In procinto di aprire un locale informale di cucina marinara sul porto di Barcellona, i due fratelli gemelli, che già gestiscono due outlet all’aeroporto, modernizzano nel loro tre stelle il lascito di Santi Santamaria, mettendo la cucina al centro dopo decenni di extrapiatto.
Crediti fotografici: David Egui; Cocina Hermanos Torres
Il ristorante
Barcellona è una delle città a più alta densità gastronomica del mondo: qui hanno sede quattro stelle triple, tre doppie e ventuno singole, fra cui Enigma di Albert Adriá, il cui fratello Ferrán ha dato il via al siglo de oro spagnolo. Una storia di uomini in una geografia di contaminazioni, data la prossimità anche linguistica con la Francia, che il boom turistico ha dotato di un inesauribile bacino di clientela internazionale altospendente.
Per i fratelli Torres, tuttavia, Barcellona è innanzitutto un ritorno alle origini: qui i gemelli Javier e Sergio sono nati e sono stati svezzati da nonna Catalina, cuoca che lavorava nelle case dei benestanti in Andalusia e che poi si era trasferita per prendersi cura dei quattro nipoti. “Il cuore della vita era in cucina”, ricorda Javier. “Lei cucinava quotidianamente piatti di stagione con tanti brodi, sempre con grande amore. Viveva per renderci felici attraverso il cibo, organizzando due feste al giorno: per il pranzo e per la cena”.
Da quelle memorie d’infanzia è scaturito anche l’assetto originale del ristorante: non la classica cucina a vista, ma un’isola di fornelli immersa fra i tavoli, per sottofondo lo sfrigolare delle carni e il tintinnare metallico delle fruste. L’inaugurazione è avvenuta nel 2017 nel quartiere popolare di Les Corts e nel giro di 6 anni erano già tre stelle.
Risultato in un certo senso atteso, visto l’intenso pellegrinaggio compiuto dai due in alcuni dei più venerabili santuari del mondo. In una stanzetta sul retro, dove vengono girati i firmati, è raccolto il pantheon dei maestri: Frédy Girardet, Alain Ducasse, Pedro Subijana, i fratelli Pourcel (“anche loro gemelli, condizione in cui ci si capisce al volo”), Benoît Violier e soprattutto Santi Santamaria, storico antagonista di Ferran Adriá, alla cui egemonia i due sono perfettamente estranei. Proprio al Racó de Can Fabes Javier è stato lungamente chef di cucina, sprofondando negli agi di una cucina generosa e rigorosa, dove il prodotto incoronava l’ospite.
La moderna concezione degli spazi, tuttavia, già allontana lo spauracchio del nostalgismo, che qui non ha casa: Hermanos Torres è sì, come Sant Celoni, il regno della cucina pura, messa al centro persino dello spazio, ma il tempo non è trascorso invano.
“In Catalogna ci sono molti cuochi che seguono la stella di elBulli, noi no. Seguiamo una linea più personale, che privilegia la materia e la stagionalità. Qualsiasi prodotto che elaboriamo, proviene da una persona speciale, dei dintorni ma anche del resto della Spagna. È una cucina di fondi e di tempi lenti, anche di estetica. In particolare siamo ossessionati dal sapore. E il sapore lo dà il tempo, non la velocità. Un buon fondo di carne richiede tempo e generosità. Siamo convinti che questo sia il futuro”.
Dietro le apparenze rassicuranti dei piatti, materici carré di agnello dai fondi lucenti, filetti di pesce impeccabili con le loro garniture, sempre del gusto di quello che sono, si cela tuttavia una tecnica accanita. Basti pensare che i due hanno concorso all’ideazione del Gastrovac, nel tentativo di preservare nutrienti e strutture degli amati vegetali abbassando il punto di ebollizione a 35 °C. Ma nei piatti spuntano anche sparuti orientalismi, visto che sono stati folgorati da un viaggio in Giappone, e contaminazioni imprevedibili con il Brasile, dove hanno operato.
La brigata poggia su due ragazzi italiani: il campano Carmine Memoli e il ligure Francesco Sansalone, rispettivamente chef e sous-chef. Con loro due sommelier, che amministrano una carta dei vini da 1800 etichette, e Pablo Sacerdote, direttore del ristorante di origini argentine, che dà il ritmo a una sala in sneakers. Il degustazione è uno solo, più una piccola carta per venire incontro a chi torna.
I piatti
È un signature il calamaro marinato con la madre del sakè, ridotto in tartare e in quenelle legata tramite la maionese ottenuta dalla stessa base, sormontato dal caviale e specchiato nel consommé di pollame limpidissimo. Manifesta già alla vista il purismo del gusto, giocando sullo schema pesce/carni bianche della cucina classica, straniato dal giapponismo.
Altrove il prodotto si prende tutta la scena: vedi il granchio galiziano con salsa di erbe e latte di cocco, l’astice al vapore al miso, la razza al burro nocciola con peperoncino piparra, l’agnello con “croissant” di zucchina, il maialino con albicocche secche e tamarindo.
Carmine e Francesco, poi, hanno portato con sé la cultura dei primi piatti: vedi i ravioli di escalivada, verdure grigliate che fanno da contorno alla carne, elaborate in pasta non pasta e ripiene di costata di maiale iberico maturata, più perle di sagù, maxi tapioca brasiliana, e brodo vegetale.
Dopo il predessert di crema di limone, cubi di sedano, spuma di yogurt, polvere di tè verde, sorbetto citrico alle erbe e foglia di shiso disidratata, il primo dessert si compone di ciliegia fresca in osmosi del suo succo alla menta, sablé, obulato, gelato di mandorla fresca e gel di cupuaçu, sorta di madre del cacao fermentata dalle note acidule, altro retaggio del Brasile.
Poi il gran dessert di cioccolato che declina tutta la cabosside, con crema di miso e nocciole, flan di cioccolato, purè di cacao, biscotto al cacao, gelato di mucillagine, cialda di cacao e farina di mandorle, su cui degustare il monumentale sherry Cream Tradicion.
Contatti
Cocina Hermanos Torres
Carrer del Taquígraf Serra, 20, Les Corts, 08029 Barcelona, Spagna
Telefono: +34 934 10 00 20