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Renzo Dal Farra, il suo Alpago e la storia di una famiglia al servizio del gusto

di:
Marco Colognese
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LocandaSanLorenzo

La Locanda di San Lorenzo, un’imperdibile meta gourmet ai piedi delle montagne.

La Storia

È una lunghissima tradizione di ospitalità a tutto tondo, quella che porta con sé la Locanda San Lorenzo.


Un mondo in cui non manca la fatica di un mestiere che solo un numero ristretto di persone riescono a concepire come passione pura. E qui, vera anima di un luogo della gola che ha pochi eguali, Renzo Dal Farra, di appassionata energia ne mette tutti i giorni da quando è nato. Ai piedi di montagne insieme maestose e luminose, in un territorio ricco di natura a pochissimi chilometri da una delle più belle e misteriose foreste d’Italia, il bosco del Cansiglio, qui si pratica l’arte dell’accoglienza.
Renzo Dal Farra<
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La storia inizia il 7 gennaio del 1900, i miei nonni prima avevano una bettola a Cornei, poi spostano qui la vendita di vini e liquori, portata avanti dalla famiglia fino all’inizio degli anni ’50, quando i miei genitori tornano da Liegi in Belgio, dov’erano stati qualche anno dopo la fine della guerra. Lì era nato mio fratello Aldo. Quella che nel frattempo era diventata metà casa e metà osteria viene restaurata con la realizzazione di quattro camere e diventa locanda. San Lorenzo deriva dal nome di una piccola chiesa a lui dedicata. Oggi le stanze sono undici e vengono seguite da mia sorella Sandra che poi ci da una mano anche in sala." La mamma in cucina, il papà al bancone del bar e uno zio “alle basse” con una piccola azienda agricola che produceva vino e lavorava con i bachi da seta. “Lì, dice ridendo Renzo, mi ci mandavano d’estate per poter affittare anche la mia stanza ai turisti!” Era la metà degli anni ’60. Per una decina d’anni abbiamo tenuto il vino dello zio, poi abbiamo iniziato a imbottigliare prosecco (ne compravamo sessanta damigiane da giugno a fine ottobre, una quantità enorme.

cantina locanda san lorenzo<
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A partire dal 1980 invece è partita la nostra attuale cantina (una delle più complete d’Italia, n.d.a.)).” Continua Renzo “Avevamo una grandissima voglia di andare a mangiare in giro, partivamo in sette otto amici e due auto, è stato un lungo percorso che ci ha portato a visitare da Cantarelli a Paracucchi, dal San Domenico a Marchesi, al Trigabolo di Argenta. E poi il nostro approccio non era quello del ristoratore ipercritico, ma di chi voleva imparare dai grandi”. All’inizio la Locanda era specializzata nei primi piatti con i quali si era guadagnata una fama ma a Renzo, dopo le sue esperienze in cucina alla Frasca a Castrocaro e nella migliore stagione del Bersagliere di Goito, l’idea di limitarsi a quelli stava piuttosto stretta e i segnali di questo fermento erano sempre più forti. Così arriva l’ora di cambiare e questo accade con la piccola rivoluzione che si compie dopo un litigio con la mamma: “una gran baruffa e da quel momento in poi lei non metterà più piede in cucina, limitandosi a concedermi il saluto del buongiorno. Così ho dovuto arrangiarmi, lei prima faceva davvero di tutto. È stato un passaggio difficile ma davvero significativo, era il 1984. A quel punto è nata l’esigenza di metter mano alla struttura, a partire dalla commistione tra bar e sala. Sai che qui la gente non lesina il bere, perciò alle volte si creavano situazioni d’imbarazzo.

staff locanda san lorenzo<
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Abbiamo quindi restaurato in modo importante, dividendo i due ambienti. Non solo, è stato introdotto anche il menu così com’è oggi con territorio, degustazione e carta; a pranzo c’erano ancora gli operai che venivano per mangiare piatti semplici, ma dopo questi cambiamenti la situazione è precipitata in un fuggi-fuggi generale di clienti abituali spaventati dal nuovo corso. Erano rimasti solo pochi amici fedeli e qualche ospite storico, ricordo addirittura sabati sera con quattro o cinque persone da fuori. L’abbiamo potuto fare perché avevamo un dipendente e mezzo più noi di famiglia, perché altrimenti saremmo saltati per aria.

cucina locanda san lorenzo<
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Nello stesso periodo la Locanda entra a far parte di un’associazione di ristoranti prestigiosissima qual era Linea Italia in Cucina, fondata da Franco Colombani del Sole di Maleo e nei primi novanta iniziano i primi riconoscimenti sulle guide nazionali a partire da quella de L’Espresso. Inizia anche il percorso con Aldo, congegnatore meccanico che fino al 1997, anno in cui lui va in pensione e che marca l’arrivo della prima stella Michelin, insegnava e ogni sera quando poteva era in cucina. “Lui era una vera mente brillante e amava la pasticceria, io invece ho sempre preferito lavorare con le carni. Nel 1998 diventa un pensionato baby, era del ’48, tre anni e poi purtroppo se n’è andato. Era molto più profondo di me e ricordo battaglie epocali sui piatti, ma entrambi eravamo molto propensi al cambiamento. All’epoca eravamo dei despoti e se si doveva spendere qualcosa in cucina non era un problema, mentre quando serviva anche una semplice tovaglia per la sala era un travaglio. Ricordo ancora una riunione dell’associazione quando Lucio Pompili aveva affermato che la cucina valeva quanto la sala, siamo rimasti tutti sbigottiti. E invece era in piena ragione, quanto la sala conti l’abbiamo capito bene!

Il Ristorante

ristorante locanda san lorenzo<
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A proposito di sala, è recentissima una nuova ristrutturazione che ha reso la Locanda un luogo ancora più accogliente e luminoso. L’ambiente, elegante ma con una personalità sulla quale gravavano i segni del tempo, è stato trasformato in uno spazio più moderno che è riuscito a non perdere il calore originario. Regina della sala è Mara, moglie di Renzo, affiancata da Ornella, alla Locanda da più di vent’anni, entrambe grandi conoscitrici del mondo enologico (e da questo punto di vista è solo ovvio, pensando a una cantina la cui profondità in termini di etichette impressiona) e da Angela, giovane dal sorriso efficace con esperienza alla Madonnina del Pescatore e a Londra: “da Moreno Cedroni doveva stare un mese e ci è stata sequestrata per sei”, dice ridendo Renzo.

staff vino locanda san lorenzo<
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Qui comunque le persone stanno decisamente bene: “abbiamo bisogno che la gente lavori serena; se n’è appena andata in pensione una signora che è stata con noi quarant’anni; in cucina c’è una lavapiatti che ci aiuta anche per i dolci ed è qui da diciotto. Si cerca di guardare sempre avanti, questo ristorante è arrivato a fare quattrocento coperti dal giovedì alla domenica. Alla carta! È perché abbiamo una squadra stupenda, altrimenti arrivi al massimo a 30 per sera. Non stiamo mai fermi, né siamo mai del tutto contenti, cerchiamo di tener duro senza farci toccare troppo dalle mode, andiamo avanti con la nostra storia senza isolarci; studiamo i grandi dai Roca al Noma, ma dobbiamo renderci conto che esistono concetti e filosofie differenti. Se uno è un fenomeno può permettersi di aprire anche in capo al mondo, ma di Ferran Adrià ce n’è uno e avrebbe potuto stare ovunque. Non dobbiamo dimenticare che prima di tutto siamo un’impresa e allo stesso tempo dobbiamo guardare al cliente e a farlo mangiar bene senza prostituirci.

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Renzo non ama i tentativi tout court di stupire attraverso i piatti, perché secondo lui la cucina dev’essere saporita ma allo stesso tempo fruibile con continuità, comprensibile però realizzata nel migliore dei modi, utilizzando ciò che la tecnica mette a disposizione, con un pensiero mai solo abbozzato, perché si deve sempre arrivare al fondo del senso di un piatto: “abbiamo cercato di studiare le persone che hanno mangiato qui per anni, in fondo devi render conto allo stomaco e non inventarti una ricetta solo per colpire”.

I Piatti

In un piatto ci dev’essere armonia, non dev’essere una rigida formula in cui se manca per esempio il croccante devi per forza farcelo stare. Serve anche il cuoco che esaspera e crea, come accade nell’arte, ma sono pochi a saperlo fare. Adesso c’è gente che sembra non aver assaggiato i suoi stessi piatti! Per non parlare della cottura sottovuoto: non ne ho mai sposato la causa fino in fondo, ci sono state battaglie e discussioni ma non l’ho mai condannata. È fantastica per i banchetti, ti aiuta a ridurre a zero gli sprechi, ma per la nostra interpretazione di cucina servono gli incisivi, perché se ne siamo dotati c’è un motivo.” Da queste parole si percepisce ancor più chiaramente quale sia la filosofia che anima l’idea di cucina di Renzo Dal Farra.

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Che poi in realtà ora è in totale simbiosi con Paolo Speranzon, il primus inter pares, lo chef che tiene le redini con la supervisione attenta del grande capo, il quale dice sempre sorridendo: “lui comanda in cucina e io comando lui, interagiamo di continuo e non lo smentisco mai, perché se discutiamo lo facciamo da soli” Paolo è del 1980 e ha una storia di folgorazione potente che gli ha fatto abbandonare una posizione in azienda dalla sera alla mattina quando Renzo gli ha detto che stava cercando un aiuto in cucina. “Veniva a mangiare con un nostro amico di Bergamo che aveva aperto un’osteria a Valdobbiadene, era uno che a 20 anni beveva Barolo. Cerco uno da inserire in locanda con calma, dissi. Lui rispose “ci penso” e la mattina dopo si era licenziato...”. In cucina c’è però anche Damiano, figlio di Renzo con esperienze in Lussemburgo da Mosconi e a Le Gavroche “a fare il militare”. I piatti? Sono sempre un inno alla gola, primo e vero punto di riferimento. Oltre il semplice comfort food, perché si tratta di preparazioni sulle quali non si lesina sulla tecnica né tanto meno sulla materia prima.

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A partire dalla delicatissima trota, allevata in un torrente dell’Alto Alpago a 800 metri sul livello del mare che viene marinata in sale, zucchero ed erbe aromatiche e successivamente affumicata con segatura di faggio per pochi minuti e poi servita con avocado, chutney di ananas e peperone.

tortelli di piselli con gamberi rossi al wasabi e salsa al crescione di ruscello<
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I ravioli di piselli e crescione arrivano da una cassetta dello stesso vegetale di ruscello regalata da un fornitore: assaggiandolo Paolo e Renzo sono rimasti colpiti da piccantezza e balsamicità che richiamavano il wasabi. Da qui l’idea di affiancare allo stesso qualcosa di dolce e stagionale, come i piselli e i gamberi rossi crudi in un’esplosione di grassezza raffinata e mitigata dalle note piccanti.

risotto con ostriche e porcini, salsa al finocchio e lemon grass, anguria marinata<
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Grande suadenza nel meraviglioso risotto con ostriche e porcini, salsa al lemongrass, zenzero e anguria. Ostriche e porcini da cotti si assomigliano per consistenza e colore e hanno sapori tendenzialmente complementari, con un chiaro rimando alla noce. La salsa al lemongrass va ad allungare la freschezza e viene utilizzata anche dell’anguria salata che per assonanza gustativa rimanda all’ostrica. Un piatto di rara finezza che porta con sé una persistenza gustativa impressionante.

bigoli al torchio con ragu' di cervo, salsa di cipolla e lamponi, panure ai frutti rossi<
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Le montagne intorno alla locanda pullulano di selvaggina da pelo, tra cui il cervo. Cacciato quindi in zona, il suo ragù di grande impatto accompagna dei bigoli di pasta all’uovo trafilati a mano per donare ruvidità e assorbire ogni essenza, una vera e propria esperienza golosa assoluta.

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Gli Jiaozi sono invece ravioli al vapore ripieni d’agnello con salsa di fagioli “mame” dell’Alpago, un gustoso emblema della cucina cinese tradotta nella lingua di quassù. Alleggeriti della valenza esotica grazie ai fagioli locali, sono di una squisitezza senza eguali.

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Della cacio e pepe Paolo dice “sono cresciuto in questa cucina accompagnato dai racconti in cui Renzo, Aldo e il farmacista romano Vincenzo Tassielli a qualsiasi ora della notte si esibivano in spadellate di “cacio e pepe” talmente sopra le righe da ribattezzare il nome di questa ricetta in “Heavy Metal“ per le esecuzioni tremendamente ricche di pepe. Era talmente familiare che mi sembrava assurdo non inserirla in carta. Poi, di ritorno da una gita primaverile a Roma ho scoperto l’abbinamento tra pecorino e fave. Ancora un paio di note, tra il croccante del guanciale e l’amaro della cicoria e la ricetta c’era”. Inutile dire della sua resa gustativa.

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Le variazioni di agnello sono un piatto che non può non essere assaggiato. Si tratta di una pietanza storica, nella quale si utilizzano gli agnelli locali che non superano la quota di mille capi commercializzati, dei quali quasi un terzo viene consumato alla locanda. Animali allevati con amore “qualche allevatore ci sta dietro quasi fossero loro figli”. Una preparazione leggendaria, per la quale gli agnelli arrivano interi e freschissimi in modo tale da gestirne la frollatura taglio per taglio, conservando tutte le frattaglie, in modo tale da trovare serviti insieme otto o nove differenti parti preparate con cotture differenti. Dal carpaccio di fesa tiepido, alla pancia, alla frittura di cervella, alla coratella in umido, alla lingua, allo shabu shabu passato nel brodo e fritto di carré, alla spalla stufata, dai latticini ai funghi alla trippa al pomodoro, non esiste prova d’agnello lontanamente simile.

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Un fuori carta che potrebbe mandare il gourmet letteralmente fuori di testa è il filetto in crosta, un’ibridazione tra Wellington e Rossini. Manzo farcito di foie gras, cosparso di un ripieno di funghi secchi e tartufo nero. Tutto questo arrotolato in una fetta di prosciutto crudo e in crosta di pane. Un’esecuzione per nulla banale che arriva direttamente alle corde della pura golosità.

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Il crumble salato con pistacchio, gelée al limone, gelato di ricotta e yogurt e biscotto all'olio extravergine d'oliva, leggera proposta dolce, ricotta di pecora locale a parte, è un buonissimo dessert con dei rimandi nettamente mediterranei, ispirato com’è alla costiera amalfitana.

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Per terminare il Pimm’s è una felice rivisitazione dell’omonimo cocktail, spesso servito con il cetriolo. Spuma di ginger ale e Pimm’s, sorbetto di cetriolo e kiwi per una freschezza inusitata alla quale viene unita un po’ di purea di mango per donare rotondità e dolcezza. Il prezzo per la gioia? Risibile, in relazione all’esperienza di assoluta qualità: 70 euro per il menu degustazione del territorio, 80 per quello più eterogeneo, sui 75 alla carta.

Le fotografie sono di Lido Vannucchi

Indirizzo

Locanda San Lorenzo

Via General Cantore 2

32015 Puos D’Alpago (BL)

Tel. 0437.454048

Mail info@locandasanlorenzo.it

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