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Osteria Fratelli Mori: romana per scelta, tradizionale per passione

di:
Massimiliano Bianconcini
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osteria fratelli mori

Nel cuore della movida giovanile di viale Ostiense, il locale esalta i grandi piatti della cucina romanesca. Elegante, essenziale, moderno è un perfetto esempio di nuova osteria.

La Storia

Il viaggio nella tradizione culinaria del Centro Italia prosegue con questo locale che da appena un anno ha cambiato il proprio nome, passando da Novecento a Osteria Fratelli Mori. Una scelta voluta per sottolineare con incisività l’attaccamento di Francesco e Alessandro, i due fratelli che oggi la gestiscono, ad un tipo di cucina di tradizione, romanesca, ricca e gustosa. Che lascia poco spazio alle sperimentazioni per restare ancorata ai sapori veraci e popolari. Quelli che piacevano a Papà Ambrogio, che insieme ai due figli e alla moglie Giuliana avviò il ristorante.


Il legame familiare è dunque importante per capire la storia, la direzione e l’idea di ristorazione che oggi informa l’Osteria Fratelli Mori; e, nonostante la sua apertura sia tutto sommato recente, siamo nel 2004, la scelta fu subito quella di guardare alla cucina romanesca, perchè convinti che quei fasti siano un punto di forza da giocarsi nella ristorazione capitolina. Anche se in parte sono rivisitati e riadattati ai gusti attuali. Intanto va sottolineata la posizione che è strategica. L’Osteria gode infatti di una invidiabile centralità, situata com’è nel cuore della via Ostiense, a due passi da Piramide Cestia, dal Quartiere Testaccio, da quella che negli anni Novanta doveva diventare la Ripa dei Teatri e che oggi, nonostante il mancato sviluppo urbano, è uno dei principali luoghi della movida romana.


Il passaggio di nome poi, che ha sottolineato con maggiore enfasi la romanità del progetto, riprendendo il classico schema delle vecchie trattorie, dove nelle insegne si sottolineava anche il nome del possessore, ha giovato alla proprietà. Con il primo nome, Novecento, scelto di getto, si voleva indicare che lo sguardo era rivolto al secolo appena concluso. Una metafora, forse troppo raffinata, per dire che la tradizione sarebbe stata di casa. Per questo è stato presto dimenticato dalla clientela abituale, che in circa 13 anni i Mori si sono conquistati. Senza contare che in questo modo si è resa giustizia, perché i veri animatori del locale, dopo la scomparsa di Papà Ambrogio, sono oggi Francesco e Alessandro, che curano ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso. Entrambi sommelier, si occupano della sala, ma entrano con decisione anche nelle scelte della cucina, che è affidata a David D’Angeli, al suo aiutante Riccardo Fanucci e a una squadra di quattro assistenti.


Le materie prime, i fornitori, i vini e i piatti in menù, tutto passa al vaglio dei due fratelli, che amano prendere con calma le decisioni, valutando i pro e i contro, senza scelte d’impulso. Piuttosto attenzione sempre ai particolari con il pensiero fisso al genitore: «Questo posto lo ha aperto papà, lo ha voluto lui, per cui sentiamo un senso di responsabilità nei suoi confronti», sottolinea con passione Francesco. Il menù non presenta tante portate in carta. Pochi piatti per sezione, cinque sei al massimo, compreso quello del giorno alla lavagna. Le classiche e immortali Carbonara (la più gettonata), Amatriciana, Cacio e pepe. A cui si aggiungono La Gricia con i carciofi, i Tonnarelli ai funghi porcini o ai tartufi, quando è periodo e si trovano. La stagionalità dei prodotti è fondamentale così come la loro qualità.


Di certo molti ingredienti sono regionali, visto che le produzioni laziali di formaggi, salumi, orto frutta, carni bovine e ovine sono cresciute in qualità. Ma non tutto viene dal Lazio. Nonostante puntino sulla cucina romanesca, amano di tanto in tanto inserire in carta piatti non laziali, che fanno parte della tradizione italiana e che non stonano con quella romana. Funghi e tartufi vengono presentati in abbinamento con i primi o con le carni. «Per la guancia usiamo il maialino iberico, più piccolo e morbido del nostro. Da noi è possibile trovare anche il prosciutto Patanegra oppure le alici del Cantabrico. L’importante è non derogare dal principio che il piatto deve essere buono e lasciare soddisfatti i clienti», dice Alessandro.

Il Ristorante

Nonostante il nome sia stato cambiato da un anno appena, era il gennaio del 2018, il locale così come si presenta oggi è frutto di un processo di crescita continuo. Non sono intervenuti architetti o interior design. Nasce volutamente bicolore. Bianco latte alle pareti e tanto legno, nei soffitti a cassettoni, nei tavoli comodi e solidi, nelle sedie e nelle cornici appese ai muri. All’ingresso il cliente viene accolto da pareti in mattoncini rossi, gli stessi che si trovano in una sala adiacente con vista su strada; ma la maggior parte dei 120 coperti sono nella grande sala alle spalle. Un ambiente ampio e confortevole che accoglie meno sedute di quello che potrebbe, ma che dà la sensazione di essenzialità e di razionalità con ampi spazi da percorrere per i camerieri e gli avventori. Questo si traduce in confort, una parola che viene poco usata nella ristorazione popolare, non di fascia alta e stellata, ma che è una componente essenziale nel processo mentale che porta a scegliere il luogo dove passare una serata.


Il confort qui si traduce anche in informalità con la scelta di non mettere le tovaglie, lasciando il cliente a diretto contatto con il legno dei tavoli, lucido ed elegante. Essenziale anche questo. Insomma è vero che l’abbondanza di aggettivi alle volta denota una scarsa propensione alla narrazione, ma questi sono dati oggettivi. L’atmosfera è piacevole, confortevole, elegante, sobria e giovanile allo stesso tempo. Insomma vincente. «Più di una volta è successo che turisti stranieri su quattro giorni di soggiorno a Roma siano tornati da noi diverse sere. E questo sorprende anche noi. Evidentemente è un ambiente che mette a proprio agio», sottolinea Francesco Mori.


Una condizione che è stata raggiunta con il tempo, in un continuo working in progress. Francesco e Alessandro infatti con il passare delle stagioni hanno sempre più pulito e “alleggerito” l’ambiente. Togliendo frigoriferi a vista. Aprendo spazi e spostando i bagni. Decidendo di allargare la cucina. Da qualche mese stanno pensando di eliminare la pizzeria, sebbene l’impasto sia stato studiato appositamente per il loro locale. L’idea sarebbe quella di lasciare comunque il forno a legna ma di utilizzarlo solo per il menù dell’Osteria e per alcuni piatti come l’Abbacchio al forno con le patate. La cosa non è stata ancora decisa. È un’idea. La stanno meditando. Non sarà quindi a breve.


Tra le novità da poco introdotte ci sono le poesie scritte sui muri, realizzate dai Poeti der Trullo. Anche questa un’idea novecentesca, quando nelle vecchie trattorie si trovavano appese ai muri le poesie di Trilussa, Belli o di Pasquino. Oggi sono naturalmente adeguate ai tempi e all’ambiente, che comunque cerca e insegue il buon gusto. Scritte sui muri bianchi, sono dei veri arredi grafici che danno eleganza e un tocco di tradizione. Per la maggior parte la clientela è composta da romani, che conoscono l’Osteria e amano tornarci. Essere però entrati nel giro delle guide enogastronomiche ha aiutato a far crescere le presenza straniere.

I Piatti

Intanto cominciamo con il dire che la spesa media a persona si aggira intorno ai 30-35 euro, bevande escluse. Comunque, non si superano alla fine i 45 euro. Prima però di scendere nel dettaglio di alcuni piatti, va spesa una parola sulla carta dei vini, completamente rivoluzionata da un paio di stagioni. Ad una lista completa di circa 200 etichette, tra le migliori in circolazione, inclusi Sassicaia e Tignanello, solo per citarne alcune, si è passato ad una lista più ristretta, dedicata soprattutto, e più opportunamente, al territorio. Oggi la preferenza va ai vini naturali, biodinamici e biologici. Alle piccole produzioni che lavorano in qualità e sono in linea con l’attenzione ai particolari di Francesco e Alessandro, che si tengono volutamente lontani dalle mode. Per il momento, essendo anche pizzeria, è possibile trovare tre diversi stili di birra di un’unica marca romana.


Tra i piatti più richiesti, oltre ai già nominati, vanno ricordate le Tagliatelle alla gricia con carciofi. Materie prime semplici. Pasta all’uovo del Pastificio Gatti di Testaccio, pecorino romano, guanciale di Dol (Di Origine Laziale) e carciofi. Il segreto sta negli ingredienti, tutti di alta qualità. Buona attenzione viene data anche all’impiattamento. Niente di eccessivo, rocambolesco, visivamente sorprendente. La giusta cura al dettaglio e l’eleganza della semplicità. I piatti del giorno vengono scelti a seconda della stagionalità. In questo periodo ci sono i Tonnarelli ai funghi porcini. D’estate quelli agli asparagi.


Le polpette di bollito sono un altro must del locale e vengono realizzate con il bollito strappato a mano e amalgamato con uovo, patate, parmigiano, noce moscata e pepe. La consistenza è completamente diversa dalle solite polpette e si sente quando viene assaggiata. Anche la guancia di maialino iberico cotta a lungo sottovuoto, a bassa temperatura, con vino rosso e scalogno, è un piatto che viene molto apprezzato e praticamente è sempre in menù.


La Trippa alla romana con menta e pecorino è una delle poche eccezioni che fanno al quinto quarto. Spesso in carta, viene servita anche come antipasto. Per i funghi porcini, le puntarelle, la vignarola e i carciofi alla Giudia i clienti stravedono.


Il dolce principale è stata un’invenzione di Papà. Si chiama la Ricotta di Ambrogio. È una mousse di bufala, servita con un croccantino di pistacchio e le arance candite. Sarebbe una sorta di cannolo siciliano smontato, senza il cioccolato. È da sempre in menù. Altro dolce sempre presente, fin dall’apertura, è il Tiramisù 121, chiamato così perché ha la particolarità che lo zucchero viene sciolto a 121 gradi e poi aggiunto a filo nell’uovo. Realizzata questa base viene amalgamato con il mascarpone e ricoperto di cacao.


E poi ci sono le crostate, il regno di Mamma Giuliana, che ogni due giorni ne prepara almeno cinque e che puntualmente vengono divorate. Lei stessa rimane ogni volta sorpresa che «vadano via come il pane, perché - per sua stessa ammissione - mai le verrebbe in mente di prenderne una al ristorante». La clientela però è di tutt’altra idea per cui, oltre a curare tutto il reparto dolci, Mamma Giuliana continua sfornare le sue apprezzate crostate.

Indirizzo

Osteria Fratelli Mori

Via dei Conciatori 10 – Roma

Tel +39 331 323 4399

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