Top Chef Pasticceria

Dai 70mila panettoni dei Cerea ai 1500 mq del “Cannavacciuolo lab”: come nascono i lievitati tristellati?

di:
Andrea Cuomo
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copertina panettoni

Abbiamo chiesto a Cannavacciuolo, Alajmo, Romito e Cerea che cosa rappresenta per loro il cimento annuale del più importante lievitato delle feste, come lo fanno e in quali versioni. “L’occasione per far conoscere una volta l’anno a più persone la nostra visione”

Eh no, non si può proprio cadere per un panettone. I grandi chef tornano puntuali a cimentarsi nella fattura del più classico dei lievitati delle feste, e lo fanno con l’impegno di chi deve portare a tavola un prodotto all’altezza di un brand tristellato. Anche perché per il cliente medio l’acquisto di un panettone di un cuoco famoso invece di quello del supermercato o della pasticceria sotto casa rappresenta non soltanto la speranza di chiudere in bellezza il pranzo più importante dell’anno, facendo anche bella figura con lo zio Piero (tiè!), ma anche l’opportunità di sentirsi per qualche minuto (il tempo di una fetta) in un ristorante nel quale non tutti hanno l’occasione di andare. Una bella responsabilità, per questo panettone e per chi lo fa.

max alajmo panettone nuova foto 2025
 

Che poi come si sa il panettone è uno dei dolci più difficili da realizzare. La lunga lievitazione nasconde molte insidie, le temperature devono essere rispettate in modo millimetrico, la maglia glutinica deve essere forte ed elastica. E ovviamente gli ingredienti devono essere tutti di alta qualità, come quelli dei piatti che gli chef stellati servono nei loro locali. Sbagliare qualcosa sarebbe imperdonabile. “La sfida più grande – spiega Antonino Cannavacciuolo, tre stelle Michelin a Villa Crespi a Orta San Giulio, sul lago di Orta - è garantire standard di eccellenza assoluti su un prodotto artigianale estremamente delicato come il panettone, soprattutto quando i volumi aumentano nel periodo natalizio. Ogni panettone deve essere impeccabile e coerente con l’identità del brand”.

Cannavacciulo panettone
 

Quella dell’identità è la partita decisiva. I consumatori devono trovare anche in un prodotto piuttosto tradizionale e standardizzato come il panettone tracce della filosofia dello chef che mette il nome sulla scatola. “Tutti i nostri prodotti – spiega Massimiliano Alajmo delle Calandre, storico tristellato di Rubano nell’hinterland padovano - devono essere coerenti con i concetti che applichiamo da tempo alla nostra cucina, e quindi leggerezza, digeribilità, gusto, piacere, colore, divertimento, naturalità, per poter trasferire in un’esperienza che nei nostri locali parte dal caffè e dalla brioche della prima colazione. Il panettone è un lievitato che segna un importante momento di condivisione della nostra visione”.

max alajmo panettone
 

Un altro chef tristellato, Niko Romito di Reale a Castel di Sangro, individua l’obiettivo della produzione di un panettone nel “rispecchiare pienamente l’identità del laboratorio: pulizia del gusto, leggerezza, precisione tecnica e totale riconoscibilità sensoriale”. Anche perché “il panettone è un prodotto vivo, estremamente sensibile alle micro-variazioni di temperatura, umidità, acidità e forza dell’impasto. Per mantenerlo coerente alla nostra filosofia, con un gusto essenziale ma profondo, una struttura ariosa e una digeribilità elevata, serve un controllo rigoroso di ogni fase, dal lievito madre alla cottura. L’obiettivo non è replicare un panettone tradizionale, ma creare un panettone che parli il linguaggio del laboratorio”.

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Andrea Straccini ph

Quanto a Chicco Cerea, uno degli chef di Da Vittorio a Brusaporto, tre stelle Michelin, e guida con i fratelli di un gruppo leader della ristorazione di altissimo livello in Italia, spiega che “la sfida più grande è mantenere la costanza nella produzione, perché il processo della produzione del panettone è suddiviso in tante fasi e coinvolge diversi operatori. Viene prodotto interamente non è delegata nessuna fase”.

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panettone stellato ed speciale da vittorio
 

L’aspetto sottolineato da Cerea è fatidico. Produrre nel proprio laboratorio vuol dire tenere sotto controllo l’intera filiera produttiva. A certi livelli delegare può essere insidioso. Di Da Vittorio abbiamo detto, mentre Cannavacciuolo produce i suoi lievitati nel Cannavacciuolo Lab di Suno (Novara), laboratorio di proprietà del gruppo, una struttura di 1.500 metri quadri animata da un team di 15 persone - che diventano 20 nel periodo natalizio - guidate dal pastry chef Kabir Godi, membro APEI e braccio destro dello chef, che ha lavorato anche a Villa Crespi.

panettone cannavacciuolo limoncello
 

Alajmo realizza invece i suoi lievitati nel laboratorio di pasticceria interno MammaRita Lab, omaggio a Rita Chimetto, madre di Massimiliano e Raffaele, che con il suo approccio completamente naturale ha contribuito a rivoluzionare il modo di fare pasticceria. Anche Romito fa da sé, producendo interamente nel Laboratorio Niko Romito di Castel di Sangro, dove vengono gestiti lievito madre, impasti, lievitazioni e cotture. “Per alcune materie prime – precisa lo chef abruzzese – come farine, burro, uova, lavoriamo con fornitori altamente selezionati. Ma la trasformazione, la ricetta e il controllo qualità sono completamente gestiti in casa perché rappresentano la parte decisiva nel determinare struttura, umidità e profilo aromatico”.

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Produzione nel Laboratorio Niko Romito- foto di Andrea Straccini
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La produzione di un panettone è lunga e ricca di passaggi. “Il nostro metodo – spiega Cannavacciuolo – segue la tradizione del grande lievitato italiano, con un processo totalmente artigianale che richiede tre giorni di lavoro”. Possiamo identificare fondamentalmente nove passaggi: “Il primo è la cura del lievito madre, rinfrescato quotidianamente per garantirne forza e stabilità. Poi c’è il primo impasto, con farina selezionata, burro, acqua e lievito naturale; quindi la lunga lievitazione a temperatura controllata. Poi c’è il secondo impasto con zuccheri, tuorli e gli inserti caratterizzanti (canditi, spezie, cioccolato…). Quindi ecco la pirlatura manuale e la messa negli stampi, l’ultima lievitazione, lenta e senza acceleratori, la cottura con la verifica dei 95° al cuore, il raffreddamento a testa in giù per una notte e infine il confezionamento, che avviene dopo il naturale assestamento”. Tutte le fasi sono realizzate a mano, senza conservanti, ma ci sono anche tecnologie all’avanguardia “rinnovate di frequente” che “supportano le lavorazioni ma senza mai sostituire l’intervento manuale del team di pasticcieri, che resta centrale in ogni fase del processo”.

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Metodo simile quello seguito da Romito: In sintesi curiamo il lievito madre, rinfrescandolo più volte fino a raggiungere forza e acidità ottimali. Poi procediamo al primo impasto con lievito, farina, acqua, zucchero e tuorli e lo sottoponiamo a una lunga lievitazione notturna. Il giorno dopo è il momento del secondo impasto con l’aggiunta di burro, pasta di arancia, vaniglia, miele, sale e – nel caso del panettone classico – dei canditi, mentre aggiungiamo grosse scaglie di cioccolato alla versione più golosa. Quindi procediamo alla pirlatura e alla formatura manuale per dare tensione alla massa, facciamo lievitare in stampo fino al raggiungimento dell’altezza desiderata, cuociamo controllando la temperatura al cuore, raffreddiamo in sospensione per 10–12 ore e infine confezioniamo dopo un periodo di assestamento che permette allo sviluppo aromatico di stabilizzarsi”. Un processo, aggiunge Romito, “guidato da standard molto rigorosi su temperatura, umidità, pH e consistenza dell’impasto” che però “richiede anche occhio umano e sensibilità artigianale, fondamentali per leggere i segnali del lievitato e ottenere un risultato impeccabile”.

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Il pandoro di Niko Romito- Andrea Straccini ph

Naturalmente tutti i lievitati interamente artigianali hanno una shelf life molto ridotta. “I nostri lievitati, non contenendo conservanti, coloranti e grassi idrogenati hanno una scadenza di tre mesi”, dice Alajmo mentre il sito internet di Da Vittorio suggerisce di consumarli entro 70 giorni. Per questo la produzione parte all’incirca due mesi e mezzo prima di Natale e accelera nelle settimane che precedono le feste, quando la fabbrica del lievitato assume ritmi frenetici, per fare arrivare sulle tavole dei gourmet prodotti il più freschi possibile.

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Il panettone firmato Alajmo

E se il classico panettone milanese è il cardine della produzione, anche gli chef tristellati si sbizzarriscono con “twist” di ogni genere, di solito con almeno una novità all’anno. “Facciamo anche scelte audaci – ci dice Alajmo – con campi applicativi legati più a un mondo gastronomico salato. Ad esempio usiamo canditi provenienti dal mondo vegetale, e ingredienti tipici del Mediterraneo, come l’olio extravergine d’oliva”. I panettoni delle Calandre per il Natale 2025 sono il Ducale con gianduia e cioccolato fondente con una crema di cioccolato e tartufo bianco contenuta in una sac-à-poche, il Moro di Venezia al burro con marasche, gocce di cioccolato e una crema Eccezione alla nocciola e cacao, l’Olimpico dedicato a Cortina 2026 con sapori tipici montani (mela e arance candite, noci e cannella), il Mediterraneo all’olio evo con limoni, capperi, olive e peperoncini canditi e infine l’Arlecchino, il più classico ma alleggerito dall’uso dell’olio evo al posto del burro.

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Notevole la varietà anche del Cannavacciuolo Lab, con i classici (oltre al milanese, il mandorlato, il gianduia, il limoncello e quello alla Mela annurca campana Igp), le interpretazioni contemporanee (pere cannella e zenzero, integrale con cioccolato e frutti rossi e Vesuvio Red Velvet con un impasto rosso, pepite di ciuoccolato bianco e mirtilli rossi) e le novità: Stella di Natale vegana mango e zenzero e Vesuvio alla pizzaiola, un’insolita zingarata salata. Da quest’anno c’è anche la versione da 500 grammi per il classico, quello senza canditi e senza uvetta e quello al gianduia.

panettone albicocca cannavacciuolo
 

Più stringata la produzione dei Cerea: il Classico milanese nelle versioni da uno, due o tre chili, il Classico mandorlato (probabilmente il bestseller del brand), il Cioccolato e gianduia con glassa croccante al cacao con mandorle e nocciole, lo Stellato con vaniglia e senza canditi, che unisce la tradizione del panettone a quella del pandoro (baste diatribe. O no?) e il più pregiato, con albicocche e Picolit doc friulano.

PanettonePicolit 1 da vittorio
 

Quanto a Romito, la sua carta è essenziale, “come tutto ciò che facciamo: Panettone Classico con uvetta e arancia candita e Panettone al Cioccolato, con arancia e scaglie di cioccolato; più goloso ma sempre fedele a un’idea di gusto pulito e bilanciato”. Infine i numeri. Cannavacciuolo ne produce circa 35mila (in media 750 al giorno), mentre Da Vittorio ne sforna 70mila. Pallottoliere più piccolo per Romito: “Il numero varia ogni anno in base alla domanda e alla capacità produttiva del Laboratorio, ma la produzione resta volutamente limitata, così da garantire un controllo totale su ogni singolo lotto e preservare gli standard qualitativi del brand. Il nostro approccio non è industriale: la priorità è la costanza del risultato, non il volume”. Alajmo invece non ci fornisce cifre.

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E a proposito di cifre, chiudiamo parlando di prezzi. Che leggeri, lo diciamo subito, non sono -ma comunque in linea con l’eccellenza del settore. Da Vittorio vende i suoi panettoni a 55 euro nella versione da un chilo (per il milanese la versione da due chili costa 110 euro e quella da tre 170) mentre quello alle albicocche e Collio Picolit viene 65. Alajmo prezza i suoi panettoni più semplici 45 euro (ma sono da 750 grammi) e quelli con crema 48 (ma il Ducale è contenuto in una latta che riprende il tessuto della storica Tessitura Bevilacqua di Venezia reinterpretata da Philippe Starck per il Caffè Quadri). Il panettone classico di Cannavacciuolo viene 43 euro nella versione da un chilo e 28 nella “mezza porzione”, ma le altre versioni variano da 47 a 58 euro, mentre Romito ha un solo prezzo: 55 euro. Tutti i panettoni sono acquistabili anche online, ma più si avvicina Natale e più i tempi di consegna potrebbero essere a rischio. Per un Natale stellato, almeno in conclusione, meglio non aspettare troppo. Santa Klaus ha la data di scadenza.

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