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Moreno Cedroni: la “maturità perfetta” nel nuovo menu della Madonnina del Pescatore

di:
Marco Colognese
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Copertina madonnina del pescatore moreno cedroni 2022 ok

Il nuovo menu della Madonnina del Pescatore è frutto di una ricerca che produce bocconi gastro-emotivamente sublimi. C’è dietro una visione illuminata e che sa illuminare: Moreno Cedroni nella sua maturità migliore.

Il nuovo menu di Moreno Cedroni a La Madonnina del Pescatore

Il ristorante


Moreno Cedroni e la luce: potrebbe rappresentare un titolo, una chiave di lettura. Fatto sta che questo grande della cucina italiana ha una visione illuminata e sa illuminare. Tutto si si spiega e si declina iniziando a osservarne le azioni e ascoltandolo parlare mentre racconta se stesso e il suo lavoro alla Madonnina del Pescatore.

Foto di Lido Vannucchi



Guarda caso un locale essenziale, elegante e soprattutto luminoso. Allo stesso modo in cui brillano i suoi occhi mentre narra di svolte compiute e nuove idee da sviluppare, con un’energia che pochi giovani dimostrano e l’esperienza che dopo quasi quarant’anni di carriera un uomo come lui può vantare. Senza di fatto vantarsi, però. Perché certamente si tratta di un professionista consapevole della sua statura e proprio per questo è totalmente sereno nella sua sicurezza.

Foto di Lido Vannucchi



Ora Moreno Cedroni sta molto in sala, perfetto anfitrione e artefice di un percorso descrittivo (al gusto ci arriviamo dopo) piuttosto coinvolgente: “Per trentasei anni ho fatto due terzi del servizio in cucina, sul finale uscivo a salutare i clienti. Ora che mi si veda indaffarato ai fornelli non è più così importante, è fondamentale invece trasmettere qualcosa.” E continua: Tutto ha avuto inizio sei o sette anni fa quando ho superato i 50 e ho deciso di dare il cento per cento di me a me stesso, perché ci sono stati anni in cui il mio accento lo dividevo tra diverse parti d’Italia. Poi ho capito che c’è un’età per tutto, quindi adesso naturalmente devo pensare che ho tre locali e quando li riapriamo è come fossero ogni volta nuovi. E sono più che sufficienti.”

Foto di Lido Vannucchi



Ed è ancora un’immagine simbolica quella che si collega a doppio filo con il suo tunnel, laboratorio dal quale si torna appunto a vederla, la luce. E c’è il prodotto di una ricerca assennata e certosina che da un paio d’anni è assistita a tempo pieno da un chimico dedicato a seguire passo dopo passo lo sviluppo delle idee: “Lui stimola noi e noi stimoliamo lui”. Idee, come la prossima che frulla in mente allo chef e ha a che vedere con la coltivazione di alghe marine in collaborazione con l’Università di Ancona, che si ritrovano tradotte in bocconi gustativamente sublimi.

Foto di Lido Vannucchi



Mariella Organi



E pure bellissimi da guardare, come i dettagli dei salumi di pesce, illuminati con una trovata divertente: “Ci siamo arrivati dopo un mese un mese e mezzo, con la lavagna luminosa. Prima, quando spiegavo, cercavo sempre la luce per far notare le venature. Così ho detto: che luce sia.” La sua Anikò è stata la prima salumeria di pesce al mondo: adesso, come dice Moreno, non è più una novità e si ritrovano lì piatti storici della Madonnina. “Erano lì in panchina, come la cappasanta fritta in tempura al nero di seppia, che per anni è stato un cavallo di battaglia.


Foto di Lido Vannucchi


I piatti


Ed ecco che proprio alla Madonnina si inizia con i salumi; e si gongola, perché le sfumature di ciascuno rappresentano profumi e sapori inediti il cui filo rosso è la finezza della sensazione marina, più o meno accennata ma sempre in primo piano e sempre elegantissima: “Visto che lo fanno i nostri colleghi in Spagna, vedi Quique Dacosta o Ángel León, mi sono detto: ‘Perché non anch’io, che sono stato uno dei primi?’ Il primo giugno dell’anno scorso avevamo cinque pesci, poi ci abbiamo preso gustoTutti i filetti sono salati, uno o due giorni a seconda della pezzatura, poi maturano in celle a due gradi e sono leggermente affumicati. Si inizia con l’ombrina, servita con polvere di cavolo viola essiccato: sale e zucchero, venti giorni di maturazione. Poi la ricciola, marinata in soia e miele.

Le maturazioni del pesce



E ancora la bresaola di tonno -Vent’anni fa non esisteva e mi prendo il merito di averle dato il nome”- una salamoia con spezie e un mese di maturazione. Trenta giorni anche per il pesce spada, al quale non vengono aggiunte spezie ma una salsa agrodolce. Continua Moreno: “Abbiamo avuto molta soddisfazione nel fare il lardo, che praticamente è venuto meglio di quello ‘vero’: merito del moro oceanico (o spigola cilena), un pesce che vive nella zona subantartica in acque fredde e profonde, perciò ha uno strato adiposo notevole. Lo mangiai la prima volta da Nobu a Londra 25 anni fa e mi colpì tantissimo perché la sua polpa ha sentori di cocco, è eccezionale”. Segue la pancia della ricciola in porchetta con finocchio selvatico e rosmarino:Dall’orto marino otteniamo ormai quasi il 60/70% del fabbisogno, quindi una o due volte alla settimana un po’ di foraging lo dobbiamo fare in collina.”

Il tagliere di mare de La Madonnina



La parte di schiena della ricciola ha invece i profumi e i sapori dello speck, ginepro e pepe bianco. Ancora, il prosciutto di ventresca di tonno con bacche di senape. La salsiccia di orata, con paprika origano e pepe bianco, è tagliata al coltello e fa due mesi di maturazione. “Per fare la ‘mortadella’ abbiamo macinato il pesce spada; ci sono un dado di seppia che simula il grasso e il pistacchio, il budello è vegetale. La cottura avviene a 80 gradi e nella nostra zona c’è l’abitudine di abbinarci il finocchio di mare.” Ed ecco la meravigliosa coppa di testa, servita con olio al mandarino: “Le nostre teste sono diverse, di cernia e ricciola, le cuociamo in acqua e aceto e quando le disossiamo abbiamo tanto di quel collagene che le mani rimangono appiccicate. Poi ci mettiamo un peso sopra.” Le uova di tonno fresche, salate per un giorno e maturate due settimane, servite con una salsa di mango fermentato, con la consistenza di una finissima tartare, sono incredibilmente buone.


Su un tema caldo come quello della frollatura del pesce Moreno Cedroni ha idee precise: “Con il nostro chimico abbiamo fatto un mese di prove, utilizzando pesci da 8 a 15 chilogrammi, appesi senza interiora. Abbiamo misurato la concentrazione di istamina e siamo arrivati a 26 giorni con lo stesso valore: il pesce era salubre e aveva perso il 25% di liquido. Concentrato, forse anche un po’ troppo. In un esemplare come lo sgombro, dopo 6 giorni l’istamina saliva: con i pesci piccoli non è possibile. Ci siamo quindi fermati alle due settimane, che per me rappresentano la frollatura perfetta perché il pesce ha la giusta umidità e la consistenza è soda e compatta, con un gusto ottimo. Poi (sorride) mi è venuto uno sghiribizzo, per ora è una mia idea ma la sto studiando: vorrei arrivare a servire questi pesci all’umidità che hanno quando sono in mare. Bisogna sempre alzare l’asticella.”

Foto di Lido Vannucchi



A proposito di asticelle da elevare, il 2022 di Moreno è particolarmente felice: “Devo dire che di questi 38 anni è sicuramente uno degli anni di maturità migliore, quindi ce lo godiamo. Di solito gli altri anni sostituivamo tra i due e i quattro piatti: quest’anno invece ho detto ‘no, cambiamo tutto, perché ci sono anni in cui hai periodi di creatività che magari ti pesano e sei un po’ stanco e momenti in cui ti metti lì e ti riesce bene. Ho lasciato solo una cosa, che è l’ostrica, ricordo di un viaggio in Vietnam, cui sono molto legato e che mi piace moltissimo, il resto è nuovo.Luca Abbadir, veneziano di Marghera, è il sous chef che con Cedroni governa le creazioni della cucina.

Ostrica in Vietnam- foto di Lido Vannucchi



Foto di Lido Vannucchi



Parlando del nuovo menu, Moreno ricorda: “La dicitura ‘Luca e Moreno…..No pesce’ non vuole spaventare, perché c’è tanto mare e la piccola parte di pesce che non c’è l’abbiamo sostituita con ingredienti che in questi 38 anni io non ho mai usato. È stato fatto però con la stessa delicatezza che metto nel pesce.” L’inizio è un ricordo d’infanzia: “È nato nella casa qui di fianco. Mia nonna aveva gli animali da cortile e spesso si mangiavano le zampe di gallina, molte volte bollite e qualche volta nel ragù. Nel 1999 ho fatto uno stage al El Bulli da Ferran Adria ed è stato curioso: a marzo c’eravamo io e Mauro (Uliassi) e ad agosto ci andarono Massimo Bottura e Renè Redzepi. Fu lì che imparai a ‘sguantarle’, termine tecnico che prevede la cottura in poca acqua perché hanno molto collagene e lo devono trattenere, altrimenti poi si rompono nell’estrazione: si agevola delicatamente e viene via tutto l’apparato osseo, due giorni di essiccazione, si friggono e soffiano come popcorn, si aggiunge una maionese di moscioli selvatici di Portonovo (cozza del monte Conero presidio Slow Food) e sopra i percebes e finger lime.”

Piede di cornucopia e zampa di gallina, maionese di moscioli e caviale citrico e margarita cocktail


Il caso in cui definire strepitosa una zampa di gallina non è un’esagerazione, ma è solo l’inizio di un percorso gastro-emotivamente movimentatissimo che continua con un pane, burro e marmellata sui generis, perché se la marmellata è di mandarino tardivo, il burro è fegato di rana pescatrice: un boccone lungo lungo.

Pane ,burro (fegato di coda di rospo) e marmellata di mandarini



Elegante e insieme opulenta è la sfera di pan brioche che racchiude l’astice saltato in padella con scalogno, tartufo nero e salsa di mango fermentato. Un paio di cucchiaini intrisi di aceto di Xeres e di felicità per gustare la crema cotta al riccio di mare e cervello di vitello al vapore, pane croccante, olio al prezzemolo e menta.

Sfera di astice, tartufo nero e mango fermentato



Si ritrovano aromi e leggiadria nella cipolla borettana cotta sottovuoto con soia, rapa rossa ai carboni, cremoso di Parmigiano Reggiano e nocciole, con elicriso e liquirizia e servita in un leggero consommé al rafano: un quasi tutto vegetale piacevolmente sbilanciato dalle uova di pesce volante.

Cipolla borettana, rapa rossa ai carboni, salsa di parmigiano e nocciole, salicornia, rafano, elicrisio liquirizia, uova di pesce volante


Il cuore del Polpo, piatto di estrema eleganza, Moreno lo racconta così: “Il cuore del vitello è stato marinato per due giorni con sale e spezie, poi affumicato e fatto a fettine sottili, tanto che sembra carne salata. In quello stesso periodo lavoravo sul menu del Clandestino, sul tema dei film che hanno parlato di cibo, in particolare su Harry ti presento Sally con un pastrami di tonno. Così ho provato con il polpo del quale sono cintura nera di cottura (ride) e il tentacolo l’ho passato nelle spezie e nei semi di senape e poi in padella. Quella fettina di cuore affumicato con i suoi quarti di nobiltà del fumo mi avvicina il polpo al pastrami. Alla base ci sono mascarpone e mostarda, dei dadini di cetriolo infusi in un liquido agrodolce e foglioline senape, mentre la parte croccante arriva dalla quinoa essiccata e fritta. Abbiamo trattato il cuore del vitello come i giapponesi trattano il tonno bianco per il katsuobushi: ha un paio di mesi di essiccazione e ne grattiamo un pochino per esaltare l’intensità del cuore.”

Il cuore del Polpo, mascarpone e mostarda, cetriolo agrodolce, foglie di senape e spezie



Golosissima, di squisita grassezza, la portata di pasta secca, dove il ‘fusilloro’ di Verrigni è cotto in brodo di granchio e saltato in padella con burro alle erbe; lo stesso procedimento con cui viene cotta la trippa di coda di rospo; alla base una crema di Parmigiano Reggiano con mandorle, riduzione di mirin, crescione e nasturzio a mitigare con la nota verde piccante.

Fusilloro Verrigni al burro di erbe, trippa di coda di rospo, salsa di mandorle e parmigiano, crescione e nasturzio


E poi arriva IL piccione, non uno qualunque: “Noi cuochi ci sfidiamo col piccione, vent’anni fa ne mangiavamo di crudi crudissimi. Abbiamo raggiunto un grande livello con le prove di maturazione: sciogliamo la cera d’api e ne facciamo una camicia con cui lo avvolgiamo due mesi a frollare a due gradi. Così perde tutta la parte metallica e ferrosa, diventa qualcosa di straordinario e nel piatto non serve mezza salsa.

Il piccione maturato in cera d’api, misticanza dell’orto marino



Quando arriva l’ordine lo scaloppiamo, passa sulla griglia velocemente e lo portiamo a 52/53 gradi, che per me è la temperatura ideale per apprezzarne la masticazione. Volevo usare tutto quello che ci fornisce l’orto e ci fornirà il tunnel: c’è un pesto di alghe sotto il piccione, salicornia e pastinaca fermentata in polvere. Le erbe in accompagnamento sono a tendenza acida dolce e amara, la base di avocado con vinaigrette al miele.” Il piatto, piccola opera d’arte profumata, è scolpito in cera d’api e delle api che si trovano in rilievo una è realizzata con il fegato.” Come parlare di texture incredibile, seguita da quella della coscetta, squisita, alla quale viene tolto il femore e sostituito con mela e bacon, cotta sottovuoto e infine caramellata alla griglia.

La coscetta del piccione cotta ai carboni



Davvero notevole l’ultima (anche se non è proprio così) portata salata:Girovagando nel mondo c’erano due piatti che assaggiavo sempre dappertutto: uno era il piccione e l’altro la royale di lepre, ma mentre il primo l’ho fatto entrare in menu già da anni, la royale non me la sentivo. È comunque un piatto opulento, abbastanza forte. Quest’anno invece ero più propenso e ho pensato che potevo togliere quella che per me rappresentava l’opulenza e alleggerirlo: alla base quindi ci sono fettine di lepre marinate in soia e miele e poi nappate con salsa di funghi fermentati e nocciole che hanno decisi sentori di fegato (che non c’è). La parte centrale del piatto è composta di mazzancolle e seppie, cotte come vogliono i francesi, con burro, bas armagnac e tartufo nero. Sopra si trova una riduzione di ossa di lepre e brodo di granchio, mentre le parti acidule sono rappresentate dai gamberi rossi marinati nel succo di limone e dal succo di lamponi fermentati”.

Royal di mazzancolle e gamberi rossi acidulati, lepre marinata in soia e miele, salsa di porcini fermentati e nocciole, gocce di lampone


La parte dolce è un omaggio a due artisti. Il primo, al confine tra dolce e salato, è dedicato a Charles Schultz con i suoi Peanuts: gelato all’arachide coperto da una spuma acida-piccante ai mirtilli, alla base salsa di mirtilli freschi e fermentati e arachidi cotte in pentola a pressione che prendono la consistenza del cece cotto. Tutt’attorno una ‘peanuts colada’ a base di mirtilli e rum bianco.

Peanuts



Non poteva poi mancare il topolino di Banksy che alla base ha una ganache di cioccolato Tulakalum, gran cru del Belize al 75%, mescolato con more conservate in aceto e zucchero, sopra polvere di lamponi liofilizzati e pastinaca fermentata ed essiccata e frullata; la parte croccante arriva da amaranto soffiato e scaglie di zucchero ‘scoppiettanti’: da mangiare con le dita. “You lie”, la scritta accanto al topolino, rammenta che non è finita qui.

You Lie



Piccola pasticceria



Nel 1984, quando Moreno apre la Madonnina del Pescatore nasce lo spaghetto psichedelico. La pasta cuoce nell’acqua delle vongole e così facendo l’amido non si perde nel bollitore e lascia lo spaghetto cremoso. 38 anni dopo viene proposto allo stesso modo con l’aggiunta di una piccola ‘vongola’ liofilizzata fatta di acqua di vongole, ricci di mare e alghe, da sbriciolare sulla pasta. Pura magia gastronomica, a Senigallia.

Spaghetto psichedelico



Foto dei nuovi piatti di Brambilla Serrani

Foto dello chef in copertina di Lido Vannucchi

Indirizzo


Ristorante La Madonnina del Pescatore

Lungomare Italia n 11 – 60019 Senigallia (AN)

Tel. +39 071 698267

Il sito web           

 

 

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