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Najat Kaanache, la chef africana: “Giornata di 8 ore in cucina? Non sono d’accordo”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina najat kaanache

Considerata la più importante chef del continente africano, Najat Kaanache si espone su un tema delicato. “Volete tutti la giornata di 8 ore nei ristoranti, ma lo chef non è un impiegato e non dovrebbe badare al tempo”.

La notizia

È una voce fuori dal coro, quella di Najat Kaanache, cuoca basco-marocchina, considerata la più importante del continente africano. Già alla guida di sette ristoranti da Rabat a Fes, fino in Messico, nel prossimo autunno ha in agenda l’apertura di un nuovo locale chiamato Ziryab, come il poeta e musicista musulmano del IX secolo, ubicato a Siviglia, al primo piano della Taberna del Alabardero. Città dove si appresta a tenere anche lezioni di cucina andalusa presso la scuola alberghiera. “Imprenditrice io?”, si schermisce. “Lo è qualsiasi massaia, oltre che economista, madre, commerciante con la creatività indispensabile per arrivare alla fine del mese”.


Nata nel 1978 a San Sebastian da genitori marocchini, Najat si è perfezionata in giro per il mondo al fianco di mostri sacri come Ferran Adrià, Thomas Keller, René Redzepi e Grant Achatz, al punto da venir soprannominata “the pilgrim chef”. Fino al 2016, quando ha aperto Nur alla Medina di Fes, presto premiato come migliore ristorante africano e miglior marocchino del mondo. Da self-made woman, sa bene cosa sia l’impegno: in tutti i suoi interventi e nella pratica quotidiana di cucina, mette al centro il settore primario, quello da cui giungono gli alimenti da trasformare, oggi colpito da una profonda crisi. “L’importanza del prodotto è per me qualcosa di innato, per il mio passato, le mie origini, come ho vissuto, come sono cresciuta, come ho rimpianto e rispettato un pomodoro, una fragola, una sardina. Dobbiamo onorare il contadino, il pescatore, il montanaro, il casaro, il panettiere… Tutta questa gente merita un premio. Sono coloro che salvaguardano, che ci consentono di restare naturali. La globalizzazione va benissimo, ma non possiamo dimenticare chi siamo, non possiamo diventare tutti uguali. Ed è questa parte della terra e del mare a consentircelo. Sta a noi valorizzarla".



"Durante la pandemia eravamo tutti chiusi in casa. Sai chi usciva? Gli irregolari, i migranti, i raccoglitori… La gente che lavora nei campi è in gran parte illegale. Ma il cuoco ha la responsabilità di sapere e riconoscere come è stato trattato il prodotto e chi c’è dietro. Questo pomodoro straordinario che approda in un luogo magico, da dove esce? Si parla sempre di produttori e imprenditori, ma i lavoratori? Alcuni non hanno un posto dove dormire, sgobbano tutto il giorno per 30 euro. Chi ci regala questi ingredienti merita un raggio di sole. Fa sorridere che la gastronomia diventi classista mentre la raccolta viene effettuata da loro”.


Tuttavia, non fa eco alle lamentele ricorrenti sullo sfruttamento nella ristorazione, lei che di gavetta ne ha fatta, senza mai guardare l’orologio. “Se sei un cuoco, non devi contare le ore. Ciò che ti rende felice non va misurato. Non sono una funzionaria, non mi compete. Ogni collaboratore e membro della squadra sa se vuole continuare a imparare e ricercare, al ristorante o a casa. Più farà e ripeterà, meglio riuscirà. La cucina non è sprint, ma maratona. Quello che succede è che oggi tutti vogliono lavorare otto ore, tornare a casa, guardare Netflix e poi, questo sì, avere il proprio nome sulla divisa. Non posso obbligare nessuno a fare gli straordinari, certo, ma se vai alle olimpiadi, non puoi allenarti il lunedì, il giovedì e il venerdì fino a mezzogiorno”.


Cucino in Marocco perché qui ho trovato la pace, mi sono sentita libera. Le società occidentali sono molto polemiche. Tutti criticano incessantemente. Poi per i clienti sono marocchina, per i locali straniera. Alla fine, non sono di nessuna parte. In brigata ho di tutto: stranieri e marocchini che non sono mai usciti dal paese, non hanno passaporto o sono analfabeti. Cerchiamo di introdurli nella società attraverso la cucina, in modo che avanzino e possano essere felici. Parliamo in inglese e pian piano lo imparano tutti”.

Fonte: 7Canibales.com

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Foto: pagina Facebook di Najat Kaanache

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