Ristoranti di tendenza

Sogno pontino: il Satricvm di Maximiliano Cotilli

di:
Alessandra Meldolesi
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massimiliano cotilli satricum copertina 970

Un ristorante edificato sopra un territorio che non c’era: al posto delle paludi di Nettuno, il Satricvm fra derive orientali e solidi ormeggi classici.

La Storia

La Storia di Maximiliano Cotilli


Canne al vento, vaporosi falaschi e sciami di zanzare, sabbie mobili, dune e acquitrini scossi da colpi d’ala e battiti di coda. Non c’è più tutto questo nella campagna di Nettuno, un tempo piccola Amazzonia d’Italia, oggi ordinato pettine di vigneti e filari di ortaggi, dove la strada corre dritta e sgombra fra campi e casupole moderne. Un territorio che non c’era, inventato dopo una lotta millenaria con l’acqua; men che meno a tavola: piatti e prodotti contano al massimo ottant’anni. L’esotico kiwi, tanto per fare un esempio, che ormai è tipicità.

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Anche questo è territorio, in un certo senso: il sentimento di libertà dove mancano le tradizioni e l’emozione di una frontiera che si sposta. E pioniere lo è davvero, Maximiliano Cotilli, nel suo ristorante spiazzante per formula bistronomica e per cucina globale, sebbene i natali siano a Roma e l’infanzia a Nettuno. “I miei lavoravano anche nel fine settimana, così da adolescente quando restavo solo in casa passavo i pomeriggi a sfornare ciambelloni. Al momento di scegliere che fare, ho esitato un po’ e ignaro di tutto ho chiesto a mio padre se esistesse una scuola in materia. Lui un po’ stranito ha annuito e sono finito all’Alberghiero, senza smettere di praticare arti marziali. Poi durante il militare a Imperia mi hanno incastrato subito come responsabile della mensa ufficiali”.

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“Quando sono tornato mio padre mi ha fatto trovare le valigie pronte per ripartire. È seguita una serie di esperienze in locali gourmet. A Monaco è stato un ristorante influenzato da Heinz Winkler a folgorarmi. ‘È questo che voglio fare’, mi sono detto, per le basi classiche e perché lavoravamo tutto da fresco. Poi sono passato a Londra, presso la Teca, con lo staff di Stefano Cavallini, unica stella italiana in città, l’Harry's Bar di Alberico Penati e l’Oranger di Gordon Ramsay, dove ho assorbito tanto, la preparazione delle salse come le cotture al burro. A seguire The Square, due stelle guidato da Philip Howard, dove ho approfondito la cucina contemporanea inglese con Shane Osborne e Brett Graham. E tanto classique al Waterside Inn di Michel Roux. Già secondo di Kamel Benamar all’Oranger, sono diventato chef per la prima volta nel 2003, quando il gruppo A-Z Restaurants ha creato per me l’Edera, un locale fantastico, che ai primi venti di crisi ho chiuso per tornare in Italia.

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Nel 2004 ho acquistato il Satricvm ma andava per le lunghe, così sono partito per l’India: dovevano essere 3 mesi, invece mi sono fermato 4 anni alla testa di un ristorante gourmet all’ottavo piano del Kempinski di Mumbai”. Nel frattempo conosce a Londra la moglie Sonia Tomaselli, che oggi guida sala e cantina, e strappa l’Alma Viva Award nel 2006, riconoscimento assegnato da Gualtiero Marchesi a 10 giovani chef italiani all’estero.

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Quando nel 2010 apre Satricvm, la sua cucina viaggia ormai su guide internazionali, coniugando basi francesi e suggestioni orientali in un melting pot metropolitano, incline al virtuosismo e al lazzo. Anche qui, in un certo senso, territorio, se è vero che dopo la bonifica l’Agro Pontino è stato colonizzato da comunità disparate, che hanno apportato ciascuna il proprio contributo di sensibilità e di tradizioni. In prossimità di un sito archeologico preromano e della via Francigena, di fronte alla cantina di Casale del Giglio, quella che era una casa viene trasformata in ristorante. Ardesia, legno vivo e ferro ruggine: la matericità è orientale sopra volumi lineari e moderni.

 

I Piatti

 

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La formula resta comunque popolare, con due menu intitolati Orizzonti e Radici, di cucina più o meno elaborata ma sempre creativa; contemplano entrambi la possibilità di mangiare alla carta, al prezzo di 14 euro a portata, o di scegliere 4 piatti a 38 euro, 8 a 48. In accompagnamento una carta dei vini da 120 referenze, concentrata sul Lazio e sul Trentino, dove è nata Sonia, più la sezione “Ci piacciono” dedicata al resto d’Italia e del mondo, contenente tanti naturali, piccoli vignaioli e vitigni autoctoni. I prodotti sono in gran parte laziali: il pesce di Anzio e Terracina, le verdure di Velletri, il pane di Bonci da farine Poggi o enkir. “Faccio la spesa ogni mattina. Poi alle 2 parte la preparazione della linea, che viene rifatta tutte le settimane. Il brunch della domenica serve a questo: svuotare le celle e ripartire da zero con ricette improvvisate, all inclusive a 25 euro. Ed è così che sono nati tanti piatti poi finiti in carta”. Gli appetizer, che arrivano in tavola con i grissini, la schiacciatina al sesamo e la zucca disidratata, danno la misura di una cucina gastronomica per tecnica a rigore, ineccepibile nelle esecuzioni, che può ancora crescere in varietà gustativa e stilistica, approfondendo il territorio e l’italianità.

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Per esempio il ravanello in salsa tonnata passato nel sesamo nero, a simulare un pane di terra, e servito in un vasetto: un pinzimonio solido e ludico. Oppure lo squisito pollo alla romana, servito in stile finger fra due cialde croccanti di pelle essiccata alla maniera cinese, appesa su una griglia e poi tostata in padella, con la classica farcia virata su un agrodolce orientale, destinato a ricorrere nel pasto. Strappa il sorriso anche il vassoio con la parodia di friandises, che inverte ludicamente l’ordine del pasto: il cannolo di ricotta di bufala dell’Agro Pontino alle alici di Anzio, il bignè di paté di fegatini e burro di cacao, il maritozzo di baccalà mantecato.

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Il “taco” è preparato con un impasto tipo lingua di gatto alla farina di mais, per una maggiore friabilità e leggerezza; al suo interno tonno crudo, salsa di fagioli neri tipo mole, erbe varie e cipolla in agrodolce; viene servito con un friggitello ribattezzato “jalapeño pontino”, farcito di formaggio e fritto in tempura con la farina di mais sul lato tagliato per un morso più croccante. Su un lato un mucchietto di paprica affumicata, da spargere a piacere con un soffio d’ironia.

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Oppure la ricciola, marinata in salamoia come tutti i crudi per una maggiore consistenza, poi servita con terra itrana, composta di olive disidratate al microonde e cotte nell’isomalto, per un esito crunch, neve di patate lesse, abbattute e passate al Bimby, cimette di cavolfiore caldo in contrasto per l’effetto insalata di rinforzo.

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Di nuovo gioco nel guacamole da finire al tavolo, dove arrivano ciotola e pestello. Si compone classicamente di dadi di avocado, gamberi rossi, mais tostato, menta, succo di lime, cipolla tritata sottaceto e zucchero di canna. O nell’illusione di una melanzana alla parmigiana, dove il pesce spada è passato brevemente sottovuoto fra due lamelle di melanzana, tipo ballotine, e fritto in tempura al nero di seppia, con un vaghissimo ricordo di Pino Cuttaia. Il chutney di pomodoro sostituisce la salsa, la panna cotta il basilico, il Parmigiano è in forma di crema e la buccia di melanzana forma una terra, che finisce di ricostruire un classico binomio siciliano.

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Il dentice ai porcini, che segna il passaggio al caldo, rispolvera le basi classiche con un effetto blanquette. Viene arrostito nella stessa padella dei funghi e servito con cubetti di latte brusco (cioè abbrustolito: una besciamella molto soda ai funghi passata nell’uovo sbattuto e fritta, specialità di Novi Ligure) e burro chiarificato al rosmarino. “Perché la padella è la mia tecnica del cuore”.

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In trompe-l’oeil la pappa al pomodoro, cotta classicamente, abbattuta entro stampini a semisfera, ricomposta e glassata in un gel di salsa, servita calda con un ragù di mazzancolle.

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fotografia di Lorenzo Sandano



Ma ci sono anche i primi, comparto da approfondire. Vedi i fusilloni Felicetti con salsa di ricci di mare alla bisque, burro per ammorbidire, salicornia saltata per la testura acquosa-croccante e caffè Illy per la lunghezza, secondo un food pairing ben noto alla cucina d’avanguardia. “Perché i nostri ricci sono favolosi”.

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Il petto di piccione viene classicamente spadellato e servito con un cannolo di pasta all’uovo croccantato in padella, intermedio fra il raviolo cinese e il cannellone. Viene farcito con la polpa delle carcasse cotte in un civet con funghi secchi, odori e vino rosso, il cui fondo ben tirato funge poi da glassa; più una purea di aglio nero per l’effetto cioccolato, così familiare su selvaggina e affini.

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Sensazioni dilavate dal sorbetto al tè verde, zenzero e lime, acido e tannico, esplosivo a bassa temperatura, che apre la strada al dessert dedicato al sottobosco, con il finto champignon di biscotto ai funghi secchi, il cioccolato in forma di ganache, mousse e brownie, la panna al lampone e il lampone ghiacciato. Per un’incursione nel figurativismo.

Tutte le fotografie sono di Andrea Di Lorenzo

Indirizzo

Ristorante Satricvm

Strada nettunese 1227 - 04100 Latina S.P. Nettuno – Cisterna km 13,70

Tel. +39 349 1923153

Mail: satricvm@gmail.com

Il sito web del ristorante

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