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La Peca a Lonigo, da più di trent’anni un ristorante in continua evoluzione

di:
Marco Colognese
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ristorante la peca 2023 05 08 08 15 12

L’impronta golosa dei fratelli Portinari, due ristoratori fuori dal coro.

La Storia

È cambiato parecchio dall’inizio. Saranno trentadue anni a dicembre, siamo cambiati perché si matura, si diventa più equilibrati e si cerca di proporre una cucina che comunque è sempre e solo rivolta alla clientela e non alla gloria: non siamo più alla ricerca di fare voli pindarici.” Parole di Nicola Portinari, uno di quei personaggi di grande calibro nel panorama nazionale dei cuochi, uno di quelli che però alle apparizioni divistiche tipiche di un firmamento di cui in ogni caso fa parte preferisce i suoi fornelli a La Peca. Del resto qui siamo a Lonigo, terra veneta di concretezza e azione ma anche d’arte e paesaggio, tra splendide opere architettoniche palladiane e i Colli Berici, distanti anni luce da qualunque frenesia urbana. “Siamo partiti da macellai, ma la passione per la cucina c’è sempre stata o perlomeno l’ho sempre sentita e me ne sono occupato da subito. E i ruoli avevano iniziato a delinearsi perché Gigi (Pierluigi n.d.r.) era già allora molto più al banco che non dietro, nel laboratorio. Il negozio era anche una gastronomia, facevamo di tutto, crudo e cotto, a partire dal disossamento degli animali.”


La Peca nasce quando Pierluigi e Nicola scoprono che la vecchia osteria, dalla quale sarebbe nata la struttura attuale, avrebbe dovuto chiudere. Tutto viene trasformato in un edificio moderno, con una notevole personalità, dagli architetti Polazzo e Giuliari (nel 2000 un altro importante intervento, questa volta interno, è quello di Liliana Dal Toso). Racconta Pierluigi: “Abbiamo iniziato entrambi in sala perché Nicola ancora non si sentiva pronto per la cucina. Per i primi tre mesi ai fornelli abbiamo avuto un delinquente (sorride), poi uno chef che aveva lavorato al Cipriani al quale mio fratello si è affiancato per capire bene l’organizzazione.” Così fino al 1992 Nicola, partito da autodidatta, legge, studia, gira senza sosta i migliori ristoranti: “Sono andato a vedere la brigata di Ducasse, alla cui filosofia mi sono sempre ispirato. Poi ho fatto uno stage da Arzak a San Sebastian, ho visto nascere la nuova cucina spagnola, le sue idee rivoluzionarie con Berasetegui e poi al Mugaritz. Lì ho avuto modo di iniziare a capire quello che mi mancava, come la tecnica e il funzionamento di una brigata, perché le idee in cucina c’erano.”



E poi le lunghe vicissitudini di questa avventura appassionante e in qualche periodo anche difficile, come quando nel 1997 i Portinari perdono la prima stella Michelin, ottenuta tre anni prima, a causa di una sfortunata cena durante il Vinitaly: “Non avremmo dovuto accettare la prenotazione, avvenuta su sollecito di un nostro collega che non aveva potuto (o, pensiamo noi voluto) accoglierli. Eravamo stipati e i tempi si sono dilatati a dismisura, sono arrivati alle 21.30 e hanno iniziato a mangiare alle 23.” Così per quattro anni la Rossa sparisce, per tornare con una stella prima e con la seconda con l’edizione 2009: “Un gran bel momento, quello, perché sinceramente non ce l’aspettavamo, sicuramente eravamo cresciuti.” Artefice del successo di questo ristorante tra i migliori d’Italia è, insieme ai due fratelli Portinari, Cinzia Boggian: “Facevo l’arredatrice, era il 1989, il mio capo di allora mi aveva appena assunto e per festeggiare mi ha portato qui dicendomi “vieni che ti presento uno degli scapoli più belli di Lonigo”. Avevo vent’anni e sono rimasta qui, all’inizio alla sera a dare una mano, poi ho lavorato in cucina, in sala, da lavapiatti, qualsiasi cosa e tutto a un ritmo forsennato che non è mai smesso, salvo placarsi un po’ da quest’anno quando abbiamo deciso di allungare a due giorni il turno di chiusura.” Sì, perché Cinzia, Cupido il suo vecchio datore di lavoro, è diventata moglie di Pierluigi. Sua l’idea, da perfetta padrona della sala di trasformare qualunque cosa si rompesse (suppellettili, attrezzi, scatole) in divertenti centritavola, realizzando anche un paio di libri sul tema.


Nel corso dei primi anni di vita de La Peca le reazioni della clientela non sono state facili da gestire: “ci siamo scontrati molto con la mentalità di questo piccolo paese che vedeva come fumo negli occhi le cotture al sangue, il pesce appena scottato e tutto quello che si allontanava dalla tradizione. Abbiamo dovuto muoverci cauti ma piano piano finalmente hanno iniziato a seguirci.” A mano a mano ha iniziato a definirsi la cucina di Nicola: improntata alla leggerezza, alla pulizia e al carattere di ciascun ingrediente che dev’essere identificabile, senza eccedere mai con il numero di elementi presenti nel piatto e con l’accortezza di evitare il più possibile i grassi, ancora con lo scopo di valorizzare il singolo prodotto: “si cerca di tagliare dov’è possibile”.


Se per Nicola la cucina dev’essere prima di ogni altra cosa un piacere per l’ospite, sempre più sentita è l’esigenza di ricette a base vegetale e naturale: facciamo una fatica immonda a proporre la carne, sebbene la selvaggina al contrario vada molto: nella mentalità comune se è selvaggio non è allevato, quindi è più salutare. Mentre invece il pesce impazza.” Un’importante nota a parte meritano i dolci, perché Pierluigi, anche lui fiero autodidatta, è diventato un vero maestro del genere: “Non avevamo un pasticciere, così ho preso in mano la situazione: una lunghissima formazione sui libri e tante invenzioni. Ma ho provato tanto e non mi piaceva neppure una ricetta perché a quei tempi erano tutte, per così dire, debordanti di burro e zucchero. Io cercavo di elaborare le mie alleggerendo, perché dopo un pasto hai bisogno di non sentirti appesantito. Mio zio era un gelatiere (il padre del titolare di una notevolissima pasticceria come il Chiosco a Lonigo n.d.r.), c’era un suo ricettario e su quello ho lavorato per mettere a punto i miei dolci-meno-dolci.” Anche in questo caso il percorso di avvicinamento all’obiettivo è stato lento e graduale, ma alla fine i risultati sono arrivati e la clientela ha apprezzato.

I Piatti

“È difficile per me definire la mia cucina: è talmente naturale che non ho voluto darle un nome. Di sicuro è sempre stata alla ricerca della leggerezza, perché sia io sia Pierluigi abbiamo lo stomaco molto delicato e certi grassi e certe pesantezze non le abbiamo mai potute soffrire. Così, leggera, dev’essere nel vero senso della parola, non perché si tratta di qualcosa che va di moda.”


Come nel “gioco di mare” in edizione 2019, piatto che assaggiamo in un estratto, evoluzione sul tema portante che si evolve di anno in anno, lasciando ogni volta una sensazione in cui nitore degli elementi e armonia si compenetrano.


Ecco allora la setosa tartare di seppia con piselli, il suo nero e pomodoro asciugato; ancora la ricciola, sempre in tartare con fave ed emulsione di zenzero; l’orata con rapa rossa, rapa di Chioggia, lampone, burrata e una punta di acciuga; la cappasanta con crema di spugnola, prezzemolo tuberoso e una spruzzata di marasca; il maccarello (sgombro) marinato di salsa di soia con granita al sedano e sedano tagliato a julienne.

La primavera 2019 - Germogli, mandorle, tamarindo e bitter



Immediatamente dopo arrivano le note crude, ruvide e insieme avvolgenti nella loro intensità de “la terra e i suoi frutti estivi”, altra proposta che cambia da un anno all’altro secondo quel che il mercato propone in estate tra vegetali e tuberi. In questo caso è arrivata una crema di funghi, un’altra di caponata, alcune varietà di patate, rape e carote ed erbe aromatiche.


Molto divertente il contrasto gustativo nella variazione di cappesante con polpa di granchio, falso pepe e cocco. La base è una salsa ottenuta dai coralli delle cappesante, arricchita dalla nota acidula dello yuzu e dall’aria di basilico. Grande classico è “Laguna Veneta” in cui esplode la sapidità iodata dei mitili e delle conchiglie dell’Adriatico nelle loro differenti espressioni di gusto. Bellissima la potenza del risotto “tutto pomodoro e limone” nel quale della pianta del pomodoro viene usato ogni elemento, con l’apporto tannico del fusto e l’intensa profumazione delle foglie.


Quella che qui definiscono una versione gourmet della pasta al tonno sono le caserecce integrali di Fracasso servite tiepide con il profumo del gelsomino e l’acida dolcezza della pesca tabacchiera, per un piatto di grande eleganza.


Interessanti le consistenze della coda di rospo in “caponata” con caponata scomposta di melanzane, polvere delle bucce disidratate, crema di carota, salsa di peperone arrostito, polvere di capperi e olive e cialdini di paprika.

Black-cod arrosto con piselli e fragole agre



Golosa la costa di manzo con salsa bbq in cui viene usata una parte di punta della pancia, di solito usata per i bolliti, meno grassa ma di grande gusto: cotta a bassa temperatura per preservarne la morbidezza, è accompagnata da topinambur marinato in una soluzione acetica e mantenuto molto croccante.


Un intermezzo di grande freschezza come il sorbetto a base di fragole e rabarbaro segna il confine con i dessert che iniziano con la variazione di albicocca, bel gioco che parte da una “trasparenza” di rose e albicocca fresca, cui seguono un cremoso alla mandorla con albicocca marinata alla camomilla, un sorbetto e poi lo yogurt greco al rosmarino con albicocca cotta.


Ecco ancora la crostata dalla deliziosa frolla friabile con la suadente nota amaricante del sorbetto alla mandorla e all’interno una marmellata di limoni di Amalfi con crema pasticcera al limone. Si termina con la pura gola dei bigné fritti con gelato al bergamotto, in perfetto equilibrio tra calore croccante e morbidezza cremosa. Difficile rinunciare alla competenza di Matteo Bressan per l’abbinamento al calice che può accompagnare il percorso prescelto: letteralmente cresciuto a fianco di Pierluigi con il quale ha esplorato negli anni i vini “fuori dal coro”, distinguendo tra sacri e profani prima che questi diventassero una moda imperante e fossero definiti “naturali” e buoni a prescindere, questo giovane sommelier è in grado di guidare l’ospite attento attraverso una cantina formidabile che conta ben più di duemila etichette.


Anche nel proporre un menu vastissimo qui a La Peca sono fuori dal coro: “noi lavoriamo per i nostri ospiti, abbiamo in effetti una cucina sovradimensionata, ma quando un cliente si siede a tavola non deve per forza decidere tra una degustazione e l’altra, deve poter scegliere alla carta. E poi quello che facciamo qui dev’essere buono per tutti e sempre, anche quando abbiamo tutte le trentacinque persone che riempiono il ristorante.” Perciò si va da “ore 12” proposto a pranzo nei feriali a soli 45 euro per salire rispettivamente a 95, 145, 160 e 200 euro (Impronte, vastissimo) per i menu degustazione. Alla carta, una carta “vera” e ricca di piatti, vanno messi in conto mediamente circa 150 euro.

Fotografie di Gabrio Tomelleri

Indirizzo

Ristorante La Peca

Via Alberto Giovanelli, 2, 36045 Lonigo VI

Tel. +39 0444830214

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