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"Parità fra i sessi in cucina? Per le donne è ancora un miraggio" Yannick Allèno parla chiaro: le cose devono cambiare

di:
Alessandra Meldolesi
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Yannick Alleno parita di genere in cucina copertina

Dura la vita per le giovani cuoche: in netta minoranza rispetto ai loro colleghi, devono affrontare una carriera piena di insidie e disparità. Così la pensa il noto chef francese Yannick Alléno, proprietario del Pavillon Ledoyen di Parigi.

La notizia

Per il suo ultimo libro Yannick Alléno, chef francese del momento, aureolato di 9 stelle Michelin, non ha scelto un titolo qualsiasi: Tout doit changer, recita laconicamente, in uno dei momenti più drammatici nella storia della gastronomia mondiale. Non si tratta più come nel 2014 di salse o nel 2016 di terroir: ora è in gioco la stessa istituzione ristorante, che va ripensata profondamente, nel suo funzionamento e nelle sue interazioni con l’esterno. Una sfida ambiziosa per appena 85 pagine e 16 euro.


Qualche anno fa Alléno fu accusato di sessismo per alcune dichiarazioni sulle donne in cucina; ora a cambiare è stata la sua posizione, a 180 gradi. Siamo lontani dalla parità fra i sessi nella ristorazione. Certo oggi ci sono più donne che si iscrivono nelle scuole di cucina, ma fra i diplomati alla fine restano il 13 o il 14%. Sono della generazione che approcciava questa carriera come un sacerdozio, si lavorava mezzogiorno e sera, senza ferie né week end… Chi ha voglia di questo, oggi?

ristorante Pavillon Ledoyen
Crediti Sebastien Veronese



Quale donna vuole prendere la metropolitana da sola a mezzanotte e mezzo per tornare in periferia dopo il servizio? Dobbiamo risolvere questa equazione, per mettere in sicurezza i nostri collaboratori. È finito il tempo in cui si sacrificava la vita familiare al lavoro; forse è un’utopia, ma non voglio più privarmi di alcune competenze per questo. È il motivo per cui scrivo dei libri, affinché chi ci guida mi ascolti e possiamo avanzare insieme”, ha commentato.


La cucina non è mai stata così creativa, ma il nostro ambiente è profondamente cambiato. Il grande ristorante troppo spesso è diventato un luogo senz’anima, distante, supercodificato. È essenziale ritrovare l’autenticità e preservare una certa magia, ma occorre che questa emozione corrisponda ai desideri e alle aspirazioni di una generazione che è molto cambiata. Invece il nostro mestiere è rimasto attaccato ai codici del XIX secolo come una cozza alla sua roccia. I giovani che si vedono arrivare nel mestiere sono ancora motivati, ma hanno un’altra visione, il loro modo di fare è diverso. Mi rifiuto di fustigare questa generazione, che probabilmente è più intelligente di quanto lo siamo stati noi.



Guardando trasmissioni come Top Chef, vedete giovani straordinariamente maturi a livello culinario. Mi hanno impressionato… Sono convinto che il compagnonaggio come l’abbiamo conosciuto funzioni ancora e che questa formazione sia importante, ma dobbiamo prendere atto che i giovani hanno una concezione del mestiere completamente diversa. Penso che il ristorante del futuro sarà quello che prenderà in considerazione tutto l’ambiente: sociale, naturale, uno spazio più inclusivo, orientato verso la parità, che va verso un riallineamento delle brigate e uno scambio più intenso fra tutti gli attori.


Per esempio, abbiamo assunto in cucina portatori di handicap. Oltre al fatto che mi sembra importante permettere a questi giovani di non essere esclusi dal sistema, le conseguenze sono state formidabili su tutto il funzionamento delle nostre squadre. Uno dei nostri pasticcieri è sordo, questo ha cambiato lo stato d’animo nell’impresa. C’è più benevolenza, anche se all’inizio è serpeggiata un po’ di diffidenza”.


Il sottotitolo del libro recita “Quel service pour le grand restaurant”. È il servizio la chiave della rifondazione? “Sono contrario all’idea di una scenografia troppo orchestrata. L’ho realizzato durante un recente viaggio a New York. Io e mia moglie eravamo leggermente in ritardo quando siamo scesi in questo grande ristorante e abbiamo assistito al rituale dello chef che proponeva il suo menu impostato e a un’esperienza fuori sincrono con le tavole vicine.


Ci ha dato l’impressione di vedere un film senza audio. Ed è quello che mi ha convinto che tutto questo vada superato, bisogna andare verso la semplicità, lo scambio, mettersi al servizio del gusto. I separé che abbiamo installato al Pavillon Ledoyen per una maggiore privacy si rivelano efficaci anche per la personalizzazione del servizio. Ci permettono di mantenere questi gesti nell’intimità di ogni tavolo, senza svelare troppo agli altri, in modo che possano sorprendersi”.



Oggi i cuochi sono diventati star, come i pasticcieri, i sommelier cominciano a essere riconosciuti, mentre i mestieri della sala restano nell’ombra. Eppure, sono essenziali, anche se la discrezione è imprescindibile. Non sono semplici portapiatti. L’arrivo in un tre stelle è preparato troppo poco, al momento della prenotazione. Per questo ho immaginato una conciergerie de table, simile a quella dei migliori alberghi. Un momento di dialogo per preparare e anticipare l’arrivo.


Introdurre in un piatto il vostro fiore preferito, un profumo d’infanzia, una spezia o un aroma legati alla vostra vita di coppia, ci permette di decuplicare le emozioni. Soprattutto ha senso a livello ecologico, perché un servizio personalizzato mi permette di ordinare solo quello che verrà cucinato, limitando perdite e scarti. Un concetto in cui credo molto”.


Fonte: sosoir.lesoir.be

Foto: Pagina ufficiale Yannick Alléno (Facebook)

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