Alta cucina

Mascherine e guanti al posto di sorrisi e strette di mano: come i grandi maitre italiani si stanno preparando alla riapertura

di:
Sara Favilla
|
sommelier

Abbiamo intervistato sei tra i massimi esponenti della sala italiana per capire come stanno reagendo a questo momento e quali sono le prospettive per la ripresa

La Notizia

La parola quarantena ha tra i vari significati anche quello di un digiuno prolungato. E mai come nel caso della ristorazione è un sostantivo azzeccato e doloroso. Anzi, è un digiuno che ormai ha ampiamente sforato i 40 giorni, i ristoranti (ma anche pizzerie, bar, pasticcerie) sono chiusi, le sale silenziose, come un set cinematografico in disuso. Le cucine sono accese solo per chi ha deciso di dedicarsi al cibo da asporto, creando un sistema variegato di consegna di piatti a casa dei clienti. È un modo per sopravvivere, forse non tanto da un punto di vista economico, ché i costi del delivery non sono trascurabili, sia per l’introduzione di un packaging inevitabile, sia per i costi di consegna (che sia affidato a un servizio ad hoc, o effettuato motu proprio dai ristoratori), ma è una risorsa che in qualche modo mantiene in vita un comparto, facendo sentire la propria presenza, senza creare cesure nette che si potrebbero rivelare spaventose una volta che il sistema riprenderà a muoversi.

La sala silenziosa, dicevamo, elemento necessario e imprescindibile per l’esistenza di un ristorante, il completamento di un’esperienza culinaria resa possibile grazie a gruppi di professionisti che intrecciano conoscenze tecniche, buone maniere, psicologia, cultura di cibo e vino. Un grande chef non potrebbe dirsi tale senza la complicità di un grande uomo di sala.

Per questo abbiamo raggiunto alcuni dei nostri migliori esponenti della categoria, dando loro voce per sondare gli animi in questo momento, e captare qualche previsione sul post Covid, chiedendo loro come cambierà l'alfabeto dell'accoglienza, con l'uso di mascherina e guanti, in nome di una maggiore sicurezza; quali ipotesi stanno pensando per non svilire la professione e professionalità; come vivono questo momento in ombra e cosa pensano del delivery.

 

Alfredo Buonanno, Krèsios, Telese Terme (BN)


Sicuramente uno dei requisiti per essere un uomo o una donna di sala è l’ottimismo. Non vedo l’ora di riabbracciare, anche solo con uno sguardo, gli ospiti di Krèsios. Sono sicuro che appena avremo modo di ripartire in totale sicurezza, i ristornati vivranno una nuova primavera, ancora più fiorita. Alle persone manca quella spensieratezza che solo il ristorante può regalare: ogni giorno ricevo chiamate whatsapp di ospiti che non vedono l’ora di suonare il campanello ed essere accolti in sala!

Non cambierà l’alfabeto dell’accoglienza, calore e passione filtreranno anche attraverso guanti e mascherine! Sono sicuro si troverà una soluzione anche per non nascondere il sorriso: ho visto mascherine che sono delle vere e proprie visiere trasparenti che potrebbero essere utili per la nostra causa.
Non abbiamo mai sottovalutato la sicurezza al Krèsios. Magari prima era una forma di “privacy”, di intimità che volevamo regalare all’ospite: tra un tavolo e l’altro infatti ci sono già più di due metri di distanza e ovviamente grande attenzione all’igiene dell’operatore di sala e di cucina erano già all’ordine del giorno.


Oggi la tecnologia ci tiene connessi con il mondo intero, quindi con gli amici, con i colleghi e con gli ospiti: è difficile svilire quel senso di professione continuando a rispondere alle e-mail, a parare di vino e di accoglienza, a dare consigli sugli acquisti…
Sono un inguaribile ottimista: questo periodo è una rara occasione per trovare un po’ di tempo in più per approfondire argomenti, per leggere dei libri spesso acquistati e lasciati in libreria ancora con la plastica dell’imballaggio e c’è un confronto ancora più frequente con tanti colleghi da cui imparare tanto. Torneremo tutti più assetati, di tutto!

Ho sempre sostenuto che qualsiasi azienda ristorativa sia come un gruppo rock: Bruce Springsteen senza la sua E-Street Band non sarebbe lo stesso Bruce Springsteen. Ovviamente lo chef è il “Boss” del ristorante, quello che “scrive i testi”. Ma poi c’è bisogno che quel testo diventi sinfonia e la sinfonia è opera del bassista, del chitarrista, del pianista… Un piatto senza sinfonia non sarà mai ricordato. Anche Bruce Springsteen lo sa! E l’ospite non cerca quasi mai solo i testi, l’ospite non vede l’ora di avere la data del concerto, di vedere tutti all’opera, ognuno al suo strumento.
Il delivery di ristoranti come Krèsios coinvolge anche la sala: quasi nessuno rinuncia a un buon piatto, a una buona materia prima senza un vino consigliato dal sommelier di fiducia!

 

Giancarlo Camanini, Lido 84 (Gardone Riviera, BS)

Foto Lido Vannucchi



C’è un fil rouge, un elemento determinante e comune a ogni singola domanda che mi porgi ed è l’elemento temporale, incomprensibile al momento. Quando riapriremo? Quanto durerà l’emergenza e il timore, la prudenza, una volta aperti? Quando arriverà il vaccino? Se la situazione durerà intorno ai 4/6 mesi totali e la gente si sentirà rassicurata dalla medicina e dall’intervento dei governi, confido che la percezione sarà soltanto transitoria, tutti, ristoratori e clienti torneranno nelle reciproche dimensioni con grande gioia ed entusiasmo, certo avranno avuto la consapevolezza di alcune privazioni e limitazioni, ma solo come passaggio necessario verso la normalità, credo anzi si guadagnerà in sensibilità e nel valorizzare e nel comprendere ancor più certi dettagli di un mestiere come il nostro.

Se naturalmente il vaccino tarderà ad arrivare, l’idiosincrasia cresce e permane, le conseguenze economiche saranno più serie e lo scenario che dovremo affrontare è come quello di una persona a cui accade che venga tolto uno dei cinque sensi, dovendo godere della vita soltanto con i restanti, il rapporto con i clienti cambierà e tutto sembrerà un po’ più asettico. Ma svilupperemo gli altri 4 sensi e in ogni caso, da ottimista quale sono, credo che il tutto avrà una durata limitata nel tempo.

Foto Lido Vannucchi



Non credo che la nostra professione verrà svilita, i clienti comprenderanno che per un periodo i nostri strumenti saranno limitati, ma nutro un’enorme fiducia negli esseri umani e snella loro capacità emotiva di interazione attraverso tutte le sfaccettature della personalità, sono certo che troveremo altre strade di comunicazione per far nascere quell’incanto sottile proprio di tutte le sale dei ristoranti.

Non credo che in questo momento si possa parlare di dualismo tra sala e cucina, è un termine che non ho mai amato nemmeno prima del coranavirus, non deve esistere dualità assolutamente, ma fusione, e mi fa piacere se ne parli e si parli sempre molto del mondo della sala; ora francamente la maggior operatività della cucina è semplicemente una esigenza circostanziata. Per fornire un servizio è sufficiente accendere soltanto uno dei motori della ristorazione, le cucine stesse.

 

 

Vanessa Melis, Pascucci al Porticciolo (Fiumicino, RM)


Mai come in questo momento il ruolo della sala credo sia di fondamentale importanza, proprio perché dobbiamo ripartire da zero, ovvero dobbiamo riportare il cliente nelle nostre sale, ma in che modo? Il concetto dell’ospitalità non è assolutamente cambiato, la figura di sala dovrà capire e interpretare cosa vuole il cliente in questo momento e di conseguenza attuare con semplicità e professionalità le sue richieste per farlo tornare.

È vero, forse indossare le mascherine nasconderà il calore del nostro sorriso, ma secondo me abbiamo un altro elemento da non sottovalutare, i nostri occhi: lo sguardo in ognuno di noi riesce a essere una forma di comunicazione, riesce a trasmettere un’emozione, un desiderio, nel nostro caso la felicità di accogliere e soprattutto infondere fiducia nel cliente.

Foto Lido Vannucchi



Sarà sicuramente una nuova sfida cercare di essere una squadra ancora più affiatata e protesa a trasmettere sicurezza e serenità quanto più possibile. Ma del resto questo è sempre stato il nostro lavoro, possono cambiare le regole, le abitudini, le tendenze, ma non la voglia di rappresentare la propria identità a tutti i costi.

In questo momento non provo alcuna sensazione di sconforto, al contrario sento di provare una grande forza, una forza d’animo che servirà a dare ancora più valore al ruolo della sala che non smetterò mai di affiancare al ruolo della cucina e dello chef che rappresentiamo.

Noi siamo partiti da subito con la nostra idea di delivery: creare dei piatti fruibili, studiati e pianificati per essere consumati a casa. Il nostro concetto di accoglienza si è spostato, è diventato un servizio, servizio nel prendere le ordinazioni, suggerire i menu a seconda delle esigenze del cliente e le metodologie nel realizzare i piatti. Il servizio di delivery inoltre viene eseguito direttamente dallo chef e dal sous chef che consegnano personalmente a casa dei clienti.

Io non credo agli spostamenti di asse, credo nel gioco delle parti e negli equilibri dei ruoli dove a seconda delle necessità in un servizio di sala tutti gli interpreti hanno la loro opportunità di sentirsi protagonisti.

In questo momento storico di chiusura, in tutti i sensi, e forte stress che tutti stiamo vivendo, il mio pensiero si sofferma sulla consapevolezza che “esiste” un luogo che sa farti sentire ben accolto come un vero amico, il ristorante.

 

 

Beppe Palmieri, Osteria Francescana (Modena)


È impossibile fare previsioni per lo scenario post Covid, ma a mio parere bisogna invece pensare a più scenari, per cui bisogna farsi trovare pronti su qualsiasi fronte. Sono convinto che questa è un’occasione per mettere sullo stesso piano la sala, la cucina e un altro segmento sempre presente in ogni ristorate ma ahimè spesso trascurato, ovvero l’ufficio che si occupa dell’economato, delle prenotazioni ecc., per andare quindi a creare un collettivo in grado di trascendere la bontà di un piatto o del servizio. Credo bisognerà ripartire dall’ingrediente più importante, che è il capitale umano, il fattore umano, questione che finora hanno sempre riguardato solo la sala, mentre da oggi questo linguaggio dovrà essere allargato, questa situazione ci precipita in una condizione in cui l’ingrediente più importante del futuro è il fattore umano che si fa capitale umano.

Si ripartirà quando il nuovo decreto fisserà delle date, bisognerà continuare a indossare i dispositivi, quindi mascherine, guanti, gel, bisognerà tenerne conto a prescindere dal servizio perché faranno parte della quotidianità. Ci sarà un grande cambiamento nelle nostre abitudini, ma l’appuntamento con la storia si avrà con il vaccino, la cura definitiva e l’obiettivo resta per tutti il ritorno a una normalità, perché questo è un virus che come altri in precedenza ha fatto il salto di specie, e circolerà quindi per sempre. Bisognerà convivere con questo virus e attendere il momento in cui la scienza – che resta la nostra stella polare – ci metterà in condizione di superare la fase peggiore e puntare alla normalità. In tutto ciò è necessario un atteggiamento positivo, non bisogna farsi a mio parere angosciare da questa guerra in atto. Mi auguro di aver superato la fase peggiore, senza sottovalutare le fasi che verranno, bisogna restare lucidi, disponibili, molto appassionati, e ripartire dalla cultura del duro lavoro. Chi come me fa questo lavoro conosce bene questo linguaggio, e saprà rimboccarsi le maniche e ripartire, gradino dopo gradino.


In questo periodo di grande solitudine che è una realtà in cui ci siamo calati da quando ci siamo ritrovati a casa da soli, è una solitudine in cui abbiamo potuto riflettere e rinascere dal punto di vista dei sentimenti e delle emozioni, perché è una situazione del tutto inattesa passare, che so, da prendere un aereo, spostarsi in tutto il mondo tessendo una rete di un mare di persone e di relazioni, al ritrovarsi in casa da soli. Questo grande cambiamento avrà delle ripercussioni su di noi nell’immediato, e ognuno di noi con la propria sensibilità si cucirà addosso i prossimi tempi. In questo periodo credo che ognuno di noi abbia recuperato una parte di quei rapporti che si erano allentati o sopiti, nel tentativo di non perderne altri, perché bisogna prendere atto che questa tragedia ha cambiato tante persone e tante sono le vittime. Però dopo una prima fase in cui io stesso ho subìto la tragedia, la difficoltà, mi sono fatto coraggio, ho iniziato a ripensare me stesso rimettendomi al lavoro per far rinascere Panino, il piccolo grande locale che ho aperto a pochi passi da Osteria Francescana, sognando a occhi aperti il mio lavoro di uomo di sala. Amo talmente tanto il mio mestiere che ho capito in un momento così difficile quanto questo mestiere sia parte della mia vita, al punto che non esiste una cesura tra il mio lavoro e la mia vita privata, perché nel momento in cui mi è stata tolta una delle due cose, ho capito che andare a letto tardi ogni sera, e svegliarmi la mattina presto, fare tutti i giorni quello che mi piace, vuol dire amare profondamente la sala. Questo è un mestiere che puoi sentire tuo fino in fondo e lo capisco soprattutto adesso, perché servire è un esercizio difficile che non vuol fare quasi nessuno, ed è una scelta di vita che mi manca talmente tanto che non vedo l’ora di poterla recuperare, di ritrovare il gruppo con cui condivido il senso di responsabilità di un progetto. Credo che adesso sarà importante rinascere da tutto quello che di buono abbiamo fatto nel recente passato, perché è quello che ci permetterà di ritrovare la condizione migliore per ripartire e continuare a correre tra i tavoli di un ristorante.


La sala non deve pensarsi sottoposta a una cucina, ma vivere un rapporto alla pari. Perché la sala ha senso finché esiste una cucina a cui dedicarsi, di riferimento, da accompagnare. Il successo di un ristorante e di un cuoco passa anche attraverso la testa, le mani, il cuore e la pancia della sala, e in futuro ancora di più. Non ci deve essere, a scanso di equivoci, competizione, perché un uomo di sala che abbraccia un progetto, lo fa perché veste il ruolo più difficile, quello del gregario, dedicando la propria vita a uno chef e a una cucina. Quindi gli chef che oggi stanno riuscendo nell’impresa di supportare e sostenere i propri ristoranti con attività di delivery e non solo, ma anche con il linguaggio, la dialettica, altre attività, non possono e non potranno mai immaginare un’evoluzione a lungo termine a prescindere dal supporto della sala, che per definizione e per stile devono sempre stare un passo indietro, perché il nostro palcoscenico è solo uno, è la sala di un ristorante. Servire con cortesia e rispetto i nostri ospiti al servizio della cucina. Noi abbiamo il dovere morale di dedicarci fino in fondo, senza dimenticare che i requisiti fondamentali di una donna e di un uomo di sala di valore sono l’onestà e la fedeltà. Io ho dedicato 20 anni all’Osteria Francescana, sono innamorato dell’Osteria Francescana e faccio del mio meglio insieme al collettivo al servizio di un progetto comune.

 

Alessandro Pipero, Pipero (Roma)


Non si possono fare previsioni, dobbiamo attendere le disposizioni, per quanto io mi sento tranquillo perché nel mio ristorante i tavoli sono sempre stati ben distanziati e non dovrò prendere ulteriori misure se non quelle che riguardano i dispositivi di sicurezza individuali.

Il fattore che mi preoccupa è quello dell’affluenza, il 50% della nostra clientela è straniera, una fetta molto importante che non recupereremo per quest’anno, per cui rivolgeremo i nostri sforzi a incentivare la clientela romana e italiana. Proprio in funzione di questo sto lavorando su un progetto di portare Pipero nelle case, voglio dire, sarò io in persona ad andare dai clienti a cena, a portare la nostra bandiera, la carbonara e un po’ di coccole proprio come facciamo nel nostro ristorante. Un modo per farci sentire vicini anche ai quei clienti che all’inizio saranno inibiti nel tornare a frequentare i locali, ma che noi cerchiamo di raggiungere personalmente, con una presenza che li faccia sentire sicura nella propria comfort zone, ma con l’experience che ci caratterizza.


L’uso dei dispositivi di sicurezza, in particolare la mascherina, non mi spaventa, impareremo a sorridere con gli occhi: lo straniero ci ha insegnato che quando viene in Italia da noi basa l’esperienza sul calore di un’accoglienza che è la nostra specificità, per cui faremo in modo di incentivarla e allenarla. In questo senso il nostro personale di sala sarà formato per aumentare la qualità dell’accoglienza. Dico di più: la figura del cameriere sarà ancora più centrale, per cui punteremo sulla quantità e qualità di questa figura professionale, una risorsa umana più che mai importante in questo momento imminente.

In ragione di ciò, poiché sono un imprenditore, non posso permettermi momento di sconforto, ho il dovere di fungere da motivatore ed esempio per i miei ragazzi, devo essere propositivo ma soprattutto realista, perché finché non riapriremo non possiamo determinare il corso delle cose.

E proprio il realismo mi impone di ricercare una maggiore concretezza, il cliente italiano avrà uno scontrino più contenuto rispetto a uno straniero che è sempre ben disposto a stappare etichette importanti in nome dell’experience. L’italiano non rinuncerà a uscire a cena, ma cercherà maggiormente l’identità del patron, cercherà di stare bene senza eccedere. Sarà un momento delicato, certo, siamo consapevoli che le difficoltà non mancheranno, ma credo sarà anche un’opportunità per distinguersi per perseguire una qualità. Chi ha sempre lavorato con solide basi incrementerà la propria qualità, perché ci sarà maggior selezione per rispondere alle esigenze della clientela che sarà più intransigente.

 

Marco Reitano, Chef Sommelier, Ristorante La Pergola, Hotel Rome Cavalieri Waldorf Astoria Collection - Presidente associazione Noidisala


La ristorazione incassa lo stop imposto dalla più grave crisi sanitaria dei nostri tempi, ma lo definirei più uno stop & go. Certo, ci sono le problematiche economiche da affrontare, l’incertezza delle tempistiche di ripresa. C’è chi ha ovviato alla chiusura del ristorante organizzando un servizio a domicilio; chi invece ha preferito approfittare della quarantena per godersi il calore familiare: entrambe situazioni che fanno onore, mentre non è assolutamente lecito piangersi addosso.

Io mi pongo a metà, cercando di approfittare del tempo libero mantenendo un contatto “sobrio” con le mie attività, conscio del fatto che il prossimo traguardo è riprendere esattamente dove abbiamo lasciato. Non sarà di certo il Covid 19 a cancellare l’attività svolta, tutto quello che ho costruito in 30 anni di professione, e non sento alcuna necessità di dovermi “reinventare” in un periodo che ritengo transitorio. Il momento è invece buono per essere vicini a tutte le persone che hanno perso i loro cari a causa del virus e ammirare chi, nelle varie responsabilità, non ha potuto sottoscrivere le comode regole del lockdown e combatte ogni giorno in prima linea.

Ecco, parlando di “prima linea”, tutti i camerieri d’Italia sono in attesa del proprio turno, del momento in cui il nostro enorme esercito verrà chiamato in campo, del momento in cui ci sarà richiesto di supportare la “ripresa” con quello che sarà il nostro contributo di contrasto al virus. Chi più di noi sarà chiamato a farlo?


L’accoglienza” di fatto rappresenta il fattore determinante nel superamento di questa crisi che nel suo diktat incentiva l’esatto contrario, il distanziamento sociale. Sebbene ci sia molto parlare, è bene specificare che al momento non è ancora stata approvata alcuna normativa da mettere in atto per la ristorazione, né è stata fissata una data certa per quando torneremo a lavorare in sala.

Probabilmente verremo forniti di “armi” aggiuntive che utilizzeremo al meglio, ma dobbiamo ritenerci fortunati poiché la “dotazione standard” di un cameriere è già a un livello superiore rispetto a molti altri ambienti lavorativi. Già, il cameriere è accogliente, ha spirito di adattamento alle diverse situazioni e sa mettere a proprio agio le persone. Il cameriere ha dimestichezza con le norme comportamentali, ha sempre una consona formazione in materia di sicurezza/igiene ambientale nonché in tema della tanto perseguita sicurezza alimentare. Il cameriere è flessibile e va al lavoro conscio del fatto che ogni sera possono presentarsi esigenze nuove, diverse, fra gli ospiti, che di certo non lo coglieranno di sorpresa! La deontologia del nostro impiego è incentrata sulla cura del cliente, un punto di forza invidiabile nel post virus, un vantaggio, un motore da incentivare per la ripartenza. Il cameriere professionista non è di certo uno sprovveduto, e non lo sarà neanche durante questa inaspettata stagione.

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