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Valerio Braschi on the go: il nuovo menu Le mie emozioni al Ristorante 1978

di:
Lucia Facchini
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copertina valerio braschi menu emozioni ok

Ha solo 25 anni, ma sa bene come raccontarsi a un pubblico affamato di esperienze diverse dalla solita cena bonton tutta ghingheri e gingilli. Valerio Braschi sorprende con un menu dedicato alle emozioni dove il fine dining diventa fine feeling, fra assoli di sapore e istantanee gustative d’infanzia.

Il nuovo menu Le mie emozioni di Valerio Braschi

Sul gusto della provocazione c'è chi ha costruito piatti, locali e un'intera carriera. Ma ci vuole ben altro, per stupire i gourmand consumati senza impantanarsi nella palude sempiterna degli enfant terrible. Ci vuole cervello, passione e quell'unghia di modestia che ti spinge a dare qualcosa in più quando potresti benissimo adagiarti sugli allori dei signature passati (spesso conditi da un'effimera attenzione mediatica).


Non sappiamo se Valerio Braschi prima o poi si fermerà. Sappiamo, però, che gli piace mettersi alla prova. A costo di correre qualche rischio, a costo di sentirsi dire che è troppo giovane per farlo. E ci riesce bene, perché ha capito come raccontarsi a un pubblico affamato di esperienze diverse dalla solita cena bonton tutta ghingheri e gingilli.


Il ristorante


Galeotto fu Masterchef, un bagno di notorietà non indifferente. Ma poi Valerio ha svoltato aprendo a Roma il Ristorante 1978, che già dalla porta rosso fuoco con pomello d'oro è tutto un programma. Appena entrati sembra di stare in un piccolo atelier scavato nella pietra, con le volte ampie dai mattoncini nudi e i colori shock degli arredi, mentre l'arte balena qui e lì, fra un dipinto sornione e una composizione moderna alle pareti.



Parlando con lo chef, quasi ci si dimentica dei suoi 25 anni. "La nostra cucina cambia spesso, non riesco a imbrigliarla in una formula tassativa. Ma ho sempre cercato di creare uno stile personale. Un cuoco può relazionarsi col pubblico solo se è in grado di ascoltare sé stesso. Amo viaggiare, capire come ogni cultura plasma il cibo diversamente. E detesto il copia e incolla, che purtroppo inquina (anche) il nostro settore".


Tornando alla provocazione, mette subito le cose in chiaro: "Semplicemente, non ci interessa. Qui facciamo sperimentazione: vogliamo coinvolgere i clienti, non stupirli a tutti i costi. Dietro c'è tanto lavoro". E i nuovi progetti non mancano: al menu alla carta e la formula lunch di tre portate si affianca oggi un degustazione totalmente al buio, Le mie Emozioni, dove l'unica certezza è il nodo cruciale fra ragione e sentimento, sciolti dal dualismo imbalsamato delle tavole formali.


Il nuovo menu Le mie emozioni


Il percorso tocca corde sensibili, a volte tese nello slancio creativo, altre saldamente ancorate alla memoria. Lo scopo è rompere la bolla di un fine dining pseudo-esclusivo che spesso sacrifica il fine feeling sull'altare del rigore. Non a caso, Valerio attinge a una dispensa emotiva capace di spaziare fra diversi stati d'animo -inclusi quelli "scomodi" e slegati dal contesto di una tranquilla cena "di piacere".


Così, ingredienti desueti si alternano a istantanee gustative d'infanzia, ripulite da una mano precisa e un'estetica basic, quasi stilizzata. Il risultato è tutt'altro che comfort o mainstream: l'ex star di Masterchef mette sul piatto un pezzetto di sé, prendere o lasciare.


Gli fa eco un team di sala ben calato nella parte, che sviscera dettagli sulle singole portate colmando definitivamente il gap fra l'ospite e la cucina a vista poco distante dai tavoli. Ed è proprio qui che lo sguardo si posa più e più volte durante la serata restituendo l'immagine di un giovane chef a testa china, completamente assorbito dai gesti rituali del servizio. A dimostrarci che no, questo non è uno show, ma un piccolo assaggio di quotidianità.


I piatti


Nei mesi scorsi l'entrée è rimbalzata sui social come una molla compressa dalle attese collettive: quando la vedi ti sembra di saper già tutto, ma la curiosità infiamma il languore. Eccola lì la Marinara in bustina, un pacchetto di promesse preceduto da due finger allettanti. C'è il Finto bacio di dama di meringa salata con crema al formaggio e porro, dolciastro al punto giusto, e subito dopo il Cilindro di carota, pecorino di Fossa e sfoglia di cacao, sorta di mini-cannolo dalla cremosità esponenziale. Nel mentre, tutt'intorno va in scena una danza di braccia protese a ghermire il sacchetto (edibile) di carta di riso contenente il topping disidratato della pizza.


Sotto i denti il ripieno è polveroso e un po' allappante; si prende il suo tempo per diffondere gli aromi schietti del tris pomodoro-aglio-origano. Poi però fa effetto, emulando l'homely taste tipicamente partenopeo. Si gode altrettanto con la sapidità corale del Waffle al parmigiano e crema montata al midollo di prosciutto stagionato, mentre la Sferificazione inversa di yogurt di pecora deterge a fondo le papille dal surplus umami. Last but non least, il Beef jerky ricorda una coppietta chewy dall’ingresso speziato. E quasi dispiace finirla così, in un morso vorace dettato dalla gola, se non fosse che a tavola sono già arrivati i grissini con pecorino e semi, da sgranocchiare fra una generosa porzione di pane a lievitazione naturale spalmato di burro (alle erbe o al curry) e una focaccina all'olio ultrasoft.

Il benvenuto dello chef



La prima emozione, Amore, rivive in un Ceviche di astice marinato sottovuoto con l'olio delle sue teste arrosto e sormontato da una voluminosa aria di melograno. Alla base c'è una brunoise di banane: un tiro azzardato che fa centro, con la grinta zuccherina del frutto a bilanciare l'acidità rampante del melograno e il sottofondo affumicato del crostaceo. Musa ispiratrice di questo insolito tête a tête fra dolce e piccante è Giulia, compagna dello chef, che provando lo starter per la prima volta ha superato anni di ostilità verso il pesce.

Amore: 28 febbraio



Col Ricordo di Copenaghen si scende dalle montagne russe per atterrare su un morbido uovo poché cotto a 62,5 °C. Qui la grassezza del tuorlo, sommata al pesto di noci e la fonduta di Roquefort mantecato nell'uva e nel Porto, potrebbe innescare facili ridondanze, se non -per dirlo alla romana- un effetto volutamente "piacione". E invece le foglie di crisantemo e il porro brasato riportano il boccone in equilibrio, spianando la strada al tartufo nero lamellato in superficie.

Amore: Ricordo di Copenaghen




Il ponte fra romance e thriller ha la forma eloquente di un Pene di toro cotto in ultrasuoni con caramello di manzo, salsa di anguilla fumè, crema di menta e aceto; la gelatina viene infatti sagomata per riprodurre la testa del bovino a mo' di segno zodiacale.

Diffidenza: Pene di toro alla scapece



Ora, spiega il maître, siamo entrati nel girone della Diffidenza, che lo chef abbatte a colpi di τέχνη spogliando il prodotto della sua aura lasciva. Ci riesce agganciando un lazo di freschezza agli umori della carne, già esaltati da un sottile richiamo bbq: protagonista è la scapece, uno schizzo di sapienza popolare che smorza la paura dell'ignoto.


Seguendo il flusso mnemonico, dal vocìo delle domeniche trascorse in famiglia spunta fuori una cover a tema cappelletti. La pasta ripiena incarna il senso di Nostalgia nei confronti del coniglio e le patate cotte al forno, fra le pietanze materne preferite dello chef. Così il tubero arrosto sostituisce il ripieno a base di carne, mentre il brodo è un'essenza di coniglio senza un goccio d'acqua, pura sintesi del pranzo casalingo per antonomasia. In cima, lombo dell'animale marinato e tartufo: un tocco di sfarzo che impreziosisce il ricordo.

Nostalgia: Cappelletti di patate ed essenza di coniglio con lombo di coniglio marinato e tartufo



Ma il dish of the day deve ancora arrivare. Si tratta dello Spaghetto Fabbri risottato in acqua di peperone rosso, cui viene strategicamente aggiunta una crema di scamorza affumicata che lega gli amidi in un fitto intrico lussurioso. Pirotecnia vegetale e avvolgenza lattea: la conferma che tre ingredienti possono fare un piatto completo.

Nostalgia: Spaghetti, estratto di peperoni, scamorza affumicata



Ci è parsa meno incisiva l'Animella con aji amarillo che, di per sé molto speziata, sparisce letteralmente sotto un'insalata di tarassaco, miele e senape, perdendo un po' il suo appeal esotico. Il sorso, però, recupera punti con l'ottimo Cesanese del Piglio Docg Vicinale dell'Azienda Agricola La Visciola.

Estasi: animella di gola glassata con aji amarillo, insalata di tarassaco, miele e senape



Sul pre-dessert Valerio lavora di concetto: niente minuscoli assaggi transitori, ma una portata di maggior struttura in cui un fragrante uovo al cioccolato bianco cela gorghi di gelato (volutamente) sciolto, un po' salmastro e un po' citrico. L'anima spicy del pepe giapponese Sancho, gli oli essenziali del gel al bergamotto e la persistenza del caviale di muggine affumicato si completano a vicenda arricchendo di contrasti lo spettro sensoriale. Complessità che sfuma gradualmente in un dessert goloso, ma più schietto e leggibile.

Eclipse: Mousse al cioccolato fondente e tequila con tortino all'arancia, cialda al caffè e miele e salsa mole


È Eclipse, una Mousse al cioccolato fondente e tequila con tortino all'arancia, cialda al caffè e miele e salsa mole. Il Messico a portata di cucchiaio: un ritmo latino che arresta dolcemente la girandola emotiva con le sue note soft dagli echi lontani.

Indirizzo


Ristorante 1978

Via Zara, 27, 00198 Roma RM

Tel: 06 6933 5743

Sito web

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