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Tre Olivi: il ristorante che ha portato 2 stelle Michelin in soli 9 mesi a Paestum

di:
Marco Castaldi
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copertina tre olivi

“La creatività ha senso quando è un mezzo per coinvolgere, non un atto fine a se stesso”. Giovanni Solofra plasma una cucina che ripensa il fine dining in chiave più inclusiva che esclusiva, cucendo l’esperienza sul singolo cliente. Ma i Tre Olivi di Paestum brilla anche per sala e pasticceria.

La storia

Il 23 novembre del 2021 il ristorante Tre Olivi di Paestum passò da nessuna a due stelle Michelin, dopo soli 9 mesi di lavoro dello chef Giovanni Solofra all’interno delle cucine del Savoy Beach Hotel: “Un’esperienza gastronomica sensoriale e territoriale capace di sorprendere per finezza, gusto, idea e tecnica”, queste alcune delle motivazioni dietro all’assegnazione del riconoscimento. Un traguardo tanto prestigioso quanto inusuale per la Rossa, più incline a concedere avanzamenti graduali.

giovanni solofra
 

Giovanni nasce nel 1982 a Torre Annunziata e inizia a lavorare nelle cucine per mantenersi durante gli studi, finché non capisce che quella è la sua vocazione e decide di abbandonare la facoltà di Giurisprudenza: “Ho iniziato dalla plonge, l’area adibita al lavaggio delle stoviglie”, racconta. Una storia che parla di piccoli progressi quotidiani, di tanta gavetta: “L’unico mezzo per raggiungere certi traguardi”, la definisce.

giovanni solofra 2
 

E di traguardi lui ne ha raggiunti diversi, grazie a esperienze significative con Quique Dacosta, Ciccio Sultano e Heinz Beck, dove resta per circa 9 anni ricoprendo anche il ruolo di sous chef, finché Beck non gli propone di dirigere il St. George Restaurant di Taormina, dove nel 2018 conquista la stella Michelin, grazie all’aiuto e al sostegno della sua compagna di lavoro e di vita, Roberta Merolli, suo alter ego anche nell’avventura siciliana.

roberta merolli
 

Siamo un duo a tutti gli effetti, lei è il mio braccio destro e la parte più dolce di me”, ammette lo chef, riferendosi anche al ruolo di chef pâtissier di Roberta. Abruzzese, classe 1984, anche lei lascia l’Università per dedicarsi alla cucina e alla pasticceria; vanta esperienze importanti, da Bonci a Morandin, da Anthony Genovese all’Aspley Restaurant di Londra con Heinz Beck. Fu proprio questa esperienza che le fece conquistare la fiducia dello chef tedesco che la volle con sé a La Pergola di Roma, a fianco del pastry chef Giuseppe Amato, dove conobbe Giovanni.

giovanni solofra e roberta merolli 4
 

Nel 2020 i due decidono che è giunto il momento di affrancarsi dal maestro Beck e mettersi in gioco in prima persona, accettando la proposta di Salvatore Pagano, general manager del Savoy Beach Hotel, di trasferirsi in Cilento all’interno delle cucine dei Tre Olivi:Si dice sempre che nessuno è profeta in patria, ma questo per me era un ulteriore stimolo a fare bene” – confessa lo chef campano – “inoltre la proprietà ci ha offerto uno spazio molto bello in cui poterci esprimere liberamente, comprendendo che se si vuole puntare in alto è necessario il supporto di tutti, perché gli obiettivi importanti li raggiunge la squadra, non certo il singolo”.

giovanni solofra e roberta merolli
 

Così Giovanni e Roberta iniziano ad analizzare il territorio, le sue caratteristiche e i tanti prodotti che lo hanno reso la culla della dieta mediterranea, quello stile di vita famoso nel mondo che si basa sull’attività fisica e sull’assunzione regolare di determinati alimenti in grado di condizionare positivamente la nostra salute. Verdure, cereali, olio, sale, erbe aromatiche sono solo alcuni di questi ingredienti, che i due studiano per valorizzarne le singole peculiarità, impiegando una visione moderna e personale molto apprezzata anche dalla Michelin, che ha premiato “la generosità, la precisione e la minuziosità in ogni preparazione.”

tre olivi sala 2
 

Il ristorante

“Il Tre Olivi è un’idea prima, prima di tutto. Il mio sogno è sempre stato quello di realizzare il ristorante più bello del mondo, dove la gente viene per stare bene”. Già dalle semplici parole dello chef si percepisce una visione naturalmente vocata al cliente, avulsa dai vincoli stringenti solitamente imposti dai ristoranti più blasonati: Noi facciamo ristorazione, il nostro compito è quello di dare ospitalità, far star bene le persone, non quello di imporre o mettere veti. Siamo noi a doverci adattare alle esigenze degli ospiti, non il contrario”. Una filosofia chiara e semplice che ripensa il fine dining in chiave più inclusiva che esclusiva, un luogo dove si viene non solo per la cucina, ma per entrare in contatto con una sala e una brigata che diventano parte integrante dell’esperienza stessa: “La creatività ha senso quando non è un atto fine a se stesso, ma un mezzo per coinvolgere”, dice lo chef.

giovanni solofra e roberta merolli 5
 

Questa concezione evoca fortemente il concetto di condivisione e si concretizza in proposte spesso costruite ad hoc, snellite o addirittura diversificate nell’ambito dello stesso tavolo, con un’attenzione sempre rivolta alla salute e al benessere derivante dal mangiare sano: “Mi ricordo di un percorso interamente liquido, creato appositamente per una persona che faticava a deglutire” – esemplifica lo chef – “o di una signora che desiderava tanto un dolce al cioccolato e lo abbiamo improvvisato per lei; la gratitudine di queste persone è il premio più importante che io possa ricevere”. Una cucina legata inevitabilmente al territorio, come già accennato, raccontato però in chiave divertente e divertita, moderna e attuale, mai nostalgica, dando massima importanza al sapore “che deve scaldare il cuore” e allo storytelling, che non risulta mai posticcio o ridondante, bensì originale e intimo perché incentrato non solo su ingredienti o fornitori di zona, ma soprattutto su immagini o aneddoti che evocano un passato fatto di tradizioni locali e familiari autentiche.

giovanni solofra e roberta merolli 3
 

Un superamento, quindi, di quello che lo chef definisce “thinking global and making local”, ossia apertura alle contaminazioni ma sguardo fisso sul territorio, poiché gli ingredienti del Cilento e i vegetali provenienti dall’orto di proprietà diventano solo degli strumenti utili a confezionare un’esperienza sensoriale unica e memorabile, resa possibile anche grazie all’ausilio di tecnologie come gli estrattori a freddo o il Rotavapor, che consentono di ridurre gli sprechi e di ottenere sapori più concentrati e decisi in modo naturale: “I miei nonni mi hanno insegnato che apparecchiare e sedersi a tavola è un vero e proprio rituale, che serve a fermare il tempo e a concentrarsi sul presente, per goderne e farlo durare più a lungo possibile”.

tre olivi sala 1
 

Per far sì che ciò avvenga è necessario concepire un menu che sappia intrattenere, incuriosire e appassionare, come “Oh, mamma mia, let me go”, un percorso di 12 portate a 220 euro, o di 10 a 190, a cui si può aggiungere l’abbinamento di 3 vini a 65 euro o di 5 a 110. Il menu è interamente dedicato all’infanzia, ai ricordi di un bambino del Sud, ai primi amori, alla sacralità della tavola e alle sue contraddizioni, al superamento di regole spesso troppo rigide imposte dal bon ton, che limitano l’espressione autentica del proprio io in nome di convinzioni antiquate:C’è un’idea e uno studio dietro ai piatti, che può essere letto in chiave tecnica e approfondita o in maniera spensierata e frivola, dipende dalle persone, ma noi vogliamo arrivare a tutti”, dice chef Solofra. È disponibile anche una carta che prevede 6 proposte, perlopiù signature dishes legati alla stagione e pensati per coloro che tornano spesso o sono molto legati ad alcuni piatti: “Circa il 10% della clientela sceglie di mangiare alla carta, economicamente non avrebbe senso tenerla, tuttavia è una coccola, un’attenzione a cui non voglio rinunciare”, prosegue.

tre olivi paestum 1
 

La sala principale è ampia, elegante e raffinata, resa calda e accogliente dal tanto legno utilizzato, sia per i pavimenti che per i tanti oggetti di pregio che ricordano l’olivo, l’albero simbolo della dieta mediterranea, e che ricreano l’atmosfera familiare tipica dei giorni di festa. La seconda sala, adiacente alla prima e utilizzata in estate come spazio all’aperto, è dedicata al servizio dei dolci e della piccola pasticceria, in modo da potersi spostare da una sala all’altra: “Un po’ come quando da piccoli si viene chiamati dalla mamma perché è pronto da mangiare", spiega lo chef. Anche la scelta della mise en place vuole omaggiare quel rituale di apparecchiatura della tavola cui si accennava precedentemente: sul tavolo c’è solo la tovaglia e il piatto, tutto il resto viene disposto in modo graduale durante il pasto.   

tre olivi sala 3
 

I piatti

Si parte con l’aperitivo, a base di bollicine italiane, locali o francesi o drink creati con gin di produzione propria, che accompagnano come si deve i vari amuse bouche che celebrano la storia passata di questo territorio: il latte di mandorla affumicata al tabacco ricorda la mozzarella di bufala e i tanti tabaccai presenti in zona fino alla seconda guerra mondiale; il concassè di pomodoro con meringa della sua acqua ghiacciata è  dedicato alla Cirio, che comprava i pomodori in Cilento; infine le fragole, che Algida acquistava da queste parti, sia fresche che in sorbetto vogliono ricordare il famoso “fior di fragola” e vengono servite con zenzero e pepe.

giovanni solofra amuse bouche
 

Si continua con il carrello con la selezione di oli, tra cui quello alle nocciole e ai semi di zucca, e di sali, come quello alle alghe o quello ottenuto dall’evaporazione dell’acqua di mare, tutti autoprodotti. Segue quindi l’assortimento dei pani, realizzati con grani cilentani selezionati e raccolti da Terra di Resilienza, una cooperativa sociale che punta a riscoprire e valorizzare le risorse rurali del Mezzogiorno. Molto interessante il carrello dei “salumi vegetali”, nati dall’esigenza di utilizzare la produzione in eccesso dell’orto secondo la moderna strategia del “zero waste”, ma con la volontà di ispirare un punto di vista nuovo, inusuale e accattivante sul mondo vegetale, lavorato come se fosse carne o pesce: così il sapore della zucchina ricorda il lardo, quello della zucca il salmone affumicato, quello del peperone crusco una coppietta di maiale e quello del fungo ostrica una bistecca di manzo cotta sui carboni.

tre olivi carrello pane
 

“I vegetali sono l’elemento portante della mia cucina, il punto di partenza di ogni piatto, a cui poi aggiungo la parte proteica”, spiega lo chef. La prima portata che arriva in tavola propone un classico napoletano, “A pan e puparuole” declinato in chiave francese con l’utilizzo del foie gras in varie consistenze, un ristretto di peperone e del pane abbrustolito per agevolare la masticazione. Il successivo gambero gobbetto crudo è servito con ajo blanco, una salsa andalusa a base di aglio, mandorla e aceto di mele, ed è ricoperto da scaglie di mandorle che ricreano i petali di una margherita e ricordano il gesto fanciullesco del “m’ama, non m’ama…”.

giovanni solofra o pan e puparuole
 
giovanni solofra m ama non m ama 1
 

Subito dopo iniziano i tanti riferimenti ai rimproveri subiti a tavola da bambini, a partire da quello indotto dall’assaggiare il sugo direttamente dalla “cucchiarella”: si tratta di un assaggio di ristretto e concassè di pomodoro, tartare di tonno e capperi con cui lo chef vuole legittimare quel gesto ed evocare il sapore del pomodoro bruciato sui bordi della pentola. Il piatto seguente è “Briciole”, un’altra cosa che non si dovrebbe fare a tavola, in questo caso ottenute dalla crioessiccazione delle cozze, da spargere sui cannolicchi gratinati, serviti con il loro fondo e brodo dashi.

giovanni solofra cucchiarella di pomodoro
 
giovanni solofra briciole 1
 

Con “Stai zitto…in tutte le lingue del mondo”, si omaggiano i venditori ambulanti di “’o pere e ‘o musso”: si tratta di lingua di vitello lessata e passata sulla salamandra, accompagnata da varie salse, tra cui curry, chimichurry e colatura di alici, che ricreano sul piatto la linguaccia resa celebre dai Rolling Stones. Si continua con “Just do it”, ostrica e gazpacho, che infrange ben due regole della tavola, quella di non mangiare con le mani e quella di non bere della bottiglia: l’ostrica è cotta sulla piastra e accompagnata da fungo ostrica e salsa all’aglio, mentre il gazpacho è realizzato con l’acqua estratta da sedano, pomodoro e zucchina e si beve direttamente dalla bottiglia per rinfrescare il palato.

giovanni solofra stai zitto in tutte le lingue del mondo
 

Segue uno dei piatti più interessanti del percorso, “Eresia”, una pasta con le vongole che spiazza e soddisfa allo stesso tempo, scardinando le certezze insite in un piatto iconico, a partire dal formato di pasta secca utilizzata, i cappelletti al posto degli spaghetti, passando dall’aggiunta del brodo ottenuto dall’acqua delle vongole, per finire con il (finto) formaggio grattugiato, realizzato con acqua di cottura, lemongrass, prezzemolo e zenzero: “è un piatto che porto nel cuore” – spiega lo chef – “perché sono riuscito a far accettare ai napoletani lo stravolgimento di un piatto tradizionale, in cui inserisco una componente liquida importante che lo rende ancora più iodato e profumato, secondo me da gustare prima con il naso e poi con la bocca”.

giovanni solofra pasta eresia 1
 

Il secondo primo è “I pescatori d’argento”, un risotto mantecato al nero di seppia con alici marinate; l’argento si riferisce alle striature delle alici, visibili solo al chiaro di luna e quindi più facilmente a notte fonda, il che inevitabilmente portava i giovani pescatori a disobbedire a quel “non fare tardi, mi raccomando”, che ognuno si è sentito dire almeno una volta nella vita.

giovanni solofra i pescatori d argento
 

“The big fish. Ho visto una balena” è un piatto nato dopo l’avvistamento dell'animale durante una navigazione: “Al ritorno raccontai l’accaduto ad un amico” – spiega lo chef – “e lui pensò che fossi fuori di me, non mi credette”; da qui l’idea di sintetizzare le tante esagerazioni a cui da bambino si è portati a credere e che si sostanzia in una piccola tartare di ricciola, servita con caviale e insalata di mozzarella liquida, posta all’interno di un grande pesce disegnato sul piatto con un brodo dashi ridotto e concentrato, che gli conferisce la profondità di gusto di una portata principale.

giovanni solofra the big fish
 

Molto ben eseguito “Icaro”, un piccione con 45 giorni di frollatura avvolto da cera d’api e foglie di salvia al posto delle piume, succulento, cotto perfettamente sulla brace e servito con il suo fondo al whisky, salsa di olive nere, melanzane e lime, che nell’impiattamento e nella genesi vuole ricordare proprio il mito greco, che nella sua tragicità si rivolge a coloro che sono disposti a morire pur di realizzare il loro sogno, poiché la voglia di volare è maggiore della paura di cadere.

giovanni solofra piccione
 

Come per ogni bambino che si rispetti, dopo i rimproveri arriva il momento ludico e quindi ci si sposta nella sala adiacente dove carillon, caleidoscopi e altri passatempi fanno da prologo al servizio dei dolci, su tutti quello che rappresenta l’unione tra gli chef Fabrizia Merolli e Giovanni Solofra, tra Abruzzo e Campania, realizzato con ingredienti tipici delle due regioni, proposti sotto forma di confettura di fichi, sorbetto al limone, mousse di liquirizia e cialda allo zafferano a forma di presentosa, ossia un monile che veniva regalato dal fidanzato alla futura moglie prima delle nozze, in segno di promessa.

roberta merolli dessert 2
 

Il secondo step di dessert prevede un carrello con altre prelibatezze tra cui poter scegliere, come la torta caprese, il babà e le famose graffe, che in futuro saranno preparate a vista grazie ad uno spazio ricavato all’interno della stessa sala. Si conclude quindi con la piccola pasticceria, sorprendente e variegata, a base di cioccolatini, cremini, macaron, torroni e confetti, ultimo atto di uno spettacolo teatrale sceneggiato ad hoc e diretto in modo impeccabile.

tre olivi paestum 2
 

Se il cliente è indiscutibilmente il protagonista dello spettacolo, i ragazzi in sala sono gli attori principali, che sanno descrivere e raccontare i piatti con garbo, accuratezza e il piglio dell’esperienza, nonostante la giovanissima età: “Punto molto su questa squadra, stiamo costruendo qualcosa di importante che deriva dal confronto quotidiano e da conversazioni a volte scomode, ma necessarie per la crescita di tutti”, afferma lo chef.

tre olivi piccola pasticceria
 

A completare l’esperienza, una carta dei vini di stampo classico, non particolarmente ampia, ma ben strutturata, che prevede una piccola selezione di vini alla mescita, bollicine, sia locali che italiane anche nei grandi formati, oltre ad una bella selezione di etichette di prestigio provenienti dalle zone più vocate della Francia, a partire dalla Champagne per finire ad Alsazia, Borgogna e Loira, con un’inaspettata predilezione per i rosati. Molte le referenze campane, sia per i bianchi che per i rossi, con una interessante panoramica sulle varie aree, meno approfondite invece le altre regioni italiane; non mancano le produzioni di Ungheria, Slovenia, Georgia, Cile, Australia e del resto del mondo: “Vorrei che con il vino si creasse lo stesso  coinvolgimento che si crea con il cibo. È necessario che il sommelier non si soffermi troppo a parlare di sentori che solo un esperto saprebbe riconoscere, altrimenti si rischia di far sentire l’ospite inadeguato. Bisogna creare continue sinergie e i ragazzi in sala devono farlo divertendosi, altrimenti come potrebbero far divertire i commensali?”, conclude “il regista” campano. Sipario.    

Indirizzo

Tre Olivi

Via Poseidonia, 41, 84047 Paestum SA

Tel: +39 0828 720023

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