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Zalacaìn, il primo tristellato di Spagna con gli stessi dipendenti dal 1973

di:
Alessandra Meldolesi
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Quest’anno il primo tre stelle spagnolo, Zalacain, taglia il traguardo del mezzo secolo con una squadra fedele quanto la sua clientela e una carta in larga parte invariata.

La storia

La prima istituzione gastronomica di Spagna si chiama Zalacaìn: per questo ristorante leggendario (chiuso solo per un breve periodo nel 2020) oggi ricorrono i cinquant’anni di storia, culminati nelle tre stelle datate 1987, le prime in assoluto del paese. Per le sue sale sono passati Salvador Dalì e Mario Vargas LLosa, Julio Iglesias, i Rolling Stones e ovviamente re Juan Carlos, uno degli habitué più fedeli. Ma si dice che nei privé, nel corso di estenuanti trattative allentate da pause epicuree, abbia preso forma la costituzione, oltre a innumerevoli trattati e accordi commerciali.

@JAVIER BARBANCHO



Il nome deriva dal racconto “Zalacain l’avventuriero” di Pio Baroja. Era il 15 gennaio 1973 quando un commerciante di Navarra, Jesus Oyarbide, lo issò sull’insegna di calle Alvarez de Baena, portando con sé lo chef Benjamin Urdiain. Dopo importanti trascorsi in Francia, questo figlio d’arte avrebbe diffuso sulla penisola il verbo della nouvelle cuisine, senza mai chiudersi alle suggestioni di Oyarbide, gran frequentatore di tavole gourmet e consumato viaggiatore. Fu lui, per dire, a portargli dalla Gran Bretagna dei vasetti, per il cui utilizzo nacque il celebre signature di uovo, gelatina e caviale. Il lusso qui era di casa, al punto che un dipendente si occupava solo di lucidare l’argenteria, tutti i giorni.


Insalata di aragosta



La vera cifra, tuttavia, è sempre stata la centralità del cliente, che andava in ogni caso accudito e coccolato, chiunque fosse. Al costo di improvvisare variazioni e ricette da zero, come è successo tante volte di fronte alle voglie estemporanee dei vip, che immancabilmente chiedevano il bis. “Sappiamo il nome di tutti i clienti che tornano. Oyarbide leggeva il giornale per scoprire se ci fossero stranieri famosi di passaggio a Madrid, in modo da poterli riconoscere e chiamare per nome al loro ingresso al ristorante. Un dono che nessuno ha. Per questo lo chiamavamo Don Jesus”, ricorda Luis Miguel Polo, maître da venticinque anni.


Non sono state leggere le traversie vissute dal 1996, quando è caduta la terza stella e Oyarbide ha venduto il locale. Dopo gli sconquassi del covid, da due anni la proprietà è passata nuovamente di mano al gruppo Urrechu, che ha garantito la salvaguardia di tutte le squadre e proprio per questo è stato favorito. E di fatto il personale è praticamente invariato, cominciando dall’ex apprendista e oggi chef di cucina Jorge Losa, dietro il quale continua a farsi vedere il suo maestro Urdiain, impeccabile nel cappello a falde larghe. Servono un pubblico più giovane, accanto ai clienti storici, per il momento senza stelle Michelin.


La carta è rimasta praticamente invariata, con i suoi stufati, un celebre Wellington e le patate soufflé migliori del mondo, che i vip venivano a imparare dietro le quinte; quale unica eccezione la nuova trippa firmata Losa. Ma qualche congelatore si è fatto strada sui primi avanbracci tatuati, indizio di un’atmosfera più rilassata. Il futuro sono loro, i lavoratori”, si entusiasma Urdiain. “Dobbiamo evolvere e compiere misurate attualizzazioni, mantenendo sempre la nostra identità”, gli risponde il discepolo, mentre sul calendario iniziano altri cinquanta di questi giorni.


Fonte: El Español

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