Una vita sacrificata quella di Josè Avillez: il celebre chef del panorama gastronomico portoghese, nato a Cascais, vicino Lisbona, si racconta. Nonostante la valanga di critiche e accuse riguardo la sua personale visione della cucina, che lo hanno colpito nel corso degli anni, ad oggi coordina un impero, costituito da 31 ristoranti, di cui 14 suoi.
La notizia
…Se lavori ti tirano le pietre, non fai niente e ti tirano le pietre…e il giorno che vorrai difenderti, vedrai che solo pietre in faccia prenderai…potrebbero essere le strofe giuste per descrivere la carriera di Josè Avillez, lo chef di Cascais ambasciatore della cucina portoghese nel mondo. Nonostante oggi gestisca 31 ristoranti, di cui 14 di sua proprietà e vanti ben 4 stelle Michelin - due a Belcanto, una a Encanto entrambi a Lisbona e un'altra a Tasca a Dubai - quando ha iniziato a proporre la sua visione della gastronomia portoghese erano in molti ad accusarlo di snaturare la cucina tradizionale.
“Ai miei esordi ho ricevuto lettere minatorie. Essere bersaglio di critiche o di minacce può essere molto scoraggiante per uno chef, soprattutto all'inizio della carriera. Tuttavia, dopo qualche mese di preoccupazioni, ho capito che non sarei mai riuscito ad accontentare tutti, soprattutto quelle persone che nemmeno venivano al ristorante e basavano le loro recensioni su fotografie e nomi di piatti. Sembrava che fossero offesi dalla creatività, dal nuovo e dall'ignoto, pensando che avrebbe distrutto la cucina tradizionale portoghese. Ho deciso di utilizzare queste sfide come motivazione per andare avanti e affermare la mia identità culinaria, ma, a dire il vero, molte volte quelle lettere sono apparse nei miei sogni e nei momenti più difficili. Tuttavia, è stata l'occasione per riaffermare il mio impegno per l'innovazione e la creatività in gastronomia, rispettando, però, la tradizione. Ho sempre saputo che quello che facevo, in realtà, non solo non distruggeva la cucina tradizionale, ma anzi la promuoveva e la consolidava”, ha raccontato a El Paìs.
Cresciuto in una fattoria a Cascais, fin da piccolo, Josè era affascinato dalla cucina e trascorreva molti dei suoi pomeriggi accanto a Laura, la signora che aiutava in casa e preparava i pasti, per lui come una nonna. Nonostante questo mondo lo incantasse e da piccolo si dilettasse a preparare delle torte da vendere - lo spirito imprenditoriale era già chiaro- pensava che cucinare fosse solo un hobby. Studiò, quindi, arte e poi intraprese studi in marketing e comunicazione, ma a vent’anni, quando si stava per laureare, decise di fare uno stage presso un ristorante di uno chef francese a Cascais.
“Lì ho scoperto che cucinare era quello che volevo fare per il resto della mia vita”. La vera rivoluzione nella carriera e nella cucina di Avillez, tuttavia, è arrivata grazie all’incontro con Ardià. “Ero a El Bulli nel 2007. Stare con Ferran e il suo team mi ha cambiato la vita. Mi ha insegnato a vedere la creatività, l'immaginazione, a non aver paura di fare qualcosa di nuovo. La cucina francese aveva molte regole, mentre la cucina spagnola era come distruggere tutto e ricominciare da capo. È stato molto importante e mi ha cambiato la vita”. Avillez ha portato l’aria di rivoluzione respirata a El Bulli nel suo Portogallo e poi nel mondo (Macao e Dubai) per celebrare e sublimare la cucina delle origini.
“Non avevo mai sognato di poter costruire qualcosa di simile a quello che ho costruito. Quando inizi a salire una scala e sei in cima cominci a vedere sempre un po’ più lontano. Il mio sogno è sempre stato quello di aprire un piccolo ristorante vicino a casa mia a Cascais con 20 posti a sedere e un menu creativo. Non avevo mai pensato alle stelle Michelin, né ad essere nella lista dei The World's 50 Best Restaurants (in questa edizione è al 31esimo posto). I miei sogni hanno subito un aggiornamento. Se stai costruendo e le cose vanno bene, vuoi sempre di più, anche se tante cose non sono andate bene e mi sono dovuto adattare. Alcune persone potrebbero pensare che il mio sia un impero, altri potrebbero pensare che sia l’inizio. Io mi sento all'inizio, ma il futuro non è aprire più ristoranti. Mi sento giovane e ho tanto da realizzare. Non ha mai pensato di fare quello che ha fatto Ferran, perché quelle rivoluzioni le fa una persona ogni cento anni. In cucina ci sono stati due movimenti importanti, la nouvelle cuisine e Ferran e le altre persone che lo hanno seguito. Il mio lavoro è quello di cucinare per i miei commensali, non tanto per cambiare il corso della cucina portoghese, o creare situazioni che creano polemiche. Non sono coraggioso come Andoni Luis Aduriz che si esprime attraverso la pura espressione artistica e concettuale e che ha anche cambiato il modo di vedere la cucina. Non sono mai stato in grado di creare qualcosa di diverso dal divertimento delle persone. Ho sempre pensato al cliente”, spiega.
Questo successo frutto di talento, ma anche di totale dedizione e duro lavoro, tuttavia, ha costretto Avillez a numerosi e duri sacrifici, in primis il tempo dedicato ai suoi cari. “Quella dello chef è una vita molto dura, anche se oggi le cose sono un po’ cambiate. Per molti anni i cuochi hanno lavorato 18 ore al giorno per sei o sette giorni alla settimana. Uno dei miei due figli quando aveva quattro anni diceva che ero il padre di suo fratello, gli ho chiesto perché lo dicesse e ho capito che era perché non mi conosceva. Partivo alle sette del mattino e tornavo all'una, quando lui dormiva sempre. È stato come se un coltello mi avesse trafitto il petto. Non è una vita facile riconciliarsi con la famiglia, ma è la mia passione. Ora mio figlio ha 13 anni e durante la pandemia mi ha detto che quei mesi erano stati molto importanti perché mi aveva conosciuto veramente. Ho una famiglia unita, che mi sostiene molto. Una delle principali difficoltà della ristorazione è che mentre la tua famiglia e i tuoi amici si divertono, tu stai lavorando. Le persone, giustamente, ora pensano di più ad avere una vita personale. Mi pento di non aver detto no ad alcuni progetti e di non aver messo in agenda gli impegni familiari come se fossero i più importanti della mia vita. Per me sono i più importanti, ma in passato pensavo di “essere costretto” a dover rimanere al ristorante o a stare con un cliente o con un giornalista. Proprio oggi ho detto no ad un progetto. Sto imparando” confida.