai prescindere da due parametri: semplicità e autenticità, ovvero replicabilità e addentellati nella memoria, mettendo in sinergia tutti i sensi e tutti i gusti. “Negli ultimi tempi ci stiamo concentrando su gesti ancestrali, con tecniche perlopiù dimenticate e nascoste. Cerchiamo il regesto, il riassunto di un alimento”. Lo dimostra la canocchia affettata con le sue uova su gelatina di granchietti con olio al pepe rosa e semi di frutto della passione; è un hit il fusillone con lardo di polpo (essiccato, abbattuto, affettato) e polvere della sua pelle tostata, piatti mimetico già imitatissimo; ma ci sono anche la minestra di seppie sporche crude, la corona del rombo con semi di olive leggermente ossidati, la tagliatella della domenica con pomodoro acidulato, pecorino di fossa e tutto ciò che è rigaglia, il colombaccia con fondo di spalla di agnello e gocce di eucalipto.
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Serena D’Alesio del Marchese del Grillo, succeduta alla mamma Emanuela in cucina, ha composto un millefogli in omaggio alla carta di Fabriano, fatta di fibre vegetali e anche pelle di coniglio, con sedano rapa e insalata di coniglio. Poi Troterellando, composto di battuta di trote fario e salmonata dell’Appennino, avannotti pastellati, acqua potabilizzata di lago alla salvia nel sifone, prosciutto croccante, un reverse crudista della classica trota al forno.
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“Inutili confini” è stato il tema prescelto da Nikita Sergeev, scalpitante nei suoi azzardi ragionati. Quindi la trota di Visso affumicata con latte fermentato, uova di pesce, erbe e crema di lenticchie per riprendere la nota terrosa, rafforzata dal cumino, dove ripesca finalmente le sue origini russe in un movimento di stop and go. Poi il risotto cotto con “acqua” di manzo (non brodo), ricci di mare e alga kombu per l’umami, spinto dal cavolo nero, puristico su armonie gustative contemporanee. In chiusura i Trelatti, monocromo bianco con marschmallow di latte caprino, meringa, quenelle di latte di bufala affumicato, spuma di latte vaccino con cardamomo e sale. Dove la prossimità anche visiva fra gli elementi esalta a dismisura i minimi scarti gustativi.
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In gran spolvero anche Stefano Ciotti, che ha territorializzato il foie gras con fegatini confit di merluzzo in similterrina addensata all’Anisetta, anice verde e salame di fichi caramellato, estremizzando con eleganza il consueto contrasto dolce/amaro sulla base della similitudine fra le due frattaglie. Poi un risotto con siero di pecorino, Verdicchio ridotto, zucca e burro di cioccolato bianco alle nocciole, prestidigitazione destrutturante su una ricetta “banale”, di cui si enfatizza nuovamente il contrasto a equilibrio invariato. All’apparenza un riso in bianco con un ricciolo di burro.
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Errico Recanati sta scavando in verticale nei concetti della sua cucina, direzione Etxebarri nella profonda provincia marchigiana. Per primo ha presentato uno scampo con “bottarga” ottenuta dal cuore di agnello lasciato appeso e grattugiato, quasi un fondo asciutto dalla consistenza di tartufo, più gelatina di frutto della passione, mango, yogurt, burro affumicato e uova di pesce. La brace da strumento a ingrediente, commenta Di Cintio. Anche la milza di agnello viene disidratata stile katsuobushi, fino a sviluppare aromi di funghi porcini. Ecco allora il puristico paté di fegatino con foie gras, fungo e milza. Idem il fegato con rapa, lampone ed erbe di campo. E ancora il crème caramel al fegato di fagiano, la panna cotta al fegato di anatra e il ferrero rocher al foie gras, visciole e limone. Dove la sottrazione riconduce imperiosamente alla semplicità materica e rigorosa di nonna Andreina.
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Le nostalgia è diventato il motore primo di Enrico Mazzaroni, cantore del mondo perduto dei pastori dei Monti Sibillini, che qualcuno sta cercando di resuscitare secondo un concetto di resistenza pastorale. Si è presentato con la zia Gina per procedere alla cagliata. “Perché la cucina è gesto ed è stato ciò che mi ha formato”. Anche quella verso Porto Recanati è stata una transumanza, per quanto involontaria, foriera di nuove opportunità. La semplicità continua a dettare legge nei piatti. Quindi l’acqua di mare gelificata con cagliata e caviale: “la transumanza dalla montagna al mio mare, ormai lo posso dire”. Un piatto impossibile da servire al ristorante, martellante di sapidità. Poi la testa di agnello cotta nel siero per un cervello caramellato simil crème brûlée con tisana piccante alle ciliegie, per un’ulteriore transumanza fra dolce e salato.
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Aurelio Damiani, antesignano della semplicità oggi in auge, ha illustrato il suo approccio alla materia attraverso il crudo di gamberi, succo di mela rosa e tartufo nero brumale dei Sibillini; i maccheroncini di Campofilone con succo di canocchie, peperoncino e crescione di prezzemolo; le patate rosse di Colfiorito marinate con baccalà, cipolla piatta e salsa verde.
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Gran chiusura con Moreno Cedroni: l’eleganza di contro alla potenza di Uliassi. Scortato sul palco dal fido secondo Luca Abbadir, ha presentato ricette ispirate a una marchigianità per contrasto, esaltata dalle ricorrenti contaminazioni orientali. Quindi il risotto all’ostrica, l’anguilla destagionalizzata, mezza giap, mezza alla griglia e una ricetta di sgombro marinato ai cavoli del Clandestino. In un panorama anti-tecnico o a-tecnico, tendente alla zero cucina, altrettante esplosioni di colori ragionate, dove continua a dettar legge il niac di Bras, ovvero la gioia supererogatoria del superfluo.