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Festa a Vico, i grandi chef riuniti con Gennaro Esposito: uno show dei record

di:
Alessandra Meldolesi
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L’antropologia insegna che il dono e la festa sono i fondamenti della comunità: torna a dimostrarlo, dopo tre anni di stop, Festa a Vico, che stringe in un abbraccio la gente della Costiera e la grande comunità del food.

L'evento

Sono stati tre anni di lutto, crisi e penitenza per tutti. Eppure, è bastato mettere piede alla Repubblica del Cibo di Vico, dopo tre anni di stop, per viaggiare indietro nel tempo e tuffarsi in un passato, che riprende a correre lieto fra i festoni del recente scudetto a ogni angolo di strada.

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Centinaia di produttori e artigiani hanno fatto assaggiare le loro delizie a un pubblico realmente popolare, esattamente come ai bei vecchi tempi (due su tutti: l’intramontabile pizza fritta della Masardona, istituzione della napoletanità, e le fettuccine Alfredo eseguite filologicamente da Massimiliano Sepe, che sta affiancando al signature qualche novità).

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Il giorno successivo ci hanno pensato le riflessioni dal palco di Forma & Sostanza a fare il punto su un momento storico peculiare. Gennaro Esposito, ideatore e anima della manifestazione, un po’ star chef, un po’ icona popolare, ha parlato di cambiamenti epocali, spettacolarizzazioni, accelerazioni che ci sollecitano, snocciolando una serie di questioni: il cambiamento degli orari e la gestione delle prenotazioni; il revival del servizio al tavolo, ostacolato dalla carenza di professionisti; perfino un eccesso di domanda che si scontra con le nuove esigenze di tempo libero. Sottolineando la complessità della cucina tradizionale autentica (con un esempio preciso: la lasagna dell’Antica Corte Pallavicina), ha ipotizzato un ristorante del futuro per fasce orarie, che sintonizzi i tempi della cucina con quelli dell’ospite: al rintocco dell’orologio, il risotto testé mantecato o il pollo appena arrostito.

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Stimolante l’intervento di Andrea Geremicca, direttore generale dell’Istituto Europeo di Innovazione per la Sostenibilità, che si è soffermato su questioni solo apparentemente lessicali: sostenibilità di fatto non vuol dire niente, perché il prodotto locale, ad esempio, può avere costi ambientali occulti, che rendono preferibile quello importato. E l’innovazione costa, tanto che la macchina migliore può essere quella che si ha. Meglio la “durabilité” dei francesi, che ha un’accezione inequivocabilmente positiva, o l’economia circolare. Alla fine in ballo è un insieme di valori, dove la logica non può essere binaria: difficile scegliere una volta per tutte tra chilometro zero o produzione equo solidale, che incarnano istanze diverse.

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Esilarante il racconto dei tic dei clienti da parte di Gennaro Esposito, Francesco Cerea e Gianni Sinesi (vedi il tavolo no dress code che spende 18mila euro). C’è stato spazio anche per presentare il nuovo direttore del Gambero Rosso Marco Mensurati, che ha promesso una rivista senza filtri, capace di stroncare, ma anche di raccontare le ombre del settore, come lo sfruttamento dei rider. “L’unico gambero che va avanti”. Maria Canabal, dal canto suo, si è soffermata sull’importanza del global per il local, partendo dalla case history del repas gastronomique français riconosciuto dall’Unesco (ma la generica candidatura italiana sarà probabilmente bocciata).

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La sera alla Torre del Saracino sono sfilate le promesse selezionate da Chiara Agostinelli: tredici giovani talenti, più o meno noti, hanno proposto i loro assaggi ficcanti, talvolta già famosi come la pasta in bianco implacabilmente centrata dal cecchino Alberto Quadrio, che ha intessuto un dialogo a distanza con le fettuccine Alfredo, fra i due piatti due guerre mondiali e un secolo di storia (ma non sembrerebbe). Una sicurezza Marco Ambrosino, con la sua contrastata minestra di pesce azzurro, grani fermentati e olio mediterraneo per un tripudio di gusto identitario senza blandizie. Eccellente la prova di Giulio Gigli del ristorante Une di Capodacqua, con il suo piccione ai pickles di aglio orsino, arachidi e tomatillo: contemporaneità della memoria e freschezza. Nel frattempo lungo il suggestivo cammino della marina di Seiano proseguivano gli assaggi e si preparava il “dessert storm”, ironica raffica di dolci.

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Gran finale con la cena di gala, cui ha partecipato lo stato maggiore della cucina italiana. Pino Cuttaia ha rotto il ghiaccio con la sua Scampagnata di melanzana, introducendo un registro green e mediterraneo, ribadito da Tony Lo Coco a suon di cucuzze e tenerumi. “In pratica ho preparato una melanzana arrostita sulla brace, come si usa nelle scampagnate tradizionali, quando si cuociono le pizze nel forno a legna e alla fine si mette la melanzana, che si affumica in modo elegante e si asciuga. Quindi un carpaccino con aceto balsamico di ciliegia. Volevo raccontare che la forza non sta nella massa e nel volume, ma può essere nel piccolo, come una lamella di tartufo. Che potenza ha! Vale anche per la melanzana, che esplode in bocca come una forza della natura. E Gennaro quando ha assaggiato, ha commentato che con la maturità, riusciamo a centrare la contemporaneità. Iniziamo ad avere i capelli bianchi, che significa consapevolezza, perché sono vent’anni che ci vediamo per festeggiare, crescendo insieme all’ingrediente, un anno dopo l’altro. Per me è qualcosa di sentimentale, ogni anno un modo per non dimenticare la mia prima Festa”.

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Hanno brillato le tre stelle di Da Vittorio, impersonato da Paolo Rota, che ha portato uno spaghetto di tonno con bagnacauda e crumble di pistacchi; così come quelle di Enrico Bartolini, autore di una tigella con branzino e melanzana marinata.Trovarsi con tanti colleghi per un gesto di beneficenza e condividendo amicizia e cultura gastronomica, a me rende felice. Si assaggiano idee brillanti, si respira l’aria del mare blu ed esserci riempie il cuore”.

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Pizza per Andrea Berton, fedelissimo della manifestazione.La festa a Vico è sempre un bell’evento, ci si diverte e ci si incontra tutti. Io sono stato presente praticamente in tutte le edizioni e sono felice di essere stato coinvolto anche questa volta. Ho portato una pizza salata preparata con la meringa, quasi una provocazione per il luogo, ma anche un modo per onorarne le tradizioni, condita con capperi, pomodoro e alici marinate e servita nella classica scatolina da asporto”.

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E ancora Kavcic e la sua selvaggina con mosaico di gusti e colori, Nakaminato e il Tonno roll, Nishikawa e i gamberi rossi marinati al Marsala e fiori di pepe, capesante grigliate su pietra della Costiera allo zenzero, Spigaroli e la tartara di primizie dell’orto con vinaigrette all’extravergine di Parma e sentori di senape, Morelli e l’altra tartare di carote estive, crème fraîche, macis e passion fruit, Mattia Pecis per Carlo Cracco con il risotto all’acciuga di Monterosso, nocciola e chinotto bruciato, Emanuele Scarello e gli gnocchi di patate, kefir di bufala e caviale, Serva e i tortelli di salmerino, tè nero, aglio orsino e caviale di trota, Solofra e il filetto al pepe verde (in realtà fungo cardoncello), Cristiano Tomei con totano e cinghiale. Dessert storm finale con Camplone, Casabianca, De Riso, Di Costanzo, Di Donna, Ferretti, Gabbiano, Maresca, Palmieri, Vannucci e Vecchione alla piccola.

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