Sostenibilità

Carne coltivata, parla lo chef vegetariano Pietro Leemann: “Io dico no, ecco perché”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina pietro leemann carne sintetica

Tiene banco il dibattito sulla carne sintetica, che in Italia non trova testimonial. “Non ne sento il bisogno: è solo voglia di stupire. Da millenni l’uomo in India si alimenta con proteine diverse”, puntualizza Pietro Leemann, chef vegetariano per antonomasia. Ma il semiotico Gianfranco Marrone ribatte: “La natura non ha niente di naturale, sarà un successo”.

L'opinione

La gastronomia woke ha un nuovo feticcio: la carne coltivata, sintetica o artificiale che dir si voglia. Lo ha proclamato Bill Gates, che è imprescindibile per salvare il pianeta, anche se la gente tuttora si attarda su bazzecole come i combustibili fossili e le case green. In Italia è vietata dal mese di luglio, grazie al solerte ministro Lollobrigida, che sembra rinverdire vecchi fasti autarchici. Ma all’estero qualcuno spinge, e non una qualsiasi: la tristellata Dominique Crenn, dopo avere atteso le autorizzazioni del caso, ha già messo in carta un piatto di pollo in tempura, che sembra avere tutte le carte in regola per accedere a tavole blasonate. È lei la testimonial perfetta per una tendenza politically & gastronomically correct, che non si affermerà facilmente.

carne sintetica shutterstock
@Schutterstock
dominique crenn chef pollo Upside Foods
La carne di pollo "coltivata" di Upside Foods, scelta da Dominique Crenn

Proprio in questi giorni, infatti, la polemica è divampata nuovamente a causa di un reportage televisivo che ha mostrato le diverse fasi di produzione in un laboratorio di Singapore, all’avanguardia in materia: fra incubatrici, bioreattori e controlli meticolosi della carica batterica e virale, sempre a rischio di esplodere, le cellule sono nutrite con siero fetale bovino, anche se si lavora alacremente per farle crescere senza un ingrediente tanto crudele, sottoprodotto della macellazione utilizzato anche per la produzione di vaccini, che viene estratto dai feti delle mucche gravide. Altro che carne cruelty free e no kill, almeno per ora. Gianfranco Marrone, professore di semiotica all’Università di Palermo, con una passione euristica per il cibo di lunga data, inquadra concettualmente il tema.

gianfranco marrone
Gianfranco Marrone

 “La carne sintetica ha un pessimo nome, ma un futuro radioso. Un pessimo nome nel senso di un pessimo brand: evoca, nel senso comune, un ossimoro: una materia vivente che viene prodotta artificialmente, dunque un falso, qualcosa di fittizio, menzognero, e ancor di più pericoloso, impuro, tutt’altro che salutare, disgustoso. Come un’arancia meccanica, per esser chiari. Ma si tratta di uno ossimoro che si regge su un molteplice errore. Non solo non è prodotto chimico (come direbbe il termine ‘sintetica’) ma biologico. Si fonda inoltre su una idea riduttiva di natura e di alimentazione. La natura non ha nulla di naturale, come ripetono filosofi ed ecologisti, ma di radicalmente sociale. E l’alimentazione naturale è un’utopia, se non un’ipocrisia. Del resto, il seme del grano è stato frutto di migliaia di secolari sperimentazioni, la carne sintetica di recenti decine.

carnesintetica
 

La carne sintetica ha però un destino radioso, per svariate ragioni (economiche, ma anche mediche, nonché di gusto). Possiamo scommettere che verrà recepita nella nostra cultura alimentare e integrata nelle nostre diete quotidiane, come a tanti suoi precedenti è accaduto nella storia della gastronomia, della cucina, della tavola. Lo capirà prima d’ogni altra cosa il marketing, per ragioni sue ed effetti non suoi. Si avvarrà delle sperimentazioni dei grandi cuochi, che spesso sanno essere, oltre che bravi tecnici, artigiani intelligenti. Senza strafare, comunque”. Fra gli chef italiani, tuttavia, la diffidenza alligna, visto forse il legame stretto che li avvince alla materia prima. Pietro Leemann, apripista dell’alta cucina vegetariana in Europa con la sua ormai storica stella, datata 1996, fa il punto dalla sua prospettiva.

Pietro Leemann Joia
 

 Da vegetariano, per me la carne sintetica non è una necessità: da millenni l’uomo si nutre di legumi o elementi proteici alternativi. Per quanto mi riguarda, il problema non sussiste. Una carne così non la comprerei, perché è l’evocazione di un mondo che ho abbandonato. Un altro aspetto che mi pongo è l’artificialità del prodotto: i processi di accrescimento naturali di un vegetale o di un animale li conosciamo e sappiamo che sono ottimali per l’equilibrio fisico e psicologico. Ma il resto è un’incognita. Mi sembra un esercizio mentale, poco spirituale, inutile e anche un po’ stupido".

Pietro Leemann Lucio Elio
@Lucio Elio

"Teoricamente non si uccidono più animali, e questo va benissimo, ma è una forzatura. E non mi piace il prometeismo dietro questa idea di sostituirsi alla natura, che va interpretata anziché coartata. Non ne vedo il bisogno, se non quello di stupire, come quando si suggerisce il consumo di insetti. Nella mia cucina più che lavorare sull’estremizzazione dell’ingrediente, ci concentriamo sulla bella idea del piatto buono, cucinato con semplicità, dai bei colori e dai gusti stimolanti, che fanno viaggiare il cliente. C’è poi il problema dei costi, nel senso che probabilmente non sarà un prodotto accessibile ai consumatori comuni, ma potrebbe diventare ricercato in qualche grande ristorante. Il vegetariano però anela al ritorno alla natura, da sempre".

pietro leemann
 

"Non è così che immagino la cucina del futuro. In India ci sono il cibo tamasico, tipo fast food; il rajasico, che è creativo ed energetico, come l’alta cucina; il sattvico, che custodisce il senso profondo dell’essere ed è legato a un benessere più ampio, cui dovremmo ambire. Questa carne per me è sicuramente tamasica”.

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