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Azotea, il locale fuori dal coro che sorprende Torino con la cucina nikkei

di:
Marco Colognese
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copertina azotea

Una coppia gourmet, un abile chef e un indirizzo che abbina con sapienza mixology e cucina nikkei. Azotea ha portato a Torino quel vivace mix di culture che spazia dal Giappone al Perù, destando l’interesse dei palati curiosi.

Azotea

La storia


È un piccolo, elegante contenitore di bontà e si trova proprio nel centro di una delle città italiane che della raffinatezza è capitale. Azotea, a Torino, vicino a Piazza Vittorio Veneto e alla Gran Madre, è uno di quei luoghi fuori dagli schemi e insieme confortevole angolo in cui passare un po’ di tempo a bere e a mangiare bene. Si parla di nikkei, parola che sta a indicare gli emigrati giapponesi in Sudamerica, Nord America e in Europa, ma anche quella cucina che fa incontrare universi gastronomici distanti come Giappone e Perù.


A questo si aggiunge una notevole ricerca che vede abbinare con sapienza la mixology e cucina, sia si tratti di un percorso al bancone sia che ci si accomodi a tavola. Il progetto nasce a Laigueglia, su una terrazza di fronte al mare e proprio da qui il locale prende il suo nome, da Noemi Dell’Agnello, originaria della provincia di Pisa, e dal suo attuale socio e compagno Matteo Fornaro.



Si conoscono a Cervinia, ma è a Santa Teresa di Gallura al Baretto, piccolo locale di 30 mq con un dehors di 60 coperti, diventato celebre in Sardegna per la sua ricchissima offerta di miscelazione, che si consolida il loro legame. Qui, attenti all’onda della Latin America's 50 Best Restaurants, scelgono la loro direzione verso il mondo nikkei. In Liguria iniziano con tapas e cocktail orientati su quella linea, fino a quando si orientano anche su piatti più strutturati, come quelli che vengono proposti ora a Torino, dove la coppia si trasferisce nell’estate del 2021 per dar vita al locale attuale.


Il ristorante


Racconta Noemi, che di Azotea è l’anima della sala: “Del mondo nikkei mi affascina la linea non così netta tra quello che si può e che non si può fare. Nella concezione di ogni piatto, è presente la ricerca di un equilibrio di sapori spiazzanti, tra il sapido, il dolce e l’acido, diverso dalla concezione europea”. È lei, appassionata di design, a essersi occupata di arredare il nuovo Azotea, intimo e dall’impostazione inusuale, tre sale tutte suggestive e una differente dall’altra, con tocchi di colore e accenni vintage. Dal canto suo Matteo, vercellese classe 1978, è un grafico pubblicitario prestato al bartendering, il quale, una stagione dopo l’altra, si specializza sempre di più, apprendendo segreti e gesti del mestiere con una predilezione per gli homemade, tra i quali fermentati e shrub.


Ho iniziato a fare il barback agli inizi degli anni 2000, quando i tempi erano nettamente diversi rispetto a quelli odierni”. Vale la pena stare alla barra, le bottiglie di spirits appese, a osservare i suoi movimenti mentre prepara i drink, uno più buono dell’altro, gustando le ottime tapas in abbinamento. È però assolutamente consigliato fermarsi anche a cena: Alexander Robles, lo chef, è nato a Cuzco nel 1988. La bisnonna materna giapponese, cresce con i nonni che ancora oggi gestiscono due ristoranti.


Inizia a 14 anni proprio tra sala e cucina di questi due locali, diversi tra loro, uno più semplice e l’altro tendente al fine dining e per entrambi si prende carico di acquistare le materie prime, cominciando così a conoscerle nel dettaglio. Raggiunge tre anni dopo il padre in Italia e frequenta l’istituto alberghiero, fa esperienza nella pasticceria con Marco Avidano e nei weekend è al ristorante Del Cambio con Riccardo Ferrero. Quindi torna in Perù e ci rimane due anni e si forma da una star come Gastón Acurio, fa una breve parentesi in Messico ed è di nuovo in Italia, poi si sposta in Francia e in Arabia Saudita, finché nel 2019 è chef al Carlina Restaurant, dell’hotel NH a Torino, dove rimane fino a gennaio 2022, quando finalmente approda ad Azotea. “Ho scelto questo ristorante per proporre la mia personale idea di questo mondo affascinante: è la mia strada”.


Il nuovo menu degustazione - Ayni, termine che nel linguaggio quechua indica il principio della reciprocità, l’atto del dare e del ricevere- prevede sei piatti e altrettanti sip (sorsi) con la possibilità di scegliere diverse gradazioni alcoliche abbinati. Le idee arrivano da sei delle undici eco-regioni naturali peruviane. Noemi racconta: “Da qualche tempo a questa parte il nostro lavoro non consiste più nella sola spiegazione dei piatti e degli ingredienti della tradizione nikkei, ma anche nel racconto della cultura e delle tradizioni a essi collegati. La scelta di una tematica così riflessiva per il prossimo menu, come quella della salvaguardia ambientale, va proprio in questo senso”. E il percorso è davvero stimolante, tra gusti di grande intensità ai quali non mancano freschezza e pulizia, a testimoniare la felice commistione tra Sud America e Giappone.


I piatti


Alexander ha selezionato erbe aromatiche in tutto il Perù tra piccoli coltivatori e produttori artigianali. Tra questi l’algarrobina, carruba dalla quale si ottiene uno sciroppo e un pisco: nel mare freddo della corrente peruviana è in forma di acidulato e il piatto, di notevole sapore, si completa con agretti sbianchiti, piselli novelli, calamaro, umeboshi, soia, crema huancaina con aji limo e alga yuyo.


Il clarito, leche ottenuta dalla fermentazione, essiccazione, macinazione a pietra, cottura con acqua e filtrazione del mais amarillo e alazan, viene utilizzata in Deserto della costa, seducente ceviche vegetale servita con yuzu, asparagi, ravanelli e finocchi, pallares verde, foglie di coriandolo, nasturzio e olio al carbone vegetale.


In Serrania steparia si trovano invece i tuberi andini come il mashua, cotti in un impasto di carbone vegetale ed erbe delle Ande. La nota di fumo, piuttosto presente in questo piatto, è stata ripresa nel sip abbinato, ispirato al Chilcano de Pisco – con pisco e ginger ale – in questo caso con lo yuzu al posto del lime e l’aggiunta di un homemade allo zenzero oltre a un amaro affumicato prodotto a Torino.



Selva alta/Ande è una versione reinterpretata di un classico della tradizione nikkei come il tiradito: trota iridea salmistrata con miso e lime, tarwi (lupino peruviano), quinoa nera e bianca, camote (patata dolce) in crema, salsa ponzu e ayrampo, il seme del cactus. In pairing un colorato sip che gioca tra elementi basici e acidi come estrazione di cavolo viola e aceto di riso, a richiamare le note vegetale e acetica del piatto. Il sale utilizzato nella salmistratura del pesce è anche nel cocktail, con l’amaro salato Gabelle al quale si aggiunge il Mezcal Del Vida Maguey.



Nel sorso successivo, ad accompagnare Jungla alta, c’è un cordiale di cetriolo e basilico con rye whiskey infuso al fieno greco e un estratto di fragola, a legare bevanda e gazpacho con tulo, crema di chirimoya, vongole, cozze e mazzancolle scottate, taro fritto e bok choi.



Si termina con il Bosco tropicale amazzonico, con petto d’anatra marinato all’orientale, con zenzero, cipollotto e mirin, il fondo del volatile al cacao fermentato, crumble e crema di platano maduro, rape rosse e spinaci. Qui Fornaro ha pensato a un cocktail in cui richiama il platano, che lavora come un aceto, creando il binomio tra l’anatra nel piatto e arancia.



A 65 euro più 35 per l’abbinamento, è un percorso che vale assolutamente la pena fare, anche se nella carta con il menu Qampaq (per te) -tre portate a scelta più relativi sips- non manca una scelta altrettanto valida. Un luogo che merita di essere scoperto.

Indirizzo


Azotea

Via Maria Vittoria, 49/B, 10123 Torino TO

Tel: 328 634 2213

Sito web

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