Un rituale che inizia con la caccia e si conclude nella cucina con una preparazione che dura tre giorni per una ricetta senza tempo: la Lepre à la Royale
La Storia
Lume Reale: La caccia alla Lepre Di Luigi Taglienti
Cani che corrono, oppure cani in attesa. Frenetico, il punto bruno percorre la piccola e la grande partita nel bosco, mezz’ora e poi un’ora abbondante, con qualche astuzia laterale per il depistaggio, come in una schermaglia amorosa. È un rito articolato quello della caccia alla lepre, celebrato illo tempore e sublimato in una ricetta immortale. Quella che sul volgere del XX secolo ha trovato la sua codificazione grazie ad Ali-Bab, al secolo Henri Babinski, con la sostituzione di aglio e scalogni da parte di tartufo e foie gras, l’evoluzione dello stufato in ballotine e l’ingentilimento della salsa rispetto al modello del senator Couteau, façon poivrade. Ne è risultato un concentrato di cultura aristocratica e pathos ancien régime, che dopo l’ostracismo sancito dalla nouvelle cuisine, nemica giurata di frollature e stracotture, impazza come un tormentone in questi tempi di retromania.
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C’è però chi non lo canticchia da ieri, per esempio Luigi Taglienti, cuoco dal classicismo innato prima che coltivato in Provenza, alla Palme d’Or di Cannes. “Vedo nell’autunno e nell’inverno la massima espressione della grande cucina, perché c’è il grande prodotto, dal tartufo bianco alla selvaggina, che è sinonimo di istintività e freschezza, di un’energia primordiale in cui si esaltano al contempo l’italianità e il classico. Alla lepre in particolare mi sono avvicinato per conto mio: ricordo che nel 2005 giravo per La Morra verso fine settembre, guidavo la mia macchina su uno sterrato quando improvvisamente ho visto sfrecciare qualcosa addosso alla Panda davanti a me. Si trattava di una lepre ormai moribonda, l’altro conducente, probabilmente un vigneron, si è offerto di buttarla via, ma io ho insistito per prenderla. Appena arrivato a casa mia in Liguria, ancora calda l’ho eviscerata recuperando il sangue e ho iniziato a riflettere sulla royale. Una ricetta che non conoscevo, visto che da Santin facevo il civet, da Willer il râble de lièvre allo spiedo”.
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“Per cominciare ho consultato i testi antichi di cucina, che in Piemonte mi aveva procurato un antiquario. Soprattutto ho tirato fuori quella parte di passione e istinto che in me già esisteva. Così ho messo a punto la mia versione, che non smette di evolversi, perché ogni volta la metto in discussione e cerco di perfezionarla, sebbene sia tutta calibrata”.
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Ed è una preparazione che dura tre giorni, tanto è sterminata la storia di un passato che fu, quanto si dilunga paziente il suo racconto, nella coincidenza delle due unità narratologiche. “Frollo tutta la selvaggina almeno 3 mesi, tranne pernici e fagiani. La lepre arriva appena macellata, la lasciamo sull’osso per un giorno, poi la disossiamo e mettiamo le ossa a marinare nel vino rosso con odori e spezie per la salsa. La carne riposa un altro giorno in frigorifero, quando è rilassata a dovere disossiamo anche le cosce e prepariamo la farcia con maiale, lardo, crostini di focaccia ligure tostata, battuto di erbe, tartufo nero, tuorlo e fegatini frullati, più una parte del sangue. Anche la farcia deve riposare per un giorno, dopo di che procediamo alla farcitura con un lobo di foie gras nel mezzo, chiudiamo e avvolgiamo. Lasciamo riposare il tutto un altro giorno, perché l’insieme si stabilizzi e diventi un tutt’uno. Poi cuociamo la lepre sottovuoto per 6 ore, la raffreddiamo e la porzioniamo. Con la carcassa prepariamo la salsa classica, che riposa per una notte sulle ossa dopo la cottura. Sgrassiamo, facciamo sobbollire, filtriamo, lasciamo ridurre e al momento di servire leghiamo con il sangue. La guarnizione si compone di spinaci al vapore e patate cotte nel burro nocciola”.
Indirizzo
Ristorante LumeVia G. Watt n 37 - 20143 Milano
Tel. +39 02 80888624
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