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Lo sfogo di Gino Sorbillo: "perché non possiamo fare la pizza a Napoli mentre nel resto d'Italia è possibile"

di:
Tania Mauri
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gino sorbillo

Gino Sorbillo, tra i pizzaioli più noti d’Italia, è da qualche settimana in prima linea per poter fare il delivery food nella sua città insieme a Ciro Salvo della pizzeria “50Kalò” e Alessandro Condurro della pizzeria “Da Michele”

La Notizia

Napoli senza pizza. Questa la situazione che c’è da più di un mese nel capoluogo campano, vale a dire da quando il Presidente della Regione Vincenzo De Luca ha deciso di non permettere la consegna a domicilio di alimenti preparati da pizzerie e ristoranti. Un’ iniziativa che non ha eguali in Italia - in tutte le altre regioni è consentito – e che persino l’organizzazione mondiale della sanità ha autorizzato a fare purchè sia controllata e che “venga svolto nel pieno rispetto delle disposizioni di sicurezza sia per i lavoratori coinvolti che per i consumatori” chiarisce la Fipe, Federazione italiana dei Pubblici esercizi.


La mia non è una battaglia personale o un capriccio, ma mi chiedo perché a Napoli i fattorini dei grandi gruppi dell’ E-commerce possono continuare a consegnare beni che non sono di prima necessità – a me ieri è arrivato un articolo per il telefonino – mentre noi non possiamo organizzarci per farlo. Fino a qualche giorno fa l’obbligo dell’utilizzo delle mascherine nei negozi e supermercati era a discrezione del proprietario e del cliente. Vedo lunghe file e assemblamenti negli androni, fuori dai vari esercizi commerciali o negli ascensori. I carrelli vengono posati e ripresi subito dopo senza essere sanificati. I panettieri che fanno il pane si sono messi a fare la pizza ci spiega Gino che prosegue:quando è scattato l’allarme Covid-19 abbiamo dimostrato serietà chiudendo subito, dando segnali di responsabilità e invitando le persone a rimanere a casa. È passato un mese. Ho 270 persone che lavorano per me, che hanno sposato la mia visione della pizza e del mondo pizza, progetti fondati sulla libertà e nati grazie alla mia testardaggine. E’ ormai diventata una dannazione capire quando e se si potrà riaprire ma qualcosa dovrò sacrificare molto malvolentieri: temo che qualche pizzeria, quando potremmo riaprire al pubblico, dovrò chiuderla mio malgrado (salta nel frattempo l’apertura di Torino prevista questa primavera). Molti che lavorano con me sono ragazzi che ho tolto dalla strada, che provengono da famiglie svantaggiate - e io che arrivo dai Tribunali ne so qualcosa - con cui, con questo lavoro, possono salvarsi. Ragazzi che provengono dai quartieri come Forcella, Sanità e Bronx che sarebbero diventati manodopera della malavita. Se sarò costretto a chiudere che alternativa avranno” commenta Sorbillo con una certa angoscia.


Dove può, Roma e Milano in primis e dopo Pasqua anche Genova, ha cominciato, da una settimana, a fare pizza da asporto: “A Milano e Roma facciamo 100 pizze nel week end e una decina al giorno, numeri ridicoli per quello a cui sono abituato… ma io non voglio aprire per fare chissà cosa, ci serve per riattivarci: una cosa è ripartire con la macchina già un po' avviata, una cosa è ricominciare da zero. A Napoli abbiamo chiuso da un giorno all’altro e non siamo più rientrati: potete immaginare in che stato saranno i locali dopo un mese di chiusura?”

gino sorbillo bomba
Con altri pizzaioli ha avviato la campagna #Iovoglioriaprire, nel senso di fare le consegne a domicilio, che significherebbe, per lui, “far rientrare un paio di ragazzi in pizzeria, il fornaio e il pizzaiolo, così da poter gestire l’impasto e la cottura, e proporre un menu ridotto alle due classiche Margherita e Marinara. Queste sono pizze che non esigono grandi preparazioni: una volta fatto l’impasto si devono aprire i barattoli di pomodoro e tagliare la mozzarella. La pizza esce dal forno a 470 gradi e viene messa direttamente, con la pala, nel box pizza che ha, all’interno, una parte metallo. Così non si rischia alcuna contaminazione, cosa che invece potrebbe accadere per il pane che rimane sui banconi. Mi sembra ci sia sfiducia nei nostri confronti, come se non sapessimo attenerci alle regole! precisa Gino.


Una soluzione che non implica nessun altro, nessun cameriere e galoppino perché il servizio di consegna sarebbe gestito dalle società di delivery tramite un app. Non sarà l’asporto a salvarci dal punto di vista economico, ma almeno ci permette di ricominciare, di iniziare a pensare a come organizzarci per il prossimo futuro, quando potremmo finalmente riaprire”, cosa che ci auguriamo tutti di noi.

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